Alessia Gazzola ci spiega perché “Non è la fine del mondo”
Alessia Gazzola sa rischiare. È madre letteraria di Alice Allevi, medico legale protagonista di cinque vendutissimi romanzi usciti per Longanesi, da cui Rai Fiction ha tratto una serie che andrà in onda in autunno. Eppure oggi Alessia Gazzola decide di dare vita a una nuova figura femminile: Emma, al centro dell’ultimo romanzo Non è la fine del mondo, appena uscito per Feltrinelli.
Eterna stagista in una casa di produzione cinematografica, Emma non perde speranze e tenacia e fa di tutto per trovare un proprio posto nel mondo, e non solo quello lavorativo. Sogna di vivere in un villino coi glicini (stessa fissa della sua autrice) e si fa guidare sempre dalle proprie convinzioni. In Non è la fine del mondo troviamo: il tema del lavoro, quello della realizzazione personale, dell’autonomia, delle radici familiari e, sullo sfondo, un pizzico di amore. Emma si trova a dover scegliere in continuazione, per trovare sé stessa.
Incontriamo Alessia Gazzola, insieme ad altri blogger e redattori, nei locali storici di Feltrinelli, dove ci racconta di sé e dei suoi personaggi, come se fossero persone “reali”. «Gli scrittori sono un po’ schizofrenici. Quando i personaggi appaiono non si può far altro che raccontare la loro storia. Non è la fine del mondo è stato scritto in pochissimo tempo, è stata un’ispirazione fulminante».
Il libro si apre con una citazione di Che Guevara: E se vale la pena di rischiare, io mi gioco anche l’ultimo frammento di cuore. Quanto questa frase racconta il suo rapporto con Non è la fine del mondo, nato in un momento così decisivo per la saga di Alice Allevi? «Molto. Una persona di buon senso avrebbe continuato a scrivere almeno due libri all’anno su Alice. Ma io non sono una persona di buon senso: così ne ho scritto uno con un’altra protagonista e l’ho persino dato a un altro editore».
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Ci può parlare dell’incontro con Feltrinelli? «Per me Feltrinelli è stata una scelta affettiva. È come una casa. Già quando ero adolescente leggevo Feltrinelli: Serrano, Allende, Yoshimoto, Gordimer, e poi il catalogo più recente. Avere l’opportunità di pubblicare questo libro ha avuto a che fare col cuore. Ciò non toglie che un’altra parte di me possa rimanere in Longanesi, dove sono sempre stata trattata benissimo».
Emma è un personaggio femminile estremamente attuale: «Emma è la “perenne stagista”, ragazza grintosa e determinata che sa che la propria realizzazione personale non viene dal trovare un uomo, ma dall’avere un rapporto sereno con sé stessa».
Però ha anche un romanticismo atipico. «Lei è pragmatica, anche perché ha frequentato un uomo sposato per molto tempo. Perciò la sua idea è avere un “happy end con sé stessa”. E convive con il fatto di avere un mondo interiore “antiquato”: le piacciono i romanzi regency, sente il fascino dei luoghi (il villino dei glicini). Però è una donna coi piedi per terra: anche se continua a sognare, non vive in una bolla».
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In che senso Emma è una “tenace stagista”? «Non spera solo in un contratto, ma sta perseguendo in segreto una trattativa per convincere un famoso scrittore italo-giapponese (Tessai) a cederle i diritti del suo best-seller. Ho immaginato un tipo simile a Murakami. Strambo e saggio da un lato, e impetuoso dall’altro».
Nel libro, accanto a questo un saggio e vitale scrittore, c’è un’altra figura maschile, quella di un Produttore scorbutico, Scalzi, in fondo gentile, che potrebbe ricordare Darcy di Orgoglio e pregiudizio. «Chi ama la commedia romantica copia a mani basse dalla Austen (vedi alla voce Helen Fielding). Poi, certo, bisogna anche saper fare da sé. Il primo titolo di Orgoglio e Pregiudizio era Prime impressioni, ho voluto questo titolo per il capitolo in cui racconto l’incontro tra Emma e Scalzi: è chiaramente un tributo. Del resto, nel libro ci sono molte sottotracce che creo intenzionalmente».
Emma tornerà? «Mentre scrivevo L’allieva mi dicevo: mi piacerebbe che Alice, se fosse pubblicata, diventasse un personaggio seriale. Non è la fine del mondo invece è autoconclusivo. Però non nego che mi piacerebbe far vivere, accanto alla serie di Alice, altri personaggi che mi si presentano alla mente e che hanno una propria storia».
Domanda personalissima: con un marito, una professione e due figlie… come fa a fare tutto? «Mi sono ricavata una stanza tutta per me, come consigliava Virginia Woolf. E la tengo chiusa. Però, dopo una certa ora del giorno sono al di fuori dalla scrittura e dalle comunicazioni».
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E l’ispirazione? «Non si dovrebbero mai sbandierare le proprie fortune… ma io sono sempre ispirata! Mi spaventerò nel momento in cui avrò un vuoto. A me piace guardare la gente. E osservo molto. Ogni gesto e ogni fisionomia per me sono uno spunto. Un consiglio: per scrivere bisogna prendere il treno. Io ho saccheggiato dai treni i personaggi più particolari. Emma però è stata una cosa a sé, speciale, davvero intensa».
Quanto c’è di lei in Emma? «Poco, in realtà. La passione per questo villino dei glicini. Un pragmatismo di fondo che mi appartiene e anche un certo disincanto. Per il resto… nei romanzi facciamo vivere personaggi che non sempre ci somigliano».
Cosa si può imparare da questa giovane donna? «Che davvero niente è “la fine del mondo”. Quando piangevo per qualcosa che era andato storto, mio nonno mi diceva: tu devi piangere solo quando non io ci sarò più! Ed era vero, ed è verissimo. Solo davanti alla morte c’è la fine del mondo. Quindi, tutto il resto è vita».
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