“Arrovescio” di Francesca Chirico
I versi nelle cose devono per forza essere due: c’è il diritto e c’è il rovescio. Solo che da noi qualcuno li ha scambiati e ora bisogna rimetterli a posto.
Arrovescio di Francesca Chirico è questo: il rovescio delle cose che per una volta ha la parte principale. Rovescio è la storia e la fantasia che si intrecciano nella vita dei contadini e dei pastori che sono al centro della narrazione e che rappresentano l’esatto contrario dei notabili, dei ricchi, che tra la fatica nei campi e la sezione locale del Pci vogliono ritagliarsi il loro spazio. Un’epoca quella raccontata in cui si era appena usciti dalla seconda guerra mondiale e la vita non faceva sconti se non a Don Antonio che possedeva più di quanto gli era necessario. Tutti gli altri appaiono come lo sfondo di una storia che come le altre ad un certo punto sembra non avere il lieto fine sperato. Ma come si sa, la realtà spesso supera la fantasia e allora Francesca Chirico racconta della volontà di questi dominati di costruire una vera strada che potesse arrampicarsi meglio della mulattiera esistente su Gianbartolo, la collina che era di proprietà di Don Antonio. Il 13 ottobre 1950 duecento lavoratori cominciano a rovesciare le cose, tanti avvenimenti poi si mescolano e si inseriscono nella narrazione come tante voci di dolore, speranza e rabbia. Il popolo dei dominati appunto acquista man mano un’altra dimensione e si scopre vitale e artefice del proprio destino. Don Antonio cerca in tutti i modi di arginare il fiume in piena dei suoi concittadini che pur di vedere quella strada finalmente realizzata agiscono contro tutto e tutti. Non importa se la pena sarà il carcere, sarà duro lavoro senza riconoscenza, ma ne valeva la pena. La convinzione che, uno sciopero al rovescio, senza braccia conserte, ma con un piccone in mano, servirà a qualcosa non si avverte proprio perché non c’è pagina in cui compare sconforto o amarezza per la reazione dello stato: c’è tanta voglia di faticare per un diritto più che per una strada. C’è lo scontro dunque tra il mondo dei dominati che per una volta supera la proverbiale paura del potere, e quello dei dominanti che non accetta che chi è stato sempre succube diventa tutto d’un tratto lavoratore scioperante. Arrovescio è tutto questo, ma non pretende di essere storia: l’autrice ha studiato i documenti, ha visitato i luoghi, ha soprattutto ascoltato i racconti di alcuni degli artefici di quelle settimane di lotte. Poi, però, riconoscendosi cantastorie e non storica, ha messo tutto in mano alla fantasia. Francesca Chirico ha il merito che questa fantasia mista a storia è coinvolgente perché in quella Badolato possiamo intravedere ogni paese, in quei contadini ogni contadino, in quelle lotte ogni lotta. Ognuno di noi in quel lontano 1950 avrebbe subito le angherie di cui furono vittime quegli uomini, ma chissà se al loro posto avremmo agito in quel modo. Rimane il dubbio che come quelli chissà quanti altri avrebbero agito rischiando di impattare contro un sistema e una società in cui erano ai margini.
Arrovescio, premiato come miglior opera inedita al concorso nazione “Parole nel vento”, è tanto altro oltre che narrazione semplice chiara e veloce. Chi si avvicina a questa lettura non può fare a meno di leggere ininterrottamente scandendo le emozioni che si avvertono perché quelle persone e quelle sensazioni si toccano ed emergono dalle pagine come d’incanto. Dopo tre mesi lo sciopero al rovescio si conclude, finalmente un carro trainato dai buoi percorre la nuova strada. Si ha la sensazione a questo punto che la narrazione fantastica abbia lasciato il posto alla storia: quella strada esiste e Francesca Chirico ha contribuito a farla riecheggiare delle voci di un tempo.
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