Anatomia di un editore rivoluzionario, gli ultimi giorni di Giangiacomo Feltrinelli
Il giornalista Aldo Grandi non sembra voler passare sopra al cinquantesimo anniversario della morte dell’editore Feltrinelli e rimette in fila gli ultimi anni della vita del grande editore, soprattutto quelli passati in clandestinità (dopo la strage di Piazza Fontana). Se nel 2000 il giornalista toscano scrisse Giangiacomo Feltrinelli, La dinastia, il rivoluzionario, ora al centro c’è in qualche modo la strampalata morte dell’editore Giangiacomo Feltrinelli sotto quel traliccio dell’Enel a Segrate (Gli ultimi giorni di Giangiacomo Feltrinelli, uscito lo scorso mese per Chiarelettere), con un metodo nell’agguato ai tralicci che avrebbe voluto seguire il grande blackout del 1965 che bloccò quasi tutto il Nord-est degli Stati Uniti e che portò quasi tutto il paese nordamericano ad essere quasi travolto dal caos. Feltrinelli esalò l’ultimo respiro, steso in quel campo di grano e senza una gamba, strappata via dall’esplosione. Prima di quell’esplosione e negli anni Sessanta l’editore milanese aveva cercato di studiare le possibilità di un movimento separatista, prima in Sicilia e poi in Sardegna, con risultati che furono sempre scarsi. La vicenda della casa editrice Feltrinellilo ha segnato naturalmente fin dall’immediato dopoguerra, quando da una famiglia fortemente conservatrice fu il primo e forse l’unico “vero” editore indipendente che sposò la fede comunista:
«L’importanza della cultura, il suo senso di vicinanza ai più deboli e agli oppressi, la coscienza di voler fare tutto per dimostrare a sé stesso e agli altri di essere diverso da ciò che avrebbe dovuto essere per tradizione e origini, lo condussero a imboccare una strada che a chiunque sarebbe apparsa dura ai limiti dell’impossibile… Quando Feltrinelli, nel 1955, scelse di aprire in via Andegari la casa editrice, lo fece senza immaginare che di lì a pochi anni sarebbe stato in grado di diventare uno degli editori più promettenti, intraprendenti, famosi e ammirati a livello mondiale».
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Le cose furono naturalmente avvantaggiate dalla fortuna editoriale di alcuni bestseller come Il dottor Zivago di Boris Pasternak e Il gattopardo di Tomasi di Lampedusa. Negli anni Sessanta la casa editrice venne in qualche modo “spogliata” dalla neo-avanguardia e quegli anni furono abbastanza gravi per lui, ma non per le sue librerie che diventarono ben presto un polo veramente innovativo:
«Diede una svolta, questa sì autoritaria, ma anche autorevole, alla impostazione e alla disposizione delle librerie, che voleva innovative, dirompenti, lontane dall’anchilosi-antichità dei tempi andati, luoghi di incontro e di transito piuttosto che di sosta cupa e infinita… Materializzò nuove strategie di vendita, annichilendo avversari e concorrenti e conquistando fette di lettori sempre più consistenti… Era come una pallina impazzita in quei flipper che aveva preso a installare, unico e per primo, proprio in alcune delle sue librerie e dove, quando ci andava, amava fermarsi a passare un po’ di tempo. Geniale come pochi, sperimentatore come nessuno.»
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I primi anni Settanta, gli ultimi nella vita di Feltrinelli, furono dedicati al combattimento dell’autoritarismo nazi-fascista (in Europa e in America del Sud, come in Bolivia quando Che Guevara venne addirittura ucciso nel 1967, mentre nel 1971 la rivoluzionaria tedesca Monika Ertl vendicò la vittima, tramite un’arma regalata dall’editore e uccise l’ex capo dei servizi segreti boliviani, Roberto Quintanilla, venendo alla fine colpita qualche anno dopo in un agguato nella guerra boliviana) e alla rivoluzione in cui l’editore si circondò, a volte in modo superficiale del mondo “rivoluzionario” italiano: le prime Br, Franco Piperno, Oreste Scalzone, Valerio Morucci… Una galassia che forse spense quello che l’editore stava cercando e lo spinse a una già decisa indipendenza:
«Come abbiamo invece visto, Giangiacomo Feltrinelli fu sostanzialmente libero di muoversi in lungo e in largo per l’Italia e all’estero. Se arrivava a nascondersi, a mascherarsi, ad assumere atteggiamenti e comportamenti stralunati e inconcepibili davanti a chi lo frequentava anche occasionalmente, fu soltanto perché era preda di un’ossessione: quella di trovarsi alla vigilia di una trasformazione rivoluzionaria della società che avrebbe radicalmente mutato i rapporti di forza tra capitale e lavoro, tra i popoli oppressi di tutto il mondo e coloro che li avevano costretti a vivere nella miseria, senza dignità».
Per la prima foto, la fonte è qui.
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