Autobiografia di una generazione di lotta. “Galera ed esilio” di Toni Negri
Galera ed esilio (sottotitolo: Storia di un comunista) è l’ultimo libro di Toni Negri, uscito da poco per i tipi di Ponte alle Grazie.
Oltre a essere l’autobiografia filosofica e sentimentale del più famoso “compagno” arrestato in nome del cosiddetto teorema Calogero, secondo il quale gli intellettuali che guidavano certi movimenti operai degli anni Settanta sarebbero stati i capi occulti del terrorismo brigatista, è un testo che contiene, rappresenta e mescola diverse visioni, opinioni e suggestioni.
È innanzitutto il resoconto di una parte della vita di Toni Negri, dall’arresto per l’accusa dell’omicidio di Aldo Moro (era il 1979) all’esilio parigino e alla gestazione del testo Impero, che l’autore definisce “un libro militante”.
È la storia dei movimenti e dei sommovimenti dei lavoratori, da quando gli operai combattevano semplicemente, e dannatamente, per il salario alle più sofisticate e forse più borghesi lotte per il welfare.
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È un j’accuse alle istituzioni e allo Stato italiano, che hanno piegato le logiche della giustizia a quelle della lotta politica e di classe.
È un lento movimento d’onda all’interno del pensiero e delle opere filosofiche di Toni Negri, dal suo impegno come docente universitario a Padova a libero pensatore sociale prima nel carcere (è corretto precisare: nelle varie carceri di cui ha fatto esperienza), poi nel corso del suo esilio (della sua nuova vita) francese.
È l’amore per il ragionamento acuto, per l’ammirato Spinoza, per Foucault e il postmodernismo americano, per la lotta contro il Sistema (qualunque cosa sia questo mostro leviatano di hobbesiana memoria), per la vita e la fiamma della ragione che continuano ad ardere, nonostante e forse proprio grazie al buio che avanza.
Diversi sono i punti sui quali l’autore ritorna più volte, con la pertinacia della lingua che batte dove il dente duole. Ma lo fa come se la penna stesse disegnando una serie di cerchi concentrici, o una spirale, che parte dall’esterno per raggiungere – per gradi ma inesorabile – il cuore degli eventi e del pensiero sociale.
Il quadro che ne emerge è impietoso: per l’Italia, per i nostri partiti politici, per l’ideologia (di qualunque colore) non solo morente ma ormai morta e sepolta, e per i nostri padri, che ci hanno lasciato un quadro istituzionale pieno di voragini e dossi, come una strada provinciale percorsa da troppe macchine, e la cui manutenzione non spetta più a nessuno.
Galera ed esilio è un libro che, nelle sue oltre quattrocento pagine, pone continui interrogativi al lettore.
Innanzitutto e prima di tutto: Toni Negri è colpevole o innocente? Accusato di essere stato il capo delle Brigate Rosse, nonché di aver partecipato al rapimento e all’omicidio di Aldo Moro, è stato di volta in volta scagionato dalle imputazioni precedenti per essere processato con nuovi capi d’accusa: da leader di Potere Operaio a cofondatore di Autonomia Operaia, fino all’insurrezione armata contro i poteri dello Stato.
Dove si nasconde la verità? Dietro all’affermazione che, date tutte queste accuse, almeno una dev’essere vera, oppure che il proliferare delle imputazioni le oblitera e falsifica tutte?
È un complotto politico, in cui la giustizia somiglia alla Dea della Caccia che Josef K. incontra muovendosi nell’allucinata città in cui Kafka fa svolgere il suo Processo? Oppure Toni Negri è un diabolico personaggio degno delle pagine di qualche feuilletonfin de siècle?
Altro interrogativo: che fine hanno fatto, nei giovani e anche nei quarantenni di oggi, quegli astratti furori che hanno mosso e agitato tutta una generazione e che oggi sembrano ragazzate, divagazioni o semplici follie, se non addirittura oggetti da museo? Viviamo davvero in un mondo migliore di quegli anni di piombo oggi analizzati e visti con sospetto, osteggiati e vituperati? O la nostra apatia è uno stato della mente e dello spirito peggiore della vivacità intellettuale e quasi erotica di quel tempo che ha così tanto influenzato il nostro?
Facevano bene gli operai a combattere e teorizzare contro lo strapotere del Capitale, contro la compressione che dell’uomo ha fatto il fordismo fin dai Tempi Moderni di Chaplin?
Se noi oggi non combattiamo più, oppure lo facciamo con eccessivo tepore e disincanto, è perché quelle lotte sono state vinte oppure perché sono state perdute?
Ha ragione Toni Negri quando sostiene che per combattere il potere degli operai lo Stato e le istituzioni in genere hanno inventato complotti, facendo di tutta l’erba un fascio, cosicché l’opinione pubblica e la magistratura confondessero (anche dolosamente) la lotta per la giustizia sociale di certi movimenti dei lavoratori con l’attività più brutale delle BR?
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Fra i tanti passaggi poetici del libro, che attraversa la storia personale di Toni Negri come se fosse un racconto di Roberto Bolano, che accarezza i suoi amori e le sue paure, le sue amicizie e le sue serate in compagnia dei “compagni”, ne esiste uno particolarmente romantico, e disperato, che coglie Toni mentre esce da un cinema francese (siamo in pieni anni ottanta):
«Il primo film che vado a vedere, dopo quattro anni e mezzo (nei due mesi in Italia non ero mai andato al cinema) è Blade Runner. Rick Deckard, il protagonista, è un killer di Stato: raccoglie e applica nella sua caccia contro i replicanti – una sorta di mutanti biotecnologici – l’unanimità dell’interesse umano al mantenimento della specie. Ma anche lui sarà costretto dalla forza dell’imprevisto, dell’evento, all’amore per la replicante, e alla fuga senza fine nella quale riconquistare l’umanità che vendeva al governo e alla compagnia produttrice di mutanti.
In qualche modo mi sento anch’io un mutante: ma temo la lotta mortale cui i replicanti sono costretti. E allora perché continuo nella lotta? Cos’è questa memoria profonda di ribellione e rifiuto che sento di interpretare? Un impianto, come nei replicanti: però non è stato lo scienziato servile, il creatore di mostri, ma la tradizione delle lotte da cui vengo e da cui sono prodotto, a impiantarmelo.
Su Parigi oggi piove, come sempre nella Los Angeles futuribile di Blade Runner. Guardando Parigi dalla finestra dell’appartamento, nel continuo disordinato delle luci che si accumula di tetto in tetto, posso parlare con i fantasmi di libertà e rivoluzione che hanno illuminato le notti di Parigi. Tutto continua, e continuerà, fino a che non si darà la liberazione dell’umanità.»
Questo è Galera ed esilio, seconda parte dell’autobiografia di Toni Negri (e di un’intera generazione): un tentativo di comprendere il mondo che è stato, di indagare all’interno di un presente che si andava facendo futuro, mentre la differenza fra uomini e androidi si rarefaceva al punto da avere bisogno di spietati cacciatori di Stato, forse automi a loro volta, per tentare di capire con chi si aveva a che fare: se con un uomo vero o con una macchina. Interrogativo che, suggerisce Galera ed esilio, perderà di senso soltanto – e appunto – quando l’umanità sarà libera, senza più appelli né variazioni di condanna.
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