Attendere non è tempo sprecato. “L'arte dell'attesa” di Andrea Köhler
Quanto tempo della nostra vita impieghiamo sospesi nell'attesa? E chi aspettiamo? O cosa?
La giornalista svizzera Andrea Köhler nel piccolo saggio L'arte dell'attesa, pubblicato da Add editore con la traduzione di Daniela Idra, ci invita a prendere in esame quanto tempo effettivo trascorriamo sospesi nell'arco temporale tra un fatto e la sua realizzazione.
L'autrice descrive l'attesa come un monologo incessante che si protrae nel tempo e in ogni frangente ed evidenzia come a volte aspettare possa divenire un alibi per coltivare false speranze o una ragione per tenere aperte delle possibilità.
Necessario è saper distinguere l'aspettare con il subire poiché in realtà sono due cose con decorso differente.
Nel saper aspettare è intrinseca la capacità di adeguarsi alla lentezza degli eventi. È nel piacere della calma che l'attesa si consuma nel più conveniente dei modi. Le cose che si svolgono con lentezza sono le migliori, sarebbe opportuno e piacevole godere del torpore della prospettiva, saper attendere. Come esprimeva Kundera nel suo saggio La lentezza:
«Perché è scomparso il piacere della lentezza? Dove mai sono finiti i perdigiorno di un tempo? Dove sono quegli eroi sfaccendati delle canzoni popolari, quei vagabondi che vanno a zonzo da un mulino all’altro e dormono sotto le stelle? Sono scomparsi insieme ai sentieri tra i campi, insieme ai prati e alle radure, insieme alla natura? Un proverbio ceco definisce il loro placido ozio con una metafora: essi contemplano le finestre del buon Dio. Chi contempla le finestre del buon Dio non si annoia; è felice.»
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Cosa significa invece subire l'attesa? Attendere con apprensione in ogni istante di conoscere cosa ci aspetta dopo che essa finirà. Possiamo vivere accettando serenamente il mistero di cosa accadrà dopo? Raramente. Non è da tutti attendere in pace che la pazienza apra ogni porta.
Come descrive la Köhler, in realtà non facciamo che agitarci tra l'intervallo temporale che intercorre tra un evento e il suo verificarsi:
«Aspettare è una imposizione. Eppure è l'unica cosa che ci fa percepire fisicamente il logorio del tempo e ce ne fa conoscere le promesse. Esistono infinite forme di attesa: in amore, dal medico, alla stazione o nel traffico. Aspettiamo: l'altro, la primavera, i numeri del lotto, un'offerta, il pranzo, la persona giusta, e aspettiamo Godot. I compleanni, i giorni di festa, la felicità, i risultati sportivi, un referto. Una telefonata, il rumore della chiave nella toppa, il prossimo atto e la risata dopo il finale di una barzelletta. Aspettiamo che un dolore smetta e che ci colga il sonno o che il vento si plachi. Inerzia, distrazioni o noia: nel registro delle ore programmate, l'attesa è la pagina vuota da riempire. Che nel migliore dei casi ci ricompensa con la libertà.»
Analizzando il pensiero di importanti filosofi e scrittori (Barthes, Kafka, Nabokov, Nietzsche, Benjamin, Camus, Handke e Beckett e molti altri) la Köhler ci induce alla riflessione sulla preminenza della sospensione temporale nella nostra vita. E questo tempo pare essere dominante in modo conscio o meno.
La Köhler evidenzia come essere condannati ad aspettare sia il castigo dei tempi moderni. In particolare il «temporeggiamento burocratico» è l'esempio classico che custodisce la «nera essenza dell'attesa».
L'autrice evidenzia come sia stato Kafka «il primo a rappresentare con una metafora esistenziale il tempo ucciso in maniera insensata nel labirinto della burocrazia e il modo brutale in cui questa si appropria del tempo della nostra vita e del nostro corpo: l'assicuratore Gregor Samsa tramutato in insetto ne è la raffigurazione, divenuta una volta per tutte l'emblema della modernità. Il terrore al risveglio di Kafka è l'opposto della trasognata ricerca del tempo perduto di Marcel Proust».
È studiando Goethe che la Köhler mette in luce che si può aspettare “con desiderio”, “con impazienza” o “con dolore”. Quindi ne consegue che si possa esprimere anche a livello corporeo il senso di impotenza provocato dall'attesa:
«Aspettare procura dolore. Qualcosa si contrae in una regione del corpo, si crea una specie di corrente d'aria fra due porte lasciate aperte per distrazione. L'attesa ha diverse temperature. Si può aspettare con il freddo nel cuore o bruciando di desiderio».
In amore l'attesa comporta l'avvicendarsi di pensieri, lo sfogliare il repertorio dei nostri immaginari delle fantasie d'amore, che toccano l'essenza della nostra esistenza.
L'autrice cita Roland Barthes che nei Frammenti di un discorso amoroso sottolinea come aspettare e amare siano quasi sinonimi. La conclusione del saggio è quindi che «fra la natalità e mortalità gli Dei hanno posto l'attesa».
E in questa ultima fase si sviluppano i passaggi dei periodi di crescita: la fase fetale, l'infanzia, la pubertà fino alla morte. E tra le fasi essenziali dello sviluppo fisiologico dell'uomo si sovrappongano altre attese. Occorre quindi apprendere L'arte dell'attesa poiché non saper aspettare ci deruba della ricompensa della pazienza:«chi ha tutto viene privato della felicità dell'esaudimento».
Eppure, quanto abbiamo sacrificato in nome della frenesia? È un nodo cruciale di questo saggio. L'autrice tra le righe mette in luce la rivoluzione delle nostre abitudini e delle nuove schiavitù che ci siamo auto imposti (troppo tempo in attesa che la spunta di WhatsApp diventi blu!).
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Quanto tempo della nostra vita dunque impieghiamo sospesi nell'attesa? Praticamente l'intera esistenza. Tuttavia la Köhler ci invita a riflettere, come un piccolo manuale, sulla possibilità di prendere, se possibile, di nuovo in considerazione la piacevolezza del godersi il momento tra l'inizio e la fine degli eventi poiché il tempo, comunque venga utilizzato, rappresenta sempre una meravigliosa opportunità.
Per la prima foto, copyright: Quentin Dr.
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