Anguria connection
Qual è il prezzo giusto per un’anguria? Sessanta, quaranta, venti centesimi al chilogrammo? Comprarla a chilo o a pezzo, tipo a due euro a frutto? L’anguria ha un costo relativamente basso determinato da due fattori: cresce facilmente, perché necessita di sola acqua, e viene raccolta con sistemi di sfruttamento e abbattimento del salario da regime neoschiavistico.
Le angurie vengono raccolte a tir, non più a cassoni. Squadre di braccianti sollevano le angurie e le trasportano, a una a una, sulla schiena fino ai camion posti normalmente ai margini dei campi. Questo trasporto a mano non viene pagato ad anguria, ma a tir riempito.
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A seconda del peso del tir, la squadra di braccianti percepisce un compenso, un salario, che si aggira intorno agli 8 centesimi al chilogrammo. In questo modo, un bracciante per raggiungere una paga di circa 25 euro deve raccogliere 3 quintali di angurie. Se una squadra è composta da una decina di braccianti, il tir, che può arrivare a trasportare alcune tonnellate di frutta, è pieno. Questo carico di lavoro non viene distribuito quasi mai dentro una tabella oraria, ma in una giornata. Prima si riempie il tir, prima si esce dal campo. E quando i tir da riempire sono più d’uno, il rischio che si resti sui campi anche dodici ore è altissimo.
Nessuno, davvero nessun supermercato o venditore ambulante può certificare il lavoro che c’è dietro la raccolta delle angurie, perché l’Italia non certifica il lavoro agricolo, ma si limita a garantire, non sempre, la qualità del prodotto.
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Allora perché i prezzi delle angurie variano così tanto da punto vendita a punto vendita? Perché la grande distribuzione inserisce alcuni anelli alla catena della commercializzazione. Gli anelli che fanno lievitare il costo delle angurie si chiamano grossisti. Sono i grandi compratori al servizio del mercato e dell’industria alimentare. Sono quelli che determinano il prezzo al chilo al produttore (che quasi mai raggiunge i venti centesimi) e, di conseguenza, il costo del lavoro. Più grande è la domanda da parte dei grossisti, più saranno bassi il prezzo del prodotto e il salario dei braccianti. Siamo di fronte alla negazione delle leggi di mercato, dettata da un fattore che intossica l’agricoltura italiana da oltre un ventennio: l’oligopolio dei grossisti. Un manipolo di grandi compratori, spesso riuniti in cartelli, detta legge sul mercato.
Vale per le angurie come per il pomodoro, ma anche per gli asparagi, per le fragole, eccetera.
L’effetto è quello di una dipendenza netta della produzione da queste figure di mezzo che mettono in relazione domanda e offerta, grande distribuzione organizzata e produzione. E più lunga è la catena, più si abbatterà il costo del lavoro dei braccianti e la rendita dei produttori. Gli effetti sulla terra sono due: 1) coltivazioni intensive a monocoltura, quindi cancellazione della biodiversità territoriale; 2) abbandono graduale della terra e conseguente ricostituzione del latifondo.
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Al Sud, nel territorio di Nardò e in quello di Agrigento, patrie dell’anguria, questi due effetti stanno deprimendo l’agricoltura e impoverendo la terra, sottomettendo la produzione a investimenti sempre più in odore di mafie.
Stiamo dunque attenti quando mangiamo un’anguria, perché nessuno può garantirci, nemmeno il prezzo, cosa c’è dietro questo frutto così dolce e succoso.
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