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Alberto Moravia e Ingmar Bergman. La necessità di un gesto sincero (parte II)

Alberto Moravia e Ingmar Bergman. La necessità di un gesto sincero (parte II)«Eh, che bella bambina»; egli si ripeté «che bella bambina». La libidine sopita per quel pomeriggio si ridestava, il sangue gliene saliva alle guance, dal desiderio avrebbe voluto gridare.

Nel precedente articolo abbiamo sottolineato le non poche similitudini tra il capolavoro di Alberto Moravia, Gli indifferenti, e uno degli ultimi film del cineasta svedese Ingmar Bergman, Un mondo di marionette. I protagonisti Michele Ardengo e Peter Eggermann sono tragicamente simili perché impegnati in una disperata ricerca di sincerità nel tetro e squallido mondo borghese. Si muovono, annoiati e solitari, in un universo fatto di etichetta, ipocrisia e inautenticità. In ogni loro battuta e dietro ogni loro sguardo si nasconde la disperazione di chi è alla ricerca di un gesto sincero che possa far ritrovare quella connessione vitale con la realtà.

Assieme a Carla, Moravia all’inizio del romanzo ci presenta Leo, il perfetto borghese: uomo arrogante ed egoista, così sfacciatamente ipocrita quanto sicuro di sé – a differenza di Michele, lui si sente a proprio agio nella classe borghese. Una delle caratteristiche di Leo è il continuo appetito sessuale; una libidine pronta a risvegliarsi ogniqualvolta se ne presenti l’occasione.

«Ah, che bella bambina» pensava intanto Leo; quella nudità l’accecava, non sapeva da dove incominciare, se dalle spalle delicate, magre e bianche o dal giovane petto di una tenerezza, di un candore di latte di cui i suoi occhi avidi e sorpresi non sapevano saziarsi.

Alberto Moravia e Ingmar Bergman. La necessità di un gesto sincero (parte II)

Leo è insaziabile: vuole sempre di più. Per questo motivo assume spesso un comportamento sfacciato: non avendo consumato con Carla, tenta di soddisfare le sue voglie ritornando da Lisa, la sua vecchia amante. Nella libidine Moravia trasferisce l’ossessione di possesso di una borghesia tanto simile a una bestia vorace.

 

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Il sesso attraversa con prepotenza e furore non solo il mondo borghese degli Indifferenti ma anche quello descritto nell’opera del regista svedese. Il sesso potrebbe essere il tanto desiderato gesto sincero che fa sentire vivi e presenti, il mezzo mediante il quale riconnettersi alla realtà. Eppure anche questo viene corrotto dalla classe borghese. Il sesso secondo Moravia e Bergman non è come quello pasoliniano, brioso e sincero (così come ci viene presentato nella meravigliosa Trilogia della vita); esso è bestiale e distruttivo, senza amore eaffetti. Simile molto a quello secondo Kafka.

«Credo di capirti», disse lei e gli si appese al collo, fece per aggiungere qualcosa ma non riuscì a proseguire perché, oscillando, si abbandonarono sul letto che era proprio accanto alla sedia. Lì giacquero, ma non col trasporto di quella notte. Lei cercava qualcosa e lui cercava qualcosa, lo cercavano con furia, con volti contratti, affondando il capo nel petto dell’altro, ma né gli amplessi né l’inarcarsi dei loro corpi consentivano loro di dimenticare, e rammentavano invece il dovere di cercare; scavavano nei loro corpi come cani che disperatamente scavano nella terra, e smarriti, delusi, in cerca di un ultimo appagamento, le loro lingue leccavano a volte tutta la faccia dell’altro.

 

Così Kafka descrive nel Castello il rapporto tra K. e Frieda: un amplesso doloroso e bestiale («cani che disperatamente scavano nella terra»). La stessa ferocia nei toni usano Alberto Moravia e Ingmar Bergman descrivendoci un atto distruttivo e mortale. La libidine trasforma Leo in un animale che cerca di saziare la sua voglia indomabile e profonda; quando si apparta con Carla, dopo averla fatta ubriacare, subito perde la ragione e si trasforma in una bestia divorante.

«Poi, guardando Leo, lo vide così rosso, eccitato e sicuro della sua conquista; ecco, bastava vedere come si protendeva dalla sua bassa poltroncina, il petto gli scoppiava, gli occhi brillanti di concupiscenza.»

Alberto Moravia e Ingmar Bergman. La necessità di un gesto sincero (parte II)

Il sesso è meccanico e insincero, basso e distruttivo: ecco perduta allora l’ultima possibilità di assaporare un gesto sincero!

«Non è strano?» si diceva; «domani mi darò a Leo e così dovrebbe incominciare una nuova vita… ed appunto domani è il giorno in cui sono nata…»; si ricordò di sua madre; «ed è col tuo uomo», pensò «col tuo uomo, mamma, che andrò.» Anche questa ignobile coincidenza, questa sua rivalità con la madre le piaceva; tutto doveva essere impuro, sudicio, basso, non doveva esserci né amore né simpatia, ma solamente un senso cupo di rovina: «Creare una situazione scandalosa, impossibile, piena di scene e di vergogne’ pensava; ‘completamente rovinarmi…»

 

I pensieri di Carla sono molto simili a quelli di Tim, l’ipocrita amico di Katarina Egermann.

La storia della vicinanza è solo un sogno. Tutto è grettezza e porcherie. Molto spesso devo andare in certi luoghi, sai benissimo di quali parlo, e là scelgo i tipi peggiori. Tu non riusciresti a credere ai tuoi occhi! L’eccitazione, il godimento, frenesie e porcherie, tutto quanto, tutto in una selvaggia confusione. Questa è la vita affettiva del tuo vecchietto rinsecchito! Ma quale vicinanza, quale affettuosità! […]. Vengo guidato da forze che eludono il mio controllo.

 

Per Carla e Tim il sesso risponde alle pulsioni di distruzione che agitano il loro animo. Sesso e morte;sesso è morte. In esso si dà libero sfogo a forze invincibili edistintive, bestiali, grette edegradanti. Sembra quasi che l’atto sessuale venga visto come la punizione inevitabile per un imperdonabile peccato commesso. C’è vicinanza di corpi ma lontananza di affetti e aridità di sentimenti. Questo scopre Carla la notte in cui giace con Leo: lui continua ad essere un estraneo e lei continua ad essere sola come Tim che afferma che non esiste nessuna «vicinanza» ed «affettuosità».

Le venne d’improvviso un desiderio isterico di compagnia e di carezze; «perché dorme?», si domandava, «perché non si cura di me?»; quel respiro letargico, là, al suo fianco, aveva finito insensibilmente per spaventarla, non le pareva dell’amante, ma di un altr’uomo a lei sconosciuto e magari anche ostile.

Alberto Moravia e Ingmar Bergman. La necessità di un gesto sincero (parte II)

Il sesso negli Indifferenti è anche rito di passaggio: dall’ingenuità dell’infanzia all’aridità dell’età adulta; dalla camera da letto di Carla (mai cambiata negli arredamenti fin da quando era bambina) alla camera da letto di Leo (il perfetto borghese). Il passaggio in quella camera da letto rappresenta l’entrata di Carla nel tanto detestato mondo borghese.

«È strano» pensò ad un certo punto, non seppe se con paura o con dispetto, «è come se io fossi d’un tratto diventata molto più vecchia di quel che già ero…»

 

Tanto che alla fine, quel suo pensare «tutto è così semplice», testimonia la sua irreversibile trasformazione in perfetta donna borghese. Sembra quindi preclusa ogni via d’uscita.

Ecco che allora nemmeno il sesso, l’unione di due anime e di due corpi, può soddisfare il bisogno di sincerità che tormenta Michele e Peter. Ecco allora nascere in loro un pensiero turpe: l’omicidio. La loro disperazione li spinge a commettere un gesto così estremo. Michele tenterà, fallendo, di uccidere Leo mentre Peter riuscirà, purtroppo, nei suoi piani.

Ora quel pianto gli tornava alla memoria come un esempio di vita profondamente intrecciata e sincera; quelle lacrime colate sul volto imbellettato, versate in quel momento, risortivano dalla pienezza segreta di quella vita come dei muscoli che ad una leggiera contrazione affioravano improvvisamente, sotto la pelle. Quell’anima era intera, coi suoi vizi e le sue virtù, e partecipava della qualità di tutte le cose vere e solide, di rivelare ad ogni momento una verità profonda e semplice.

Alberto Moravia e Ingmar Bergman. La necessità di un gesto sincero (parte II)

La sincerità di un pianto porta Michele alla ricerca di un gesto altrettanto autentico, capace di farlo ritornare a partecipare pienamente alla «qualità di tutte le cose vere e solide». Traditi dagli affetti, vittime di un ceto ipocrita e bestiale, orfani di emozioni e sentimenti, disperati vedono l’omicidio come unico mezzo per riprendere pieno possesso di sé stessi e della realtà. Come ho detto Michele non riuscirà nell’intento (simbolicamente la borghesia è indistruttibile) mentre Peter sì, ma alla fine anche lui è uno sconfitto come Michele.

Solo colui che uccide possiede completamente, o meglio, domina completamente. Il paziente ha infranto le barriere sociali ed emotive e da quel momento è un potenziale suicida. Secondo la stessa norma che ho appena formulato: solo colui che si uccide possiede completamente se stesso.

 

Questa è la risposta finale che Mogens Jensen dà al brutale omicidio commesso dal suo paziente Peter. Una volta compiuto il misfatto tutto attorno al giovane recupera il suo colore (negli ultimi minuti dal bianco e nero si passa al colore) perché Bergman vuole sottolineare come il grigiore, lo squallore, la noia, l’alienazione e l’inautenticità hanno lasciato posto alla realtà sincera e vera; dopo l’omicidio Peter diventa padrone di sé, vivo, partecipe. Purtroppo questa non è una vittoria ma una sconfitta. È solo un attimo, poi Peter si richiude completamente in se stesso, si estranea per sempre dalla realtà regredendo all’età infantile.

Non legge libri né giornali; non ascolta la radio né guarda la televisione. A volte soffre di crisi depressive però si rifiuta di accettare aiuto e respinge i nostri tentativi di contatto. La notte avvicina a sé sul letto un vecchio e logoro orsacchiotto, probabilmente un ricordo dell’infanzia.

 

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Michele e Peter realizzano che non esiste una via di salvezza. Non è mai esistita.

Si sentiva soffocare; guardò Lisa, pareva contenta: «Come vivi?» avrebbe voluto gridarle: «sinceramente? con fede? dimmi come riesci a vivere». I suoi pensieri erano confusi, contraddittori: «E ancora» pensava con un brusco, disperato ritorno alla realtà, «forse questo dipende soltanto dai miei nervi scossi… forse non è che una questione di denaro o di tempo o di circostanze». Ma quanto più si sforzava di ridurre, di semplificare il suo problema tanto più questo gli appariva difficile, spaventoso. «È impossibile andare avanti così». Avrebbe voluto piangere; la foresta della vita lo circondava da tutte la parti, intricata, cieca; nessun lume splendeva in lontananza: «impossibile».

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