“Alma matrigna. L’Università del disincanto” di Pier Luigi Celli
Alma matrigna. L’Università del disincanto di Pier Luigi Celli è stato pubblicato da Imprimatur lo scorso anno nella collana Saggi, anche se leggendolo si ha l’impressione di avere sotto gli occhi una miscellanea di generi letterari. Alle parti di saggistica si affiancano quelle narrative che in alcuni punti sembrano dei passaggi di un romanzo di formazione. Anche se basato su una valida analisi della situazione attuale, il testo permanegenerico, avendo l’autore scelto di non collocare la narrazione in un luogo e in un tempo definiti. Inoltre i personaggi di cui si parla non vengono mai nominati, assumendo così le sembianze di anonime presenze in campo sulle quali incombe il giudizio dell’io narrante, presumibilmente da ricondursi alla figura dello stesso Celli.
L’autore ha rivestito per otto anni la carica didirettore generale dell’Università Luiss Guido Carli di Roma, lasciandola il 5 Luglio 2013. Il 4 Maggio 2012 è stato nominato presidente dell’Agenzia Nazionale del Turismo (ENIT), attualmente gestita da un commissario straordinario. Pier Luigi Celli è una di quelle persone che la Storia contemporanea non la studia ma la scrive, trovandosi spesso in quelli che per convenzione vengono definiti i “vertici del potere”. Nel presentare il suo libro tuttavia si mostra molto amareggiato e deluso. Per la piega che sta prendendo la società, per i livelli e i modi della formazione italiana, per la responsabilità che sente addosso come esponente di una generazione che non ha saputo, non è riuscita o non ha voluto cambiare per migliorare. «Così non è difficile immaginare che non abbia alcun futuro un Paese che ha dimenticato come coltivare “insieme” il suo presente».
Alma matrigna è una dissacrante rappresentazione del mondo universitario italiano e della formazione in generale. «Flessibilizzare le teste (cosa del tutto indispensabile) utilizzando una struttura di trasmissione sostanzialmente inflessibile. Che, per una categoria professionale con pretese educative, è una bella contraddizione». In diversi momenti del testo l’autore pone l’accento sull’inadeguatezza del sistema scolastico italiano in generale e di quello accademico in particolare, sulla debolezza delle riforme degli ultimi anni che invece di migliorare hanno peggiorato una situazione già pesantemente tragica, sugli errori della classe politica ma anche di quella amministrativa e, naturalmente, di quella accademica, votata a conservare privilegi e prestigio a discapito continuo degli studenti. Questi ultimi dovrebbero essere il core business dell’Università e invece vengono considerati l’ultima ruota del carro.
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«Anche per i professori dovrebbe essere previsto ogni tanti anni […] un periodo di sei mesi di permanenza in contesti lavorativi esterni che non abbia semplicemente una valenza di studio o di ricerca. Un sabbatico di nuovo tipo, che li metta nelle condizioni migliori per capire direttamente come sta cambiando il mondo del lavoro, […] per rendere il loro insegnamento all’altezza delle sfide che attendono i loro allievi». I docenti infatti, nell’analisi dell’autore, sono talmente inseriti nella struttura piramidale universitaria, che rispecchia quella sociale, e nella corsa al successo e al potere da aver completamente dimenticato il punto cardine della loro professione: l’insegnamento. Per la gran parte di loro ormai la missione di formare le nuove generazioni è diventata solo l’incombenza noiosa e fastidiosa della professione, una seccatura che toglie tempo prezioso alle loro attività principali: ricerca, carriera e guadagno. La carenza di valori civili nella società e nella scuola annulla tutti gli aneliti dei giovani, i quali finiscono per considerare la formazione come un carico di lavoro inutile in quanto non riuscirà a condurli verso la cima, rappresentata da un impiego e uno stipendio, una carriera e un buon tornaconto economico, così che finiscono per disamorarsi allo studio lasciandosi ammaliare da benefit alternativi e spesso nocivi.
Sono i “modelli” a essere errati ed è condivisibile l’opinione di Pier Luigi Celli quando in Alma matrigna pone l’accento sul fatto che almeno all’interno delle istituzioni accademiche gli studenti dovrebbero trovare sempre e ovunque esempi virtuosi e guide rispettabili. «Gli studenti hanno un bisogno drammatico di radicarsi, di ritrovare le ragioni di senso per quello che fanno, di capire, sperimentando, il valore di stare insieme, di progettare, contro l’atrofia sociale che li vede coinvolti e l’indifferenza che li contagia».
È un passo indietro quello che chiede di fare l’autore all’attuale classe dirigente, unica via da percorrere se il desiderio comune è quello di individuare valide soluzioni agli innumerevoli problemi… «Dalla crisi si può uscire in tanti modi; l’unico che non porta a risolverla è lasciarla in mano a quelli che l’hanno prodotta». Diversi passaggi del libro sono significativi, utili per comprendere meglio certi meccanismi legati al gioco di potere, visti dalla prospettiva di chi vi è dentro e vorrebbe magari che il tutto implodesse per poter liberare i giovani dal giogo surreale del “baronato universitario”. Senza ombra di dubbio il libro si rivela una lettura interessante ed è auspicabile la diffusione delle idee di cambiamento radicali indispensabili per il recupero non solo dei buoni livelli della formazione ma anche dei giusti valori e della forma mentis necessari per la svolta prospettata da Pier Luigi Celli in Alma matrigna. L’Università del disincanto.
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