“All'improvviso bussano alla porta” di Etgar Keret
Il piacere di entrare nelle grandi librerie rifornite di ogni bene letterario è spesso fratello della scelta, che non si riduce soltanto nella possibilità di poter carpire la tua preda fra una vasta gamma, come un leone che si ritrova in una stalla piena di vitellini indifesi, ma anche nella totale volontà di buttarsi a capofitto in libri che nessuno ti ha consigliato, dei quali non hai letto in nessun blog o rivista e soprattutto che non vengono legati con fascette promozionali che mi fanno pensare: alcuni scrittori hanno proprio tempo da buttare, se solo si sono messi a pensare una possibile frase d’effetto che possa calzare a pennello a certe boiate.
Grazie a questo libero arbitrio che mi è concesso ho spesso preso delle cantonate pazzesche, e lo dico perché potrei farci un “demotivational” che molti miei conoscenti su Facebook potrebbero condividere. Ma tutti questi fallimenti vengono compensati quando il fato mi è amico e mi fa conoscere scrittori come Etgar Keret. Mi si apre un mondo. Regista, scrittore, professore all’Università di Tel Aviv, vincitore persino del premio “Camera d'Or” nel 2007 a Cannes con il lungometraggio Meduse. Basterebbero poche pagine, ad All’improvviso bussano alla porta, per catturare la vostra attenzione e farsi acquistare, anziché stare qui a leggere questo articolo. Ma io perderei l’occasione rara di poter parlare di qualcosa che mi ha lasciato contento.
Prendiamo prima le misure: 187 x 38 ovvero 187 pagine per 38 racconti per una media di 4,9 pagine (arrotondate) a storia. Una pazzia minimale che nemmeno Carver si sarebbe sognato di eseguire senza sacrificare la completezza di personaggi e racconti. Non dico che su 38 racconti tutti vi entusiasmeranno, ma che la modalità ironica ma "dura" vi farà apprezzare questi stralci di vita, spesso surreali, senza lasciare nulla al caso.
Avevo già parlato del pericolo di film o libri suddivisi in varie storie, che spesso possono generare nel fruitore una voglia di vedere o leggere qualcosa di più di un episodio rispetto ad un altro. Questa è una cosa che in All'improvviso bussano alla porta non succede perché tutto quello che Keret ci deve dire di quei personaggi in quelle situazioni è spremuto a meraviglia per poterne bere a grandi sorso un succo delizioso.
Etgar Keret ci parla di vicende che vanno dalla regressione forzata e immediata di un uomo che torna ad essere bambino per una cena con la madre, ad un'improbabile reincarnazione dopo avere espresso un ultimo desiderio, alla varietà di oggetti in tasca di una persona che non vuole perdere nessuna occasione o agli “effetti farfalla” di alcuni eventi che avvengono in un fast food.
Ma le due peculiarità di questa raccolta sono senz'altro la prima storia, che fa da cappello a tutte le altre, e quella titolata Il racconto migliore. La prima vede uno scrittore che, sotto minaccia di pistole, viene costretto a scrivere una storia che però non contenga la frase «All'improvviso bussano alla porta». Tutta l'ironia e l'autoironia delle opere successive si può riassumere nella frase, contenuta all'interno di questo capitolo, «Come mai mi ficco sempre in situazioni simili? Ad Amos Oz e a David Grossman non capiterebbe mai». Il racconto migliore invece rappresenta per me il puro stile, tutto estetica e privo di contenuti, della pubblicità moderna. Ci viene spiegato in due pagine perché quello è il racconto migliore del libro, ma di racconti non se ne vedono. Critica feroce, con il sorriso.
Cari scrittori e critici che impestate con frasi ad effetto tante schifezze, prendete un bel respiro, buttate via altri libri e leggete All'improvviso bussano alla porta. Poi insieme parleremo di chi e cosa merita la vostra e la nostra attenzione. E le vostre “frasi”.
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