Anche gli adulti dovrebbero leggere i libri per ragazzi di Bianca Pitzorno
Per chi è nato negli anni Ottanta e Novanta, il nome di Bianca Pitzorno rievoca senz’altro un ricordo legato alle scuole elementari, quando le maestre usavano i suoi romanzi come materiale didattico. Di origini sarde (è nata nel 1942 a Sassari) ma trapiantata a Milano, ha all’attivo numerosi romanzi: l’ultima fatica è Il sogno della macchina da cucire (Bompiani, 2018) che l’autrice ha raccontato su questo blog in un’intervista (si può leggere qui); preceduto da La vita sessuale dei nostri antenati (Mondadori, 2016), due romanzi dedicati a un pubblico più adulto e maturo. Ma Pitzorno, come si accennava all’inizio, è una pietra miliare della narrativa italiana per ragazzi: tra le pubblicazioni dedicate ai più piccoli, che vantano numerose e continue ristampe, troviamo La casa sull’albero (Mondadori, 1990); L’incredibile storia di Lavinia (Mondadori, 1991); Tornatràs (Mondadori, 2000); e il più famoso tra tutti: Ascolta il mio cuore (Mondadori, 1991) nel quale debuttano i personaggi di Prisca, Elisa e Rosalba, alunne delle scuole elementari nella Sardegna degli anni Cinquanta. Il romanzo è il primo della cosiddetta “trilogia di Lossai”, seguito da Diana, cupido e il commendatore (Mondadori, 1994) e Re Mida ha le orecchie d’asino (Mondadori, 1996), che meritano, soprattutto questi ultimi due, di essere riscoperti dai ragazzi di oggi: in un momento storico dove ai più giovani basta un “click” per conoscersi, sarebbe importante riscoprire un periodo non troppo lontano durante il quale non solo non esistevano i telefoni cellulari, ma capitava di aspettare per intere settimane una lettera scritta a mano, e i rapporti umani si costruivano, con pazienza, giorno dopo giorno. A questo proposito sono preziosissime le prefazioni dell’autrice ai romanzi, una sorta di “libretto di istruzioni”.
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In Diana, cupido e il commendatore ritroviamo il terzetto diventato famoso nel primo romanzo della serie, ormai alunne delle scuole medie che qui ricoprono un ruolo secondario: protagonista della storia è infatti Diana Serra, che detesta le sue lunghe trecce imposte dalla madre e ama andare al cinema (un cinema senza 3D ma capace di far sognare lo stesso, se non di più), innamorandosi di un attore e sognando che la porti via con sé, così da potersi tagliare finalmente i capelli e vivere senza regole. La vita della ragazzina viene stravolta quando il secondo marito della madre, Manfredi, sparisce lasciandole sul lastrico. A quel punto Astrid, donna altezzosa con la servitù e distaccata con le figlie, dovrà abbassarsi a chiedere aiuto al nonno di Diana e Zelia, il commendator Serra, che le due bambine non ricordano nemmeno. L’uomo accetta di aiutarle, ma a patto che si trasferiscano da Lossai a Serrata, nella sua villa. Qui Diana ritrova la famiglia paterna, gli zii e la cugina, diventa amica di Prisca, Elisa e Rosalba e si appassiona all’Iliade, studiata a scuola: nelle sue lunghe lettere all’amica di sempre, Teresa, rivivono le battaglie di Achille ed Ettore, l’astuzia di Ulisse e le lotte tra gli dei, una storia senza tempo che ha il potere di appassionare tutte le generazioni. Ben presto Diana si rende conto che il nonno, pur avendo un carattere burbero e scontroso, è sinceramente affezionato alle nipoti e dunque non corrisponde affatto al ritratto di uomo vendicativo e volgare tracciato da Astrid. Va sottolineato che nei romanzi di Pitzorno le figure materne, spesso, sono distaccate e sfuggenti, e raramente riescono a cogliere i desideri e le aspirazioni delle figlie, alle quali rimangono estranee: è proprio il caso della madre di Diana, troppo occupata a rimpiangere il secondo marito per accorgersi dello smarrimento delle figlie in questa nuova vita. Infatti, a raccogliere le confidenze delle due bambine ci pensa Gavinuccia, che per la madre è solo una cameriera, non certo un’amica alla quale dare troppa confidenza. Nel romanzo emergono anche i pregiudizi di classe, tutt’altro che superati: quando il commendatore annuncia di volersi sposare con una sarta, vedova e di umile condizione, i familiari cospirano contro di lui, facendolo rinchiudere in manicomio. Saranno le due nipoti a salvarlo, con il prezioso aiuto del terzetto di amiche e dell’unico adulto che le prende sul serio, lo zio cardiologo di Elisa, Leopoldo, figura chiave anche nel primo romanzo, che intuisce lo zampino di un collega disonesto. Il commendatore può finalmente sposarsi e liberarsi dei suoi parenti serpenti (come li chiamerebbe Monicelli) mentre Astrid sceglie di raggiungere Manfredi. Diana e Zelia scelgono di restare con il nonno, e Diana, ormai dimentica del suo amore per il divo, impara che la vita può essere più originale di un film.
Leggendo Re Mida ha le orecchie d’asino si esplora una Sardegna selvaggia e avventurosa: il romanzo si svolge sull’isola Serpentaria, dove la vita, nella metà degli anni ’Cinquanta, è spartana ed essenziale: non ci sono alberghi, non c’è luce elettrica né acqua corrente, il telefono si usa solo per le emergenze; la neonata televisione non si sa neanche cosa sia, per non parlare del cinema. Qui è cresciuta Làlage Pau da quando il padre è diventato medico condotto dell’isola. Alla ragazzina la vita così essenziale non dispiace affatto: con la sua migliore amica Irene, la figlia dei proprietari dell’unico bar sull’isola, inventa storie, si prende cura di due tombe nel piccolo e trascurato cimitero e soprattutto si confrontano in difficili discorsi sulla morte e sui cambiamenti del corpo, sulla vita che vorrebbero vivere da adulte. Nemmeno la distanza riesce a spezzare questa amicizia: Làlage è infatti costretta a trasferirsi sulla terraferma durante l’inverno per proseguire gli studi alla scuola media, ma le due intrattengono un fitto rapporto epistolare. Tutto cambia quando Tilda, cugina maggiore di Làlage e da lei sempre tenuta a modello, è costretta per un complotto familiare a trascorrere le vacanze sull’isola. Già dalle prime pagine Pitzorno ben descrive il divario che si crea tra adulti e ragazzi: la madre della protagonista, Franca, non solo non intende dirle il motivo della punizione di Tilda, ma vorrebbe plasmare la primogenita a suo modo, non riuscendoci mai. Vorrebbe infatti che smettesse di frequentare Irene, figlia di “bottegai, piccolissimi borghesi” e fare invece amicizia con le figlie della sua amica Anna Lopez (parenti, e questo è l’unico legame con i precedenti romanzi, di Sveva Lopez del Rio, acerrima nemica del terzetto di Ascolta il mio cuore), ragazze antipatiche e invidiose, va bene, ma di giusta posizione sociale. Fatto sta che Tilda, bella e arrogante, fa di Làlage la sua confidente, trascinandola in un vortice di segreti, e allontanandola sempre di più da Irene. Anche la punizione di Tilda è frutto di pregiudizi sociali: il suo fidanzato, Giorgio, è figlio “di un’erbivendola” e come tale non deve essere frequentato. Separare i due ragazzi durante l’estate, quindi, è l’unico rimedio. Làlage diventa l’aiutante dei due innamorati, cominciando a dire bugie su bugie, e non potendo neanche sfogarsi come il barbiere di Re Mida (il titolo è efficacissimo). Tilda, con il suo egoismo, riesce a spezzare, seppur per poco, il legame tra le due amiche, non intendendo sostituirlo con un’amicizia altrettanto salda: “Tu non sei una mia amica, sei solo mia cugina”. Franca, come la già citata Astrid, non condivideva la passione di Diana per il cinema, non capisce e anzi irride l’amicizia della primogenita con “gli amici di Tespi”, un gruppo di attori dilettanti che approda sull’isola per una serie di rappresentazioni. Anche qui, il motivo è prettamente sociale: possono andare bene Gassman e Randone, non certo spettacoli recitati “da cani” da un gruppo di “poveracci”. Làlage si affeziona a Francesco, uno degli attori più giovani, e descrive nel suo quaderno delle vacanze tutta la compagnia, formata da anziani e da bambini, che conduce una vita precaria ma, ai suoi occhi, affascinante e degna di un romanzo. Quando Francesco, così gentile, bello e paziente, muore all’improvviso per l’aggravarsi della sua malattia, la tubercolosi, per Làlage la vita assume un aspetto diverso, reso ancora più tragico quando Tilda le rovescia addosso il suo ennesimo segreto. Ancora una volta, la madre non capisce il suo turbamento, pensandolo dovuto, semplicemente, al dispiacere per la fine delle vacanze. Questa improvvisa maturità ha però un lato positivo: Làlage non è più ammaliata da Tilda, è diventata indipendente, come ci fa capire l’autrice nelle ultime righe del romanzo: «Quando Làlage tornò a Lossai trovò che Tilda si era tagliata i capelli cortissimi. Ma non aveva molta voglia d’imitarla. Quell’anno all’Adorazione era di gran moda la coda di cavallo».
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Diceva Italo Calvino: “I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito: «Sto rileggendo» e mai «Sto leggendo»” – E sulla saggezza dello scrittore ci sarebbe molto da dire, ma basta leggere questo articolo per averne un assaggio. Ecco, i libri di Pitzorno non devono essere classificati solo come narrativa per ragazzi, perché possono (e devono) essere letti anche da un pubblico maturo, più adulto, che può cogliere alcune sfumature inespresse. Tutti però possono godere del passato ben raccontato da Pitzorno, una memoria intessuta di ricordi sempre attuali.
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