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Alessandro Mari: «La lettura è innamoramento»

Alessandro Mari: «La lettura è innamoramento»Articolo di Francesco Musolino, giornalista e ideatore del progetto lettura noprofit @Stoleggendo.

Che cosa accade nella testa dei diciottenni? Alessandro Mari – editor, traduttore e narratore esperto nonostante la giovane età (classe 1980) – ha deciso di tuffarsi nel mondo della narrativa per ragazzi con un libro coraggioso, L’anonima fine di Radice Quadrata (Bompiani).

Protagonisti della vicenda sono Sofia e Radice Quadrata, due studenti la cui storia racconta cosa sia, in nuce, l’adolescenza stessa ovvero «una manciata di risposte contro infinite domande, un corpo che esplode in forma adulta, un momento fragile e brutale». Sofia e Radice Quadrata – il soprannome nasce da una battuta pungente quanto brutale – sono assai diversi ma qualcosa spinge la ragazza a voler andare oltre la superficie mentre, in classe, un professore entusiasta spinge gli alunni a scrivere racconti edificanti alla maniera del libro Cuore. Ma intanto accade la vita stessa e pagina dopo pagina Mari vira con bravura, accelera e alza il tiro, controllando il linguaggio e la sua evoluzione; una complessità che rivela un disegno più ampio e ambizioso, legato a doppio filo con la sua attività di traduttore di narrativa young adult e la conoscenza diretta di quel mondo per molti versi oscuro, chiamato adolescenza.

Ma che diavolo gli passa per la testa ai diciottenni? Ovvero, come nasce questo libro?

L’anonima fine di Radice Quadratanasce precisamente da quella domanda, che non smetteva di tormentarmi quando mi trovavo in compagnia di adolescenti: cosa diavolo vi passa per la testa? È una domanda troppo sottovalutata e cruciale. Per diverse ragioni. La più evidente è la rivoluzione accaduta a cavallo tra questo e il vecchio millennio: proprio come la rivoluzione di Gutenberg secoli fa, l’avvento del digitale e i dispositivi tecnologici hanno determinato un modo inedito di relazionarsi alla realtà, di percepirla. La mia generazione, non così lontana dagli adolescenti eppure lontanissima, ha dovuto adattarsi, ricalibrare, perché figlia di un mondo cartaceo e televisivo.

 

Un esempio?

Per me aveva senso l’espressione anacronistica surfare, cioè imparare a muoversi nell’oceano digitale grazie a uno strumento. Gli adolescenti contemporanei non hanno bisogno di tavola da surf: l’oceano digitale è il loro habitat natale. Nuotano ancor prima di camminare. E a me interessava questa nuova creatura. La sua specificità meravigliosa. Il futuro che racchiude. Inventando la storia di Sofia e Radice Quadrata ho provato a immaginare e tradurre in un romanzo questo nuovo modo di vivere e relazionarsi alla realtà.

Alessandro Mari: «La lettura è innamoramento»

Sembra che tu abbia volutamente imbrigliato la tua sovrastruttura per scrivere un libro per ragazzi, fatto per i ragazzi, ma al contempo atipico nel linguaggio. È così?

In parte. Di frequente noi adulti vediamo gli adolescenti come proiezioni, repliche di noi stessi da giovani, o peggio come riflessi delle nostre aspettative e della paura di riconoscere in loro errori nostri. L’adolescenza è ancora una manciata di risposte contro infinite domande, un corpo che esplode in forma adulta, un momento fragile e brutale. Ma per raccontare gli adolescenti di oggi serve chiedersi come l’adolescenza si agita nella loro testa, nel loro cuore. In altre parole, il tentativo di raccontarli con onestà richiede lo sforzo di guardare attraverso i loro occhi, ascoltare con le loro orecchie, toccare con le loro mani. Ho adottato la voce di una sedicenne appunto per allontanarmi da me il più possibile, con l’aspirazione di dare a Sofia carne, vita, senza ridurla a uno stereotipo banale: troppo spesso gli adolescenti vengono raccontati come caricature semplicistiche. Per questo L’anonima fine di Radice Quadrata non è un romanzo per ragazzi, ma di ragazzi. Sì, racconta di loro. Sì, descrive la loro realtà. Ma li tratta per ciò che sono: adulti in erba. Non è stato facile abbandonare la mia voce narrante in terza persona, insieme ad alcune delle specificità di narratore mostrate nei miei precedenti romanzi, per raccontare questa storia di ragazzi. Il mio istinto di giocare con la lingua, però, non l’ho perduto: in L’anonima fine… il gergo dei ragazzi si fonde qui e là a un lessico più ampio, strutturato. Avvicinandosi a Radice Quadrata, Sofia scopre sempre più parole per dire il mondo, e questa è la mia responsabilità di narratore: dare ai ragazzi che leggeranno il romanzo più armi – brutta parola, ma necessaria – per difendersi. Perché oggi il mondo è anzitutto racconto sofisticato del mondo.

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Chi sono Sofia e Radice Quadrata?

Una ragazza e un ragazzo distanti e diversissimi. Sofia è un’intelligenza veloce che sa di tutto un po’, una nativa digitale, mentre Radice Quadrata sa moltissimo di poco, possiede un’intelligenza più lenta che però va in profondità, conosce la fatica del sapere costruito passo dopo passo. Lei nuota in superficie, lui solo in immersione. Lei si muove in bicicletta navigando le strade allagate di una grande città, lui va a piedi e ogni tanto affonda nel sottosuolo. Lei viene da una famiglia benestante, lui da una realtà più problematica. Lei è contemporanea, lui ha qualcosa di antico. L’antipatia, l’astio che li separa al principio è la rappresentazione di queste differenze. Entrambi però sono individui intimamente soli che stanno scoprendo il mondo e le relazioni. E quando Sofia si lascia incuriosire da quel suo strano compagno di banco, be’, allora comincia l’avventura della fascinazione. La voglia di scoperta. La possibilità di un’empatia. L’occasione di capirsi capendo ciò che negli altri ci disturba, e perché.

 

Nel tuo libro immergi uno dei capisaldi della narrativa per ragazzi, difatti il libro Cuore è un grande protagonista: perché questa scelta?

Volevo che Sofia e Radice Quadrata incarnassero qualcosa di più che semplici personaggi: lei e lui sono due paia d’occhiche osservano, due cervelli che traducono la realtà in idee, spesso facendo a pugni col cuore. La complessità del carattere di entrambi, il loro essere buoni e cattivi, è una forma del mio rispetto per gli adolescenti di oggi. E il punto è questo. Fin da Cuore di De Amicis nella cultura italiana si è diffusa la convinzione che una storia per ragazzi debba in qualche modo educare; la letteratura per ragazzi, insomma, dovrebbe essere un’occasione obliqua d’insegnamento. Edificante. Io, come l’Orrido Sortino, il professore del mio romanzo, ho invece tentato di sovvertire la dinamica di Cuore: non volevo far ricadere la mia presunta autorevolezza di adulto sui ragazzi, ma provare a capire cosa solletica oggi la loro curiosità. Ecco perché l’Orrido Sortino non infligge ai ragazzi dei raccontini edulcorati alla maniera diCuore, ma chiede loro di inventarli. È un modo indiretto per capire cosa vogliono mettersi istintivamente in tasca per il futuro e cosa invece scartano altrettanto istintivamente. Perché quell’istintivamente è decisivo: raccontarlo è raccontare in che modo i ragazzi reagiscono alla società. Ossia, anche a ciò che facciamo di male o bene, ignari o consapevoli, noi adulti.

Alessandro Mari: «La lettura è innamoramento»

A proposito di #ioleggoperché visto che i lettori si smarriscono dai 14 anni in su, come cambieresti l'approccio alla lettura e alla narrazione nella scuola?

Innanzitutto smettendo di imporre libri smaccatamente sociali, civili o chissà che altro, nell’illusione di poter educare i ragazzi attraverso la letteratura e, al tempo stesso, farli innamorare della letteratura. Immaginate un adolescente a cui la madre o il padre dicessero: oggi tu esci con quella ragazza o con quel ragazzo e ci passi tre ore perché è bello, bravo; fidanzatici per un po’, ti farà bene. La lettura è innamoramento. La curiosità sentimentale non funziona così. Si possono semmai creare occasioni. La narrativa buona è un patto con la propria solitudine, e ciò che possiamo tentare di trasmettere ai ragazzi non è il cosiddettobuon libro, ma l’idea che si possa godere di una parte della nostra solitudine – oggi più aggredita che mai da stimoli – con un libro. Un libro bello per loro. Ritmato. Che sfidi la loro intelligenza e possa condurli a letture più dolorose, impegnative, ai classici. C’è chi è timido e chi spudorato, c’è chi non si nasconde e chi invece ha bisogno di tempo per mostrarsi: dobbiamo lasciare a ciascuno il tempo di incontrare se stesso nella lettura, e capire quale riflesso di sé preferisce intravedere nei libri. Ma dobbiamo creare occasioni. La scrittura creativa nelle scuole superiori, per esempio, potrebbe essere un’idea; non solo analisi logica e grammatica, non solo temi scolastici e parafrasi. A calcio i bambini iniziano a giocare perché, appunto, giocano con un pallone, poi semmai imparano cos’è il “fuorigioco” o “la difesa a zona.”

 

Il fatto di tradurre narrativa per ragazzi come incide nella costruzione della trama e nel suo sviluppo? 

Avere esperienza di traduzioni, in particolare di letteratura cosiddetta Young Adult, mi è stato utile per due motivi. Il primo, ovvio, è che ogni scelta lessicale e ogni manipolazione sintattica sperimentata in una traduzione mette in corpo al narratore/traduttore una consapevolezza che poi ritorna, fa capolino e conforta persino nei momenti più istintivi o bui della scrittura. Il secondo motivo è che tradurre letteratura angloamericana è una buona occasione per ragionare più o meno consciamente su trama e svolgimento. Oggi i ragazzi sono molto alfabetizzati alla narrazione di stampo statunitense; ne consumano in ogni momento: tivù, internet, cinema, pubblicità commerciali, canzoni. Ciò non significa che quel tipo di narrativa sia l’unica possibile, ma partire da quel modello e aprirvi crepe è un modo per stimolare i ragazzi. Stupirli. Sorprenderli. Senza dimenticare, peraltro, che la moltitudine di autori che si nasconde dietro Omero sapeva già millenni fa che, per dire tante cose e tenere desta l’attenzione, serve una trama robusta a cui inchiodarle.


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