Alla scoperta di Robert Walser. “Verso il bianco” di Paolo Miorandi
Verso il bianco di Paolo Miorandi (Exorma editore) è un libro con un forte carattere personale. Il sottotitolo, Diario di viaggio sulle orme di Robert Walser, non rivela, infatti, soltanto il soggetto del libro – la vicenda umana e artistica di uno dei più grandi scrittori svizzeri di sempre – ma ci dice molto anche sul modo in cui tutto ciò verrà raccontato. Per parlarne a mia volta, mi appoggerò alle parole che lo compongono partendo dalle ultime due. Mi muoverò quindi a ritroso, proprio come, nel libro, vanno i numeri dei capitoli.
Robert Walser. Nato a Bienne il 15 aprile 1878, è stato uno scrittore e poeta svizzero di lingua tedesca. La sua produzione letteraria, composta soprattutto da novelle, racconti e romanzi brevi che trovarono l’apprezzamento di critici e scrittori influenti (tra i quali Robert Musil e Walter Benjamin) presenta numerosi aspetti derivanti dalla sua biografia. Fin da giovane, Walser si spostò da una città all’altra, sia in Svizzera che in Germania, cambiando molti lavori senza però stabilirsi in modo definitivo da nessuna parte. Giovani tormentati e vagabondi solitari sono infatti alcuni dei suoi personaggi più ricorrenti. A causa della sua personalità instabile, caratterizzata da depressione e sbalzi d’umore, forse di natura ereditaria, all’inizio degli anni Trenta la sorella Lisa si adoperò perché lo scrittore venisse internato nel manicomio di Herisau, dove sarebbe rimasto per ventitré anni fino alla morte, avvenuta il giorno di Natale del 1956.
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Orme. Nel libro, l’orma è un elemento molto importante. Il racconto personale intrapreso da Miorandi si snoda, infatti, attraverso le tante tracce che la figura e l’opera di Robert Walser hanno lasciato nella vita dell’autore. Il testo – che volutamente non segue nessun andamento cronologico, se non per brevissimi tratti – è irrorato da una fitta trama di corrispondenze (sia emotive, sia aneddotiche), di cui Miorandi si sforza di mettere a parte il lettore. Ma le orme compaiono anche in una seconda circostanza: sono quelle lasciate nella neve da Walser durante l’ultima passeggiata della sua vita, prima di stramazzare al suolo: «Quattordici segni scuri, da qui sette passi». Sette, come i capitoli in cui Miorandi ha suddiviso il suo libro, i quali, come anticipavo, non rispettano la successione numerica che ci si aspetterebbe di trovare:
«Dovrò inventarmi un cammino che sia allo stesso tempo di memoria ed oblio, perché il dolore chiede di ricordare e la guarigione di dimenticare.
Mi muoverò a ritroso partendo dal segno che il corpo ha deposto sulla neve. Indietreggiando lascerò ad ogni passo un’orma davanti a me».
Due righe sopra questo brano nel quale l’autore evoca un’altra parola del sottotitolo: viaggio. «Due sono le necessità che convocano il pellegrino sulla strada: fare penitenza e rendere grazie. Questo viaggio sarà il mio atto di penitenza e ringraziamento». Miorandi si reca sui posti in cui Walser ha vissuto, osserva gli stessi paesaggi, incontra i discendenti di chi abitava a Herisau fra il 1933 e il 1956, visita il manicomio – oggi attivo col nome di Psychiatrisches Zentrum Appenzell Ausserrhoden e inserito come ultima tappa del Robert Walser Pfad, il sentiero letterario dedicato alla memoria del più celebre fra i suoi pazienti.
Da questo viaggio, Paolo Miorandi ricava un diario. Attribuire un genere a Verso il bianco non è semplice, ma quello diaristico è forse il più vicino. Come in un diario, Miorandi annota riflessioni, ricordi, citazioni, sensazioni e aneddoti, ognuno dei quali dà, nelle intenzioni dell’autore, il proprio contributo al racconto. Il carattere personale del libro rende opportuna la presenza di tale genere di digressioni. Parimenti, la loro assidua frequenza e la contestualizzazione non sempre puntuale di ogni frammento fanno sì che non tutte le parti del testo siano subito comprensibili dal lettore, al quale viene richiesta attenzione su più fronti. Da un lato, chi legge è pungolato dalla trama di riferimenti e corrispondenze che Miorandi tesse fra l’opera di Walser, se stesso e il libro, mentre dall’altro deve cercare di non perdere l’orientamento in mezzo agli spazi bianchi tra i paragrafi – molti, perfino troppi.
Quello di Miorandi è, infatti, un libro che si può leggere per frammenti. Ci sono episodi riferiti alla vita dell’autore che fanno parte del suo viaggio verso Robert Walser, verso il bianco che raccolse il suo corpo esanime, ma che solo per l’autore-viaggiatore sono evidenti. Tutto ciò può rappresentare un limite, ma il lettore deve comunque accettarne stile e punto di vista, condividerne le difficoltà e, soprattutto, dedicargli il suo tempo. La frammentazione del libro in paragrafi e scaglie di testo, opinabile da una prospettiva letteraria, impone numerose pause di riflessione/sedimentazione che dettano il ritmo alla lettura.
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È difficile esprimere un giudizio su un libro così personale, e il più semplice di tutti – bello/non bello – in questo caso è del tutto fuori luogo. Non si tratta di bellezza, ma di disposizione a immedesimarsi: il modo migliore per leggere Verso il bianco è di provare a immedesimarsi in Paolo Miorandi durante il suo viaggio sulle orme di Robert Walser. Il problema non è la troppa o troppo poca conoscenza che si può avere di quest’autore ancora oggi avvolto nella penombra, come io stesso credevo all’inizio; la cosa per me da fare è sostituire il nome di Walser con quello di un altro scrittore, artista o personaggio che nella nostra vita ha contato allo stesso modo. Per apprezzare fino in fondo il libro di Miorandi, si devono riprodurre i presupposti e le condizioni in cui è stato scritto.
Per la prima foto, copyright: Galina N su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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