Arnaut Daniel, le terzine provenzali nel “Purgatorio” di Dante
Parlando del linguaggio della Commedia, è noto il “mistilinguismo” utilizzato da Dante, la variazione cioè di registri che caratterizza le tre cantiche, dal gergo popolare al lessico aulico, dai termini volgari dell’Inferno al latino di Purgatorio e Paradiso. Ma nel Purgatorio, per l’esattezza al canto XXVI, sono presenti ben otto versi interamente in lingua straniera, un vero unicum nel poema.
Non solo Dante dimostra abilità di poetare in lingua d’oc, ma evidenzia anche un personaggio che gli sta a cuore, e le cui parole sono cariche di particolare significato.
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Siamo sulla settima cornice purgatoriale, dove son puniti i lussuriosi che scontano la loro pena tra le fiamme. Dante sta terminando il dialogo con Guido Guinizzelli, l’iniziatore dello Stil Novo, e questo maestro, a un certo punto, indica un’altra anima che spunta dal fuoco:
«O frate», disse, «questi ch’io ti cerno
col dito», e additò un spirto innanzi,
«fu il miglior fabbro del parlar materno.
Versi d’amore e prose di romanzi
soverchiò tutti; e lascia dir li stolti
che quel di Lemosì credon ch’avanzi.
(Pg. XXVI, 115-120)
Guido sta indicando Arnaut Daniel, un secondo maestro che per Dante ha lo stesso valore del primo, e che non a caso è definito “il miglior fabbro” della sua lingua natale; ciò significa che fu il miglior poeta della sua lingua volgare, in opposizione al latino, e più grande anche di Guinizzelli nel saper comporre versi strutturandoli nella sua parlata. La lirica provenzale di Arnaut ebbe la sua espressione tra 1180 e 1210, ed egli fu probabilmente il più grande esponente del “trobar clus”, ossia di una poesia difficile, impegnata in tecniche tanto raffinate e complesse da sfiorare i limiti dell’impossibile.
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Dante ammira molto il poeta provenzale, tanto da lodarlo nel De Vulgari Eloquentia e prenderlo come modello nelle Rime Petrose, cimentandosi nella sestina, la prova formale più ardua. Il Poeta si sente in debito verso Arnaut, e lo celebra nella sua opera utilizzando la lingua materna del trovatore, attraverso la quale traspare la voce dello stesso Dante. Le terzine provenzali chiudono il canto XXVI, ai versi 140-147,e sono la risposta a Dante, che aveva domandato al peccatore il suo nome:
«Tan m’abellis vostre cortes deman,
qu’ieu no me puesc ni voill a vos cobrire.
Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan;
consiros vei la passada folor,
e vei jausen lo joi qu’esper, denan.
Ara vos prec, per aquella valor
que vos guida al som de l’escalina,
sovenha vos a temps de ma dolor!»
«Tanto mi è gradita la vostra cortese domanda,
ch’io non mi posso né voglio nascondere a voi.
Io sono Arnaut, che piango e vo cantando,
guardo pensoso la passata follia,
e guardo gioioso, davanti a me, la felicità che spero.
Ora vi prego, in nome di quella virtù
che vi guida al sommo della scala,
vi sovvenga a tempo debito del mio dolore!»
Le parole sono dolci, il brano è musicale, profondo. Ci sono i termini tipici della poesia provenzale, “cantare”, “gioire”, “valore”, ma qui con accezione diversa rispetto all’uso che ne faceva in vita il trovatore; qui sono calati nella realtà del luogo in cui egli si trova, e allora la “joi” che egli spera diventa la “felicità celeste”, il “som de l’escalina” la vetta del purgatorio, il “temps” si riferisce al momento in cui Dante sarà dinanzi a Dio. La “folor” del brano richiama il “fol amor” provenzale, cioè l’espressione che in quella lirica indicava la follia amorosa, la passione; ma il passaggio da questo piano tutto terreno a uno spirituale è ben evidenziato dall’aggettivo “passada”, indicando che ora al posto della sregolata passione c’è la certezza della gioia divina.
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Arnaut qui pare quasi ritrattare il suo stile complesso, pronunciando un discorso piano e chiaro, delicato e quasi rivestito di pudore, domandando umilmente ai due poeti che si ricordino della sua sofferenza. Sembra davvero che nelle parole di Arnaut riecheggi la voce di Dante, e che il lirico provenzale sia uno di quegli spiriti del poema destinati a essere portatore di quei dolori, esperienze, speranze che appartengono a Dante stesso.
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Infine, va osservato come passaggi di questo discorso rimandino a testi reali di Arnaut e di altri trovatori. “Ieu sui Arnaut” è l’incipit di un congedo di Daniel; “Tan m’abellis” è un incipit scritto da Folchetto di Marsiglia; “jausen lo joi” richiama il “jauzirai joi” di una sestina di Arnaut. Vi è poi un intero verso di Guillelm de Berguedà che recita “consiros cant e planc e plor”, che riconsegna il “consiros” e il “plor e vau cantan” delle terzine dantesche.
Gli otto versi di Dante paiono riassumere così la maggior produzione della poesia provenzale.
Riferimenti bibliografici
Alighieri D., Commedia, con il commento di A.M. Chiavacci Leonardi, 3 voll., Purgatorio, Bologna, Zanichelli, 2001.
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