Andrian Păunescu e la generazione in jeans
Se l’intero mondo conosce gli anni ’70 e ’80 della Romania come il periodo della dominazione comunista e di Ceauşescu, i romeni ricordano, oltre ai difficili momenti senza luce, gas e acqua calda, la leggendaria generazione in jeans, generaţie în blugi. E la ricordano con una lacrima, se a quei tempi erano giovani, oppure con un sorriso se quegli anni li hanno conosciuti solo dai racconti e dai filmati su youtube. Generazione in jeans e scarpe da ginnastica di sospetta provenienza, un simbolo, un modo di essere, un modo di vivere, un’unica voce e milioni di tonalità per cantare le canzoni di Cenaclul Flacăra (Il Circolo Fiamma) alla cui guida e le cui parole appartenevano al grande poeta Adrian Păunescu, spentosi il 5 novembre 2010.
Dell’uomo politico Adrian Păunescu, dei suoi poemi elogiativi nei confronti della dittatura o quelli dedicati a criticarla, altri si sono espressi con parole migliori e, forse, ormai poco importa. A tal proposito, Păunescu stesso, in un articolo apparso su Jurnalul Naţional, sosteneva che «durante il regime ero incolpato di non essere corretto e disciplinato nei confronti delle linee del partito. Dopo la morte di Ceauşescu ho sopportato per anni i biasimi per aver elogiato il dittatore in certi momenti politici. A 20 anni dalla sua morte, Ceauşescu riguadagna un posto di merito nella storia nazionale. Tante persone lo reclamano a squarciagola. Su questa questione non posso esprimermi in termini così categorici. Anzi, io credo che il sistema doveva cadere». In occasione dei funerali del poeta, il Ministro della Cultura Hunor, ha trasmesso un comunicato nel quale affermava che Păunescu ha vissuto la propria vita con errori umani, ma anche con generosità da angelo. E si iscrivono proprio nella generosità angelica gli oltre 50 volumi di poesie, per un totale di oltre 300.000 versi, una testimonianza che la Romania ha perso un poeta prolifico. E, di certo, è grazie alle sue liriche se la Romania, alla quale i sogni erano proibiti, ha sognato.
Nato a Copăceni (Basarabia, attualmente Repubblica Moldava), il 20 luglio 1943, Păunescu esordisce come poeta nel 1960, mentre nel 1973 conduce la rivista Flacăra (La fiamma) e viene destituito dalla carica nel 1985 usando il pretesto dello scandalo avvenuto durante un concerto del Circolo a Ploieşti. Per molti la verità è che le poesie di Păunescu erano divenute scomode per il regime, considerando che una parola smuoveva più animi di intere giornate dedicate alle parate nazionali. Per questa ragione, nello stesso anno, vengono sospese anche le attività del Circolo.
Porta la data del 21 giugno 2010 l’ultimo articolo di Păunescu in cui aveva deciso di parlare di sé, pubblicato su Jurnalul Naţional. «Compirò tra poco 67 anni. Temo di aver dimenticato di rallegrarmi per l’anniversario del mio giorno di nascita». Se lui lamentava una simile dimenticanza, sicuramente la Romania non resterà vittima dello stesso oblio. A sostegno di questa ipotesi, i milioni di partecipanti per l’ultimo saluto a un uomo che ha segnato la storia della letteratura romena. La adio tu, all’addio tu, e pământul tot mai greu, è la terra sempre più pesante, sono solo stralci di poesie recitate a gran voce da chi è accorso per dire addio al poeta, alla generazione in jeans, ai sogni sorti sotto un palcoscenico quando una chitarra faceva da sfondo alle poesie.
Eppure l’amore esiste/E la morte esiste in lui, scriveva il poeta,ma, si potrebbe aggiungere, l’eternità è nei versi con i quali ha emozionato intere generazioni.
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