Alla scoperta della poeta Alda Merini
Il primo novembre ricorreranno i dieci anni dalla morte di Alda Merini, una delle poetesse italiane più note e amate, in Italia e all’estero.
Ne parliamo con Annarita Briganti che alla poeta Merini ha dedicato un saggio dal titolo Alda Merini. L’eroina del caos, da poco in libreria per Cairo editore.
Annarita, chi è per lei Alda Merini? E cosa rappresenta per lei come scrittrice?
Una poeta grandissima, una madre di quattro figlie che le sono state tolte, una donna vera, coraggiosa, che si è sempre esposta in prima persona. Un grande esempio, oggi più che mai, quando mi sembra che per le donne la situazione non migliori. Alda Merini, come scrivo in L’eroina del caos, ha ancora molto da darci e da dirci. Per me come scrittrice? Ci ho scritto un libro, che è anche il mio primo saggio. Nel decennale della sua scomparsa ho sentito il bisogno di riordinare, finalmente, la sua vita pubblica e privata. Sarà una scoperta.
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Nella lettera che chiude il libro, citando la stessa Merini scrive: «Da anni indago il caso Merini». In cosa consiste questo caso?
È una provocazione di Alda Merini, che non era solo la «pazza della porta accanto», come lei stessa, sempre per provocare, si definiva. Ho ricostruito il prima, il durante e il dopo il manicomio, attraverso una ventina di testimonianze inedite, compreso un testo di Sua Eminenza il Cardinale Gianfranco Ravasi, che chiude il libro.
Nel libro racconta anche la storia d’amore tra Alda Merini e Giorgio Manganelli. Che idea si è fatta di questa relazione?
Con una tecnica da reportage quando non sapevo sono andata direttamente alla fonte. In questo caso ho parlato di Alda Merini e di Giorgio Manganelli con Lietta Manganelli, figlia dello scrittore. Nel libro c’è un capitolo dedicato al loro rapporto, con una intervista a Lietta. La mia idea? È stato un grande amore.
Non mancano i riferimenti alla vita privata, incluso il rapporto con le figlie. Che madre fu?
Non era “pazza” o, per meglio dire, non come da cliché, ed è stata, stando a quello che mi ha raccontato sua figlia Barbara, che intervisto nel libro, una grande madre, nonostante tutto, tanto per abbattere un altro luogo comune. Non è stato facile crescere lontano dalla propria madre, ma dobbiamo alle figlie il fatto che Alda Merini sia ancora viva. Non si sono mai tirate indietro.
Che posto occupa e quale dovrebbe occupare Alda Merini nella poesia e nella letteratura italiane?
Alla fine del libro, per il decennale e non solo, lancio una proposta: le librerie e le biblioteche italiane e dei Paesi in cui Alda Merini è tradotta dovrebbero avere una sezione dedicata a lei. Dal punto di vista letterario è molto sottovalutata, Invece, andrebbe letta/riletta.
Lei la definisce come «la Dante del Novecento». Può dare ai nostri lettori qualche indicazione in più per comprendere questo paragone?
Rompe gli schemi, sempre, per tutta la vita. Non mi sembra che dopo Alda Merini siano nate altre Alde Merini. Ma mi ricorda anche Wislawa, Virginia, Olga, tutte quelle poetesse/scrittrici che sono più forti di tutto e che creano nuovi canoni, in un mondo allora come ora maschile. Un numero su tutti: su 116 vincitori del Premio Nobel per la Letteratura solo 15 sono donne.
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Lei parla di Alda Merini come una poeta, e non una poetessa. Perché?
È una sua definizione, che ho adottato in tutto il mio libro e che rispetterò sempre. Parlavano di se stesse al maschile anche Oriana Fallaci ed Elsa Morante. Jane Austen ha dovuto pubblicare con uno pseudonimo e la famiglia ha diffuso un finto memoir in cui risultava una perfetta donna di casa. Jo di Piccole donne deve lottare per scrivere. J. K. Rowling si chiama così perché il suo editore inglese era preoccupato, all’inizio, che capissero che è una donna. Nel caso specifico, come vi dicevo, ho rispettato la volontà di Alda Merini. Inoltre, suona benissimo: “la poeta”, è davvero bello.
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