“American Psycho”: la crisi dei valori nella società di Wall Street
A Wall Street «tutto è una questione di soldi». Lo dice Gordon Gekko, uno che di soldi se ne intende. Vent'anni dopo, lo stesso Gekko sosterrà che l'avidità, da lui considerata buona e giusta, nel nuovo secolo è diventata legge. Gordon Gekko lo conosciamo tutti (o quasi): è lo spietato uomo d'affari protagonista di due ottime pellicole di Oliver Stone, Wall Street e Wall Street. Il denaro non dorme mai.
Ma c'è anche qualcun altro che ha vissuto nello stesso contesto di Gekko: Patrick Bateman. Bateman è famoso quanto colui che l'ha creato, Bret Easton Ellis, controverso scrittore, di recente sceneggiatore di un film-flop, The canyons (in cui compare pure Gus Van Sant). Basta aprire le prime pagine del suo American Psycho per capire che c'è qualcosa che non funziona: la vita di Patrick è scandita da abiti alla moda, prodotti per la cura della persona, lunghi allenamenti in palestra, cene nei ristoranti più prestigiosi di New York. Non è solo la sensazione di benessere economico a comparire nel libro, quanto proprio un elenco interminabile di marchi, nomi, persino gli elettrodomestici e i mobili del suo lussuoso appartamento (abita nello stesso condominio di Tom Cruise) vengono descritti con perizia. C'è solo una cosa davvero importante nell'universo di Patrick e dei suoi amici: non serve che una cosa sia bella o utile, dev'essere costosa. A questo si accompagna un'assoluta mancanza di considerazione per tutto ciò che esula da questo microcosmo patinato. È chiaro che esiste anche l'altra faccia della medaglia, Patrick è ricco ma ugualmente complessato, circondato da persone superficiali e fidanzato con una ragazza sciocca. Pur essendo bello, c'è in lui un aspetto abominevole che si riflette nella sua vita notturna: perché se di giorno Patrick è l'uomo perfetto, di notte si trasforma in uno spietato serial killer.
Il lato oscuro di Patrick è piuttosto visibile nel film tratto dal romanzo (la regia è di Mary Harron). Un Christian Bale più che convincente mette in scena il personaggio in tutte le sue sfumature, diventando protagonista anche di scene tragicomiche, grottesche, che non fanno altro che accentuare la bruttura del soggetto. Pensiamo solo alla nevrosi suscitata da dei semplici biglietti da visita, che diventano una questione di vita o di morte: chi ha utilizzato il cartoncino migliore, il font più elegante? Patrick non riesce a darsi pace per essere stato battuto da colleghi più raffinati. Ma il vero lato marcio, rivoltante, appare quando lo vediamo maneggiare un'ascia o una sega elettrica per uccidere le sue vittime. E, tuttavia, c'è una cosa particolarmente affascinante in questo American Psycho: il finale (che, ovviamente, non svelerò). Perché è quando tutto sembra essere già stato detto e raccontato che arriva il colpo di scena, quello che lascia spiazzati.
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Patrick Bateman è un uomo d'affari americano degli anni Ottanta e come tale immerso nei congegni del libero mercato tipici dell'epoca di Reagan. Il consumatore è sovrano, colui che permette il perpetrarsi dello stile di vita tipicamente U.S.A. dell'apparenza, del “tutto tramite il denaro”, che circola grazie a un costante meccanismo di domanda e offerta. Lo Stato si limita a imporre tasse, svolgendo così un ruolo di salvaguardia del sistema, ma sono le due parti (venditori e consumatori) ad accordarsi sul prezzo di un bene (il contrario delle economie pianificate, dove è il governo a stabilire i costi). Va da sé che nel libero mercato c'è sempre chi tende ad approfittare di qualunque situazione, finanzieri senza scrupoli, perché i soldi da qualche parte devono arrivare. Poco importa se sono quelli di milioni di piccoli investitori. Non stupisce, quindi, che dal 1987 il sistema finanziario americano sia stato all'insegna delle bolle economiche (cinque in tutto), colpendo in particolare il settore immobiliare. Situazione analoga nel 2008, con il crollo delle borse.
Ma se Stone ritrae in modo più ampio il nefasto destino a cui l'America va incontro – pur concentrandosi sul rapporto tra Gekko e Bud Fox prima e Jacob Moore poi – al contrario Bret Easton Ellis si sofferma sull'interiorità di un singolo caso, espressione privata di un sistema di valori alla deriva. Non c'è traccia di umanità ed empatia nei confronti del prossimo in Patrick Bateman, automa dedito a una vita metodica, rinchiuso in una gabbia dorata che lo condurrà sempre più vicino al baratro della follia. L'impossibilità di una redenzione – e, quindi, della riconquista di sentimenti autentici e positivi – dipende dal fatto che Patrick è l'inesorabile prodotto del sistema consumistico in cui è inserito, i cui desideri di ricchezza e successo sono destinati a ripetersi in un moto perpetuo, senza trovare mai vera soddisfazione. Al di là della maniacale cura del proprio corpo e della sua immagine pubblica, Patrick Bateman è il nulla, il vuoto assoluto, specchio di una società sempre più in crisi, di cui il protagonista di American Psycho, ancora una volta, segue le sorti.
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