Anton Čechov, uno scrittore che ha occhi e orecchie
È dedicato ad Anton Čechov il libro di Fausto Malcovati, Il medico, la moglie, l'amante, edito da Marcos y Marcos, nella nuova collana diretta da Paolo Nori. Fausto Malcovati, biografo di Stanislavskij, offre al lettore la sua ampia conoscenza della letteratura, del teatro e del cinema russo, dimostrandosi lo scrittore ideale per "illuminarci" sulla vita e le opere di Čechov come se si trattasse di un suo amico di sempre, descrivendone la grandezza e le peculiarità, un autore che «non ha nulla di strano, è semplicemente uno scrittore anomalo rispetto al mondo in cui vive».
La narrazione parte da una cittadina sul Mar D'Azov, Tangarog, dove il 17 giugno 1860 nasce Anton Pavlovic Čechov, una città pigra, sonnolenta, sporca, in cui «il piccolo Čechov scruta il porto dalle finestre del primo piano e gioca con coetanei che parlano le lingue più disparate». Nipote di un talentuoso servo della gleba Egor, con un padre droghiere severo e perseguitato dai debiti, Čechov s’iscrive e si laurea in medicina, iniziando così la sua strana avventura umana, divisa tra l'amore per il mestiere di medico e il lavoro di scrittore che inizialmente ha fatto solo per sopravvivere (un suo racconto gli veniva pagato cinque copechi, il corrispettivo di un pezzo di pane). «Ho una moglie legittima, la medicina e un'amante, la letteratura: quando sono stanco della prima, mi rifugio dalla seconda, ma non ho nessuna intenzione di divorziare».
Quella del medico è per lui una passione irrinunciabile, visita soprattutto contadini e vecchi malati da cui non si fa pagare, raccoglie fondi per chi non ha neppure da mangiare e contemporaneamente scrive centinaia di racconti con lo pseudonimo di Čechonte. Si tratta di “raccontini” cui non dà importanza finché una lettera di Dmitrij Grigorovič gli cambia la vita. Fu proprio questo scrittore russo a cogliere in un racconto di Čechov del vero talento, suggerendogli la via per diventare scrittore: «smettete di scrivere in fretta [...] lavorate con calma, con precisione, scrivete con raccoglimento e concentrazione». Da quel momento Čechov moltiplica il suo impegno, sentendosi riconosciuto come vero scrittore.
La professione di medico lo aiuta a essere vicino a quei personaggi che descriverà nelle sue novelle «in cui si ride poco e resta sempre un grande amaro in bocca»; dei suoi protagonisti osserva le inquietudini e le insoddisfazioni, senza mai intervenire con soluzioni "salvifiche".
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Quando arriverà a San Pietroburgo, Čechov incontrerà l'editore Suvorin che gli offrirà la sua amicizia e condizioni molto più favorevoli per scrivere. Un sodalizio che durerà quattordici anni e sarà interrotto a causa dell'Affare Dreyfus, in cui Čechov, a differenza dell'amico, si esporrà per difendere l'ufficiale francese ingiustamente accusato.
Sarà una delle poche volte che lo scrittore russo prenderà una posizione netta, in controtendenza. Ogni volta che gli era stato chiesto di schierarsi anche politicamente, Čechov aveva contrapposto il suo: «io non sono un liberale, non sono un conservatore, non sono un progressista... vorrei essere un libero artista, nient'altro».
Ma anche scrivere gli costa: «per scrivere ho perso la nozione del tempo, do i numeri, sto diventando psicopatico, sono totalmente esaurito». Ormai i suoi racconti hanno un ritmo particolare e anche se sono incentrati su personaggi minori come il bambino Egornška (nel racconto Il Viaggio) o un cagnolino (in Kaštanka), lui usa la penna con estrema libertà, con un linguaggio parlato straordinario, lasciando perdere canoni e norme. Vuole essere uno scrittore che racconta quello che vuole e come vuole, senza dichiarazioni d'intenti, perché lui è soprattutto «uno scrittore che ha occhi e orecchie». Ecco perché Virginia Woolf dirà che Čechov «ha una melodia tutta sua, inconsueta» e Majakovskij lo definirà «il re della parola, quella parola che genera l'idea, non già l’idea la parola».
In Čechov «ci sono gli uomini, ci siamo noi», con la sua semplicità il suo essere sempre tra le righe, diverte e si diverte, senza perdere mai il controllo e una sottile ironia («la morte è la ricerca di un senso, che qualche volta non si trova, ma si muore lo stesso!»).
Con lo stesso controllo descriverà nel 1890 il suo viaggio in Siberia, all'Isola di Sachalin. È già malato di tubercolosi, ma non si sottrae a un viaggio spaventoso per la distanza, il clima e la condizione terrificante di coloro che sono rinchiusi in quella prigione zarista. È un reportage in cui convivono statistiche e sofferenze umane inenarrabili. Lo scrittore e il medico guardano, ascoltano, assistono alle punizioni più efferate, ma il tono non è mai esasperato o ossessivo, la prosa sintetica e asciutta. Forse per dimenticare quell'esperienza Čechov si stabilirà a Melichovo, in una casa piena di alberi e di fiori, tanto da lui amati, qui scriverà alcuni dei suoi drammi teatrali indimenticabili come Il gabbiano e Zio Vanja. Sarà proprio il fiasco della prima rappresentazione de Il gabbiano, fiasco che lo ferirà crudelmente, a fargli incontrare la donna della sua vita: l'attrice Olga Knipper. La loro storia d'amore durerà solo cinque anni tra separazioni, nostalgie, rimpianti, mentre scrive Il giardino dei ciliegi, emblema di un mondo che scompare per fare posto a chi quel giardino lo abbatterà, perché «in una società dove regna il profitto, non c'è salvezza per i giardini, perché chi ha i soldi per comprarli non ha la cultura per conservarli. La bellezza non rende, non ha dividendi».
Grazie a Malcovati e al suo libro Il medico, la moglie, l'amante abbiamo riscoperto un Čechov diverso, non solo grandissimo autore, ma uomo straordinariamente attuale. Ora non ci resta che aspettare l’arrivo di un suo erede.
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