Anteprima «Nuovi Argomenti» – L’avanguardia eccentrica di Amelia Rosselli
È uscito lo scorso 3 maggio il nuovo numero di «Nuovi Argomenti», dedicato alla poesia di Amelia Rosselli, come omaggio a breve distanza dall’anniversario della sua morte, avvenuta l’11 febbraio 1996.
Intitolato semplicemente Amelia Rosselli, la rivista raccoglie contributi, tra gli altri, di Nanni Balestrini, Antonella Anedda, Caterina Venturini, Gabriella Sica e Laura Pugno.
Pubblichiamo, qui di seguito, l’introduzione di Maria Borio al numero monografico e l’articolo di Gian Maria Annovi, dal titolo Un’avanguardia eccentrica.
Amelia Rosselli, «Nuovi Argomenti», 74, 2016
Introduzione di Maria Borio
«Nel pulsare di tutte le moltitudini».
Forse è questo uno dei versi attraverso cui oggi si può lanciare lo sguardo alla scrittura di Amelia Rosselli e ritrovarne la presenza almeno in almeno due fenomeni: una tonalità emotiva centrata su una pronuncia individuale e interiore, che si sgancia dalle poetiche del Novecento e cerca con fatica la propria autenticità espressiva; e la capacità di tenere insieme più linguaggi, musica, parola, diverse lingue. Questo verso, tratto dalla raccolta Sleep-Sonno, descrive in controluce l’assemblaggio che lavora le inserzioni semantiche e il ritmo come andamento tonale, ma anche come forma grafica, elaborando la poetica musicale e visiva descritta in Spazi metrici e dando vita a quello che potrebbe essere chiamato uno ‘sperimentalismo esistenziale’.
Nanni Balestrini, con una dedica in versi, ci consegna il suo «attimo in fuga»; Antonella Anedda, con una inedita poesia-saggio, restituisce un’interpretazione dell’incastro ibrido che lo sguardo a più livelli e a più voci della Rosselli può suggestionare; Roberto Deidier disegna uno scatto-documento emerso da un originale inventario privato.
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La vocazione di questa poesia ricrea, forse prima di tutto, l’affollamento dell’inconscio di un’interiorità contemporanea che pulsa come un sismografo in uno scambio tra l’esperienza e la storia, tra l’io e un essere – o ritrovarsi – personaggio. E il poeta, come Amelia Rosselli amava definirsi abolendo le distinzioni di sesso o scale d’appartenenza, è un universo che si compone e solidifica nei legami sonori, semantici e grafici, un universo che Stefano Giovannuzzi porta alla luce nei nodi tra la scrittura e la biografia, Alberto Casadei attraverso le possibili funzioni dell’inconscio biologico-cognitivo, Caterina Venturini nel rapporto tra la figura della madre e la psicoanalisi, Alessandro Baldacci nella ricostruzione di un simbolico mondo di presenze animali.
Caso unico nella poesia italiana del Novecento, la Rosselli fluttua in una solitudine eccentrica e «quadrata», che le permette di strizzare l’occhiolino a Sanguineti e alla Neoavanguardia, come ben ricorda Gian Maria Annovi, o ai palinsesti dei cosiddetti Novecento e Antinovecento, di cui parla Gandolfo Cascio scrivendo sul poemetto La Libellula. Nella sua unicità, tra la «variazione», che lavora musicalmente, e il «documento», che usa l’individualità come filtro della storia, la Rosselli tende a spossessare l’intenso inconscio lirico per farlo rifluire in una sorta di inconscio collettivo, in una sola moltitudine, incontro di tutte le moltitudini, con uno «sforzo per essere autentici», come diceva Amelia di Boris Pasternak, come scrive Laura Barile commentando i Nonnulli, e come si legge nei ricordi di Daniela Attanasio e Gabriella Sica.
Essenziale l’incastro tra le lingue, forse naturale antesignano di certe recenti tendenze al genere ibrido, che si riverbera nei lavori sulla traduzione: nei contributi di Jennifer Scappettone e di Daniela Matronola per l’inglese, e di Jean-Charles Vegliante per il francese. Infine, Laura Pugno, con un delicato ritratto lirico, e Ulderico Pesce, in una conversazione sulla rappresentazione teatrale di alcune opere di Amelia e del suo rapporto con Rocco Scotellaro, lasciano due fotografie in scrittura da conservare.
***
Un’avanguardia eccentrica
di Gian Maria Annovi
Nel suo celebre saggio intitolato Che cos’è la letteratura?, Jean-Paul Sartre rifletteva in questi termini sulle ragioni della scrittura: «per qualcuno l’arte è fuga; per qualcun altro un mezzo di conquista. Ma si può fuggire in un eremo, nella pazzia, nella morte; si può conquistare con le armi». Nella sua copia del volume di Sartre, Amelia Rosselli aveva segnato con un netto tratto di matita questo passaggio. Fino a una mattina di febbraio di vent’anni fa, la scrittura era stata per lei esattamente il contrario di una fuga verso la morte, ma certo – ha ricordato Andrea Cortellessa – una «fuga senza fine» come quella di Paul Celan. Per Rosselli, la poesia ha rappresentato piuttosto «l’arte di non lasciare spazio alla morte, di respingere l’oblio, di non lasciarsi sorprendere dall’abisso», come ha scritto, rispondendo alla medesima domanda di Sartre, la pensatrice femminista franco-algerina Hélène Cixous, che con Rosselli non condivide solo l’origine ebraica ma soprattutto un’esistenza fatta di spaesamenti geografici e linguistici. Scrivere è stato insomma per Rosselli una forma di combattimento e difesa, un’arma sguainata nella sua fin troppo nota «sfida al teschio».
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Non è però il nesso tra scrittura e travaglio esistenziale a rendere l’esperienza poetica di Rosselli una delle più straordinarie del secondo Novecento (e non solo di quello italiano), quanto l’originalità con la quale ha saputo costruirsi uno spazio autonomo e unico nel complesso panorama della sperimentazione poetica internazionale. Tuttavia, come ha ricordato Emmanuela Tandello, l’originalità di Amelia è spesso considerata da parte della critica come un problema, e la sua «una posizione eccentrica e tangenziale» rispetto alle canoniche coordinate di riferimento. Il caso più plateale di questa difficoltà a posizionare Rosselli all’interno del canone novecentesco è rappresentato dal suo rapporto con la neoavanguardia. È sufficiente collazionare le antologie e le storie della poesia italiana più autorevoli per rendersene conto.
La questione è stata recentemente riaperta polemicamente da Antonio Loreto nel suo volume I santi padri di Amelia Rosselli, dedicato in particolare al rapporto tra l’avanguardia e Variazioni belliche. La tesi di Loreto è che nonostante gli scritti e le interviste in cui Rosselli ha manifestato al contempo interesse e autonomia rispetto alla poetica della neoavanguardia italiana, non solo la sua poesia ma anche l’elaborazione del suo sistema metrico siano per molti versi debitrici delle esperienze del Gruppo ‘63 e, in generale, dell’avanguardia internazionale, che diventano paradossalmente – lo ha fatto notare giustamente Jennifer Scappettone – i veri protagonisti di questo libro. Il tentativo critico di Loreto è dunque quello d’inscrivere Rosselli all’interno della neoavanguardia, malgré elle, ridimensionando al contempo l’originalità del suo contributo, che appare dunque in parte derivativo e ritardatario. La soluzione rosselliana al problema metrico, per esempio, è definita da Loreto «ingenua rispetto alla soluzione data generalmente da Sanguineti e compagni»6 (soprattutto il Porta di Zero, che avrebbe intuito con maggiore rigore il significato metrico della forma grafica), salvo poi impiegare strumentalmente Variazioni belliche come arma contro i detrattori che all’avanguardia non riconoscono la capacità di riportare l’arte alla realtà e viceversa.
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Così definita, l’eccentricità rosselliana rispetto alla neoavanguardia ha una certa aria di famiglia. Rievoca, infatti, seppur involontariamente, la definizione del soggetto femminile, costantemente escluso e catturato dal discorso teorico costituito, in cui occupa una posizione marginale priva di autentica originalità. Per rifarsi al commentatissimo e provocatorio saggio di Simone de Beauvoir del 1949, Il secondo sesso, che individua il paradosso della donna nel suo non essere considerata soggetto autonomo ma sempre definito in relazione al soggetto maschile, sembra che anche Loreto riveli un paradosso molto simile quando tenta di negare a Rosselli una sua autonoma e originale identità ridefinendola a partire dall’avanguardia. Qui, sia ben chiaro, non è tanto in gioco la marginalità delle donne nell’avanguardia o all’interno del Gruppo ‘63, su cui Lucia Re ha già scritto lucidamente, ma la riproposta di dinamiche discorsive di inclusione-esclusione che creano un parallelo problematico tra la scrittura e la definizione metastorica del soggetto femminile.
L’analisi dei versi de La libellula che, secondo Loreto, forniscono «in qualche modo le coordinate rosselliane rispetto ad avanguardie vecchie e nuove» è da questo punto di vista un esempio paradigmatico della miopia essenziale nel considerare l’importanza del genere e della sua performance nella poetica e nell’opera rosselliana:
ma l’avanguardia è ancora cavalcioni su
de le mie spalle e ride e sputa come una vecchia
fattucchiera (La libellula)
Con l’intento di postdatare questi versi alla fondazione del Gruppo ‘63, Loreto suggerisce d’individuare l’origine dell’immagine della «vecchia fattucchiera» e dei «santi padri» con cui prende avvio il poemetto in una citazione di Roland Barthes riportata da Francesco Leonetti in un articolo del 1963 pubblicato su «Il Verri» («L’autore d’avanguardia somiglia agli stregoni delle società primitive»). La Rosselli, però, non rappresenta se stessa come un involontario San Cristoforo traghettatore di stregoni avanguardisti, ma – ironicamente – come coinvolta in una relazione ludica («ride e sputa») con un soggetto femminile eccentrico, appartenente a una generazione che la precede. Che le streghe siano diventate il simbolo della lotta femminista degli anni Settanta non pare di poco conto. La differenza principale tra la frase di Barthes e i versi rosselliani riguarda, infatti, il genere della figura preposta a rappresentare l’avanguardia, che non esclude – come sembra fare il semiologo francese – la possibilità doppiamente insopportabile, per dirla con Marguerite Duras, di uno scrittore d’avanguardia donna. Posto anche che di una ripresa di Barthes si tratti, Rosselli opera qui certamente quello che Luce Irigaray ha chiamato «ripetizione ludica», una parodia femminile, in questo caso dell’avanguardia, volta a destabilizzare il funzionamento discorsivo del maschile. È in quest’ottica di citazionalità ironica, che Irigaray definisce mimétisme, che Rosselli mette in scena la sua performance di genere tramite figure femminili, da Esterina a Ortensia, passando per Ofelia e Cassandra, che sono, di fatto, le figlie dei suoi supposti santi padri.
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Anche nell’indicare gli sforzi di Pasolini per far pubblicare Variazioni belliche da Garzanti come un tentativo riuscito di sottrarre Rosselli alla neoavanguardia, Loreto si limita a ripetere una vulgata critica che conferma l’immagine di un soggetto passivo, conteso e docilmente manipolabile. Tutto ciò assegna veramente poco credito alle costanti manifestazioni di autonomia di Rosselli, che includono la sua volontaria partecipazione a due dei convegni del Gruppo ‘63, il rapporto di collaborazione e stima con Porta, ma anche le ripetute manifestazioni d’insofferenza verso l’interpretazione pasoliniana della sua poesia, a partire dalla nozione di lapsus. Nello specifico, evocando ancora una volta le categorie di passività e mancanza di autonomia notoriamente attribuite al soggetto femminile, Loreto intitola assai significativamente «tolta alla neoavanguardia» la parte iniziale del suo saggio dedicata a Rosselli.
Anche la citazione di un brano della lettera che Rosselli scrive a Giuliani e Balestrini nel marzo 1989 è impiegata per mostrare una presunta incoerenza rossellina nell’esprimere il proprio debito verso la neoavanguardia. Eppure, in quella lettera, che rispondeva alla richiesta di fornire alcuni testi per una seconda versione dell’antologia del Gruppo ‘63, poi mai realizzata, Rosselli non si limita a indicare testi da Variazioni belliche e La libellula, ma anche da Documento, i cui versi «costruitamente liberi» sarebbero stati influenzati «da un certo tipo di sperimentalismo forse dedotto dagli incontri ’63-‘66». Alla scelta di quei testi occorrerebbe ovviamente prestare un’attenzione che queste poche pagine non consentono, ma non c’è dubbio che per Rosselli non si debba certo a Spazi metrici il suo presunto debito con la neoavanguardia, tanto da farle scrivere, non senza ironia, che «nel Gruppo ‘63 nessuno s’occupò del problema che in quel saggio esposi avendolo secondo me risolto: ciò mi pare strano da parte di un gruppo di scrittori d’“avanguardia”».
Collocandola a posteriori dentro l’avanguardia e insieme ai suoi margini, anche Loreto crea un soggetto rosselliano eccentrico, salvo non comprendere che proprio il suo collocarsi lontana da ogni centro discorsivo, è in realtà un intenzionale dis-locamento da parte dell’autrice. Mutuo quest’espressione da Soggetti eccentrici, un saggio ormai lontano ma ancora fondamentale di Teresa de Lauretis, in cui la studiosa impiega il concetto di eccentricità per auspicare un nuovo corso del pensiero femminista, definendo l’essere eccentrici come la scelta, la possibilità consapevole di un «soggetto che contemporaneamente risponde e resiste ai discorsi che lo interpellano». Il concetto di dis-locamento, che sembra risuonare con l’illocalità di Emily Dickinson, in versi tradotti da Rosselli dove il termine indica l’alternativa alla «vicinanza al Tremendo» e all’«Aderenza alle Leggi», significa così dis-identificarsi «da un gruppo, una famiglia, un sé, una “casa”, […] tenuti insieme dalle esclusioni e dalla repressione che sottende ogni ideologia del medesimo».
È nella sua lingua poetica sempre irriconoscibile e aliena, mostruosa e incandescente, sperimentale e classica, che Rosselli ha rifiutato di identificarsi non solo con i gruppi, le mode e i padri, ma ha anche voluto impedire di essere fissata da altri in un’identità che interrompesse la sua fuga da una casa come homicile (domicilio/omicido). Rosselli, insomma, ha scelto di assumere poeticamente una postura radicalmente eccentrica, «che non è solo personale e politica, ma anche testuale, una pratica di linguaggio nel senso più lato», per abitare una posizione di resistenza, per agire e pensare secondo modalità di conoscenza alternative, ma soprattutto per mantenere nella scrittura quella libertà di cui non solo La libellula, ma tutta la sua opera rappresenta uno straordinario panegirico. Per lei, infatti, è proprio «il margine che ti lascia libera», come si legge in un verso di Serie ospedaliera. Solo considerando quest’affermazione di libertà, ripetuta babelando da un’ostinata e consapevole posizione marginale, si può comprendere il valore dell’avanguardia eccentrica di Amelia Rosselli.
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