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“All’orizzonte”, le ferite di Pearl Harbor e Hiroshima raccontate da Lois Lowry

“All’orizzonte”, le ferite di Pearl Harbor e Hiroshima raccontate da Lois LowryNon è facile parlare dell’ultimo libro della pluripremiata scrittrice Lois Lowry, conosciuta dal pubblico italiano per The Giver, da cui è tratto l’omonimo film con Meryl Streep e Jeff Bridge nominato ai People Choice Award, e per The Willoughbys che ha ispirato l’omonima serie tv prodotta da Netflix.

Con All’orizzonte (21lettere Edizioni, traduzione di Dylan Rocknroll), infatti, Lowry si mette alla prova con un interessante esperimento in versi in cui racconta due degli episodi più tristi e famosi della Seconda guerra mondale: l’attacco su Pearl Harbor e la bomba atomica su Hiroshima. Una raccolta di storie pensate per i ragazzi ma capaci di trasmettere un messaggio universale anche per gli adulti raccontando, e nello stesso tempo unendo, due popoli attraverso le loro più grandi ferite.

Tra i tanti orrori che si possono rintracciare nella storia, anche recente, dell’umanità, la scelta è ricaduta proprio su questi due eventi perché Lois Lowry aveva quattro anni e abitava a Honolulu quando gli arei giapponesi sganciarono le bombe su Pearl Harbor e pochi anni dopo lo scoppio di Hiroshima dovette trasferirsi a Tokyo con la famiglia, al seguito di quel padre medico militare che prima era operativo alle Hawaii.

 

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“All’orizzonte”, le ferite di Pearl Harbor e Hiroshima raccontate da Lois Lowry

Lo scoprì per caso, riguardando dei vecchi filmini di famiglia cinquant’anni dopo, che la sua storia personale aveva sfiorato così da vicino la Storia con la S maiuscola: mentre lei, bambina di tre anni, giocava sulla spiaggia di Waikiki era possibile scorgere all’orizzonte la nave Arizona, colpita e affondata pochi mesi dopo nell’attacco.

«Mi interrogo, ora che quel tempo non può tornare,

su quel giorno: il cielo, il mare...

il giorno in cui tra la schiuma scherzavo,

quando era a Honolulu che rincasavo.

 

Ripenso a quel giorno col sole d’oro

quando ero giovane, e anche loro.

Se avessi visto? Se avessi saputo poi?

Sarebbe meno solo qualcuno di noi?»

 

Nasce proprio da queste domande il bisogno dell’autrice di scrivere un libro che è quasi un memoriale alle vittime di quella strage, giovani figli, padri, mariti e fratelli che hanno lasciato mogli, madri e figlie ma anche una mano tesa ai pochi sopravvissuti che sono dovuti andare avanti con il peso e il sollievo di essere ancora vivi mentre amici e fratelli non ce l’hanno fatta. Ce li presenta per nome e cognome: Silas, James Myers, Capitan Kid, Neal Radford, Alexander Nadel, Bill McCary, Curtis Hass e tutti gli altri ragazzi pieni di sogni e di speranze.

“All’orizzonte”, le ferite di Pearl Harbor e Hiroshima raccontate da Lois Lowry

Ormai adulta, Lois Lowry si scontra di nuovo con la Storia; questa volta succede quando conosce il brillante e talentuoso illustratore Allen Say, Koichi Seii, e scopre che da bambini avevano vissuto vicini a Tokyo, e soprattutto, lui si ricordava benissimo di una ragazzina su una bici verde che si era fermata una volta a guardare lui e i suoi compagni nel cortile della scuola a Shibuya: la nostra autrice.

E proprio la patria che l’ha accolta con sospetto da bambina è lo sfondo della seconda parte di All’orizzonte:

«In una piccola città di nome Tabuse

il sei agosto, d’estate un mattino,

Koichi Seii, un bambino,

un urto sulla terra sentì

e vide il cielo cambiare.»

 

Questa volta però le vittime sono troppe per essere ricordate tutte e l’autrice si sofferma sui bambini che si sono spenti mentre erano intenti a fare i loro giochi infantili, il triciclo, l’altalena, l’attesa della scuola. Tutte quelle azioni più semplici e quotidiane si trasformano in un ultimo straziante saluto. E i sopravvissuti, spesso, lo sono stati per poco, colpiti dalla pioggia nera che dopo lo scoppio della bomba atomica si è posata su tutto. Come Sadako, che aveva due anni quando «la pioggia nera cadde su di lei / portando radiazioni» e dodici quando è morta in ospedale.

 

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Ma c’è spazio anche per la speranza, e infatti la terza e ultima parte del libro è dedicata al commiato dall’odio e agli incontri tra due civiltà apparentemente molto distanti che si scoprono invece terribilmente simili nel dolore:

«Credo che la cosa importante sia anche la più semplice: riconoscere la nostra interconnessione sulla terra; inchinare le nostre teste quando vediamo un triciclo carbonizzato o il messaggio di un bambino al suo nonno perduto; e onorare il passato promettendo in silenzio ai nostri compagni umani che ci adopereremo per un migliore e più pacifico futuro.»


Per la prima foto, la fonte è qui.

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