Analisi del “Tieste” di Seneca. Atreo, quando l’ira degenera in furor
Dopo aver analizzato il ruolo della Medicina pneumatica nella Medea di Seneca, si possono riscontrare i medesimi influssi pneumatici anche nella tragedia senecana del Tieste. In essa viene narrata la vicenda di Atreo, il quale, dopo essere stato esautorato dal potere dal fratello Tieste, grazie all’aiuto di Giove, riesce a riconquistare il trono di Micene e inviare in esilio il fratello.
L’inizio del dramma mostra, già da subito, quale sarà l’alone di disperazione maniacale che invaderà la vicenda: la causa scatenante è determinata dal ritorno in città di Tieste che, stanco delle lotte fratricide, vuole riconciliarsi con Atreo ma questi, per vendicare i mali subiti, vuole realizzare un facinus mai compiuto in precedenza e del quale tutti si ricorderanno. Inizia così la progettazione di uno scelus abnorme che nasce da un’afflizione profonda, covata per un decennio: sono i segni della melancolia depotenziante che ha portato il sovrano a non essersi mai risoluto per un’azione concreta contro il fratello. Si leggano i primi tre aggettivi del suo monologo iniziale:
«Codardo, fiacco e senza nervi… peggio ancora per un sovrano, quando è in gioco il potere: invendicato Atreo…»
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Essi esprimono una condizione di staticità, di stasi melancolica che cerca uno sbocco per una “scarica biliare”, per la realizzazione della sua vendetta. Egli, benché iratus, non riesce a superare la reticenza del suo animus verso l’adsensus animi, prima, e l’impetus compositus, poi. Dall’autoaccusa di ignavia si passa alla volontà di agire, dal primus impetus si muove verso uno stadio intermedio in cui Atreo cerca la spinta per l’azione. Questa ricerca lo porta a ripercorrere tutti i mali perpetrati da Tieste e identificare nella relazione di quest’ultimo con sua moglie il male primo, la causa di tutte le problematiche, anche genealogiche, seguenti. Facendo ciò, l’animo si surriscalda e il segmento melancolico sembra aprirsi verso l’atto maniacale:
«Venga la turba delle Furie, venga Erinni che semina zizzania e megera che agita due torce. No, il mio cuore non brucia ancora di un’ira suprema. Un mostro più grande deve riempire il mio petto.»
Il suo cuore, dunque, non brucia ancora di un’ira suprema, non ha ancora raggiunto l’adsensus animi e si trova in uno stadio intermedio in cui l’indecisione tra l’azione e la non-azione è dominante. Si nota come, nelle parole successive, Atreo si lasci investire dalla follia: essa si nutre di se stessa e bestializza l’uomo. Saturo di mania, il protagonista, con l’aiuto dei figli Agamennone e Menelao, attua quanto concepito: immola i figli di Tieste, vestito da sacerdote, sulla pietra sacrificale. Egli, nonostante alcuni iniziali ripensamenti, giunge all’impetus compositus, a questo slancio di volontà vendicativa, in quanto il suo animus e il suo pectus non riescono a sopportare uno scelus così grande e l’unica via per “scaricare” l’afflusso biliare è l’attuazione dello scelus; in seguito al sacrificio, che indica il rovesciamento dei valori religiosi perpetrato da Atreo, vi è una “ricarica” biliare: non pago di ciò, vuole stravolgere il mondo, desidera distruggere qualsiasi valore positivo e inimicarsi gli déi:
(coro) «Strappate ai corpi ancora palpitanti, le interiora fremono, sussultano le vene, il cuore sobbalza gravido ancora di paura. Ma Atreo scruta le fibre a leggervi il destino, e osserva le vene, tiepide ancora, delle viscere. Ecco, ora è soddisfatto del responso, ora può dedicarsi al tranquillo convito per il fratello.»
La descrizione minuziosa delle azioni di Atreo che taglia, squarcia, cuoce e bolle “membro a membro” i corpi dei nipoti serve per mostrare la sua totale freddezza: egli, poeta dello scelus, sta compiendo l’atto finale premeditato, il preludio alla disperazione del fratello, al suo strazio alla scoperta di quanto mangiato.
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In conclusione, si può notare come Seneca, in queste sue tragedie apparentemente frutto della pazzia, riesca a descrivere con minuzia di particolari, seguendo i dettami della Medicina Pneumatica, fin dove la follia, o meglio la mania, possa spingere l’uomo: la vicenda di Atreo è quella di un uomo che, dopo aver subito i flussi della Moira, decide di ergersi a pittore del quadro della sua vita, lasciandosi guidare dall’ira trasformatasi in furor.
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