“Anima e sangue – lo specchio e l’ombra” di Pina Varriale: una Napoli antica e oscura
È uscito per la casa editrice Imprimatur Anima e sangue – lo specchio e l’ombra, romanzo di Pina Varriale, scrittrice e giornalista napoletana, che è soprattutto autrice di numerosi e interessanti libri per bambini, tra cui spicca il pluripremiato Ragazzi di camorra (Piemme, 2007) Questa volta, l’autrice si rivolge a un pubblico adulto, con un denso romanzo storico che ci trasporta nella settecentesca Napoli borbonica.
La vicenda, infatti, è ambientata nella città partenopea nel 1737, agli inizi del regno di Carlo III di Borbone. Raffaele, un figlio del popolino dotato di una voce da usignolo, giace prigioniero in una segreta buia, strappato alla sua famiglia e privato della sua virilità: dovrà essere iniziato a diventare uno tra i migliori castrati, per essere poi donato a Raimondo di Sangro, principe di Sansevero. Personaggio storico, nobile eclettico e anticonformista, il principe non si fa scrupolo di sbeffeggiare la legge e la religione, creandosi non pochi nemici a corte. Non fosse per Rosella, la fanciulla dai seni in miniatura e dal ventre da bambina, che è diventata la sua amante segreta, Sansevero si sentirebbe solo e incompreso. È grazie a lei, piccola prostituta strappata alle grinfie di un triste destino, che il principe riesce a dare un significato al suo vivere. Ma, a un tratto, tutto precipita: una serie di strani delitti tra i nobili in vista della città minaccia il precario equilibrio di Raimondo e mina la stabilità del governo. Al polso dei cadaveri viene sempre trovata una corda con tre nodi e attorno ai loro corpi è sparsa una polvere bianca che sembra calcina. Come mai? Starà a un'improvvisata investigatrice, mossa dal desiderio di vendicare la morte del suo amore, districarsi tra le mille voci di questa storia, rintracciare e ricollegare i fili nascosti e trovare il colpevole, ristabilendo così l'ordine.
Partendo dalla biografia autentica di Raimondo di Sangro, curiosa figura di nobile inventore e scienziato, avido di sapere e per ciò stesso in contrasto con l’ignoranza e la superstizione dei suoi contemporanei, la Varriale costruisce una vicenda complessa, mescolando personaggi realmente esistiti ad altri di fantasia: il giovane e impacciato re Carlo III, nobili e ministri che sembrano perennemente impegnati a cospirare l’uno contro l’altro per guadagnarne i favori, cortigiani, dame e religiosi che frequentano la corte.
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Attorno a loro vive e si muove però la vasta Napoli popolare, fatta soprattutto di miserabili, di ruffiani e di scugnizzi, di donne costrette a vendersi per sopravvivere o impegnate a crescere legioni di figli all’interno di misere abitazioni, di mercanti e di ladri sempre in cerca di una buona occasione per arraffare qualcosa. Una Napoli spesso cupa, inquietante, fatta di case buie e malsane, collocate in un dedalo di vicoli bui e soffocanti, di cui durante la lettura sembra davvero di percepire la miseria, la sporcizia e i miasmi che la pervadono e dove non si riesce nemmeno a sentire la presenza del mare, che pure si stende davanti alla città.
Seguiamo quindi, per quasi cinquecento pagine, soprattutto le intricate vicende che vedono Raimondo di Sangro impegnato a difendersi dagli attacchi dei suoi nemici. La narrazione si sposta però di continuo, seguendo le azioni di una vasta schiera di personaggi e conducendo il lettore da un luogo all’altro della città, alla ricerca di qualche indizio che permetta di spezzare una catena di delitti apparentemente senza fine, rintracciandone una buona volta l’autore, ma soprattutto il mandante occulto.
Se la ricostruzione storica appare molto accurata e verosimile, quello che però non convince in Anima e sangue sono i dialoghi tra i personaggi, perché se i rapporti tra i popolani sono coerentemente regolati dall’uso del “voi”, troppo spesso il linguaggio usato dai nobili, a partire dallo stesso Raimondo di Sangro, appare davvero troppo contemporaneo rispetto all’ambientazione settecentesca: stona parecchio, ad esempio, un “assolutamente sì” posto sulla bocca del principe di Sansevero.
Considerando il formalismo che ha regnato nei rapporti sociali almeno fino a tutta la prima metà del ventesimo secolo, quando usare il “tu” tra gli adulti era ancora circoscritto all’ambito strettamente familiare e agli amici intimi, riesce davvero difficile immaginare che persone appartenenti alla nobiltà borbonica del 1737 si esprimessero, subito dopo essersi conosciuti, con l’estrema disinvoltura e confidenza descritta nel romanzo. E questo, soprattutto, nel caso in cui il dialogo avvenisse tra un uomo e una donna, all’epoca separati da molte barriere, anche linguistiche. Questo ci sembra, in definitiva, il principale difetto di Anima e sangue, accanto al pregio di una narrazione che si mantiene avvincente fino al complesso svelamento finale di trame e complotti.
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