“Al di là del nero” di Hilary Mantel, il racconto dei fantasmi di una vita
È uscito da poco per Fazi editore Al di là del nero, un romanzo che la scrittrice britannica Hilary Mantel ha pubblicato nel Regno Unito nel 2006. La Mantel è l’unica donna ad avere vinto per ben due volte il più ambito premio letterario del suo Paese, il Man Booker Prize, con due volumi della sua trilogia sui Tudor: Wolf Hall e Bring Up the Bodies (Wolf Hall eAnna Bolena, una questione di famiglia, pubblicati in Italia sempre da Fazi), appassionanti e in grado di nascondere bene la profonda erudizione dell’autrice, come del resto A Place of Greater Safety (La storia segreta della rivoluzione, edito ancora da Fazi in tre volumi), un corposo romanzo sulla rivoluzione francese raccontata dal punto di vista di Danton, Robespierre e Desmoulins.
La Mantel, molto apprezzata per i romanzi storici, è un personaggio anche controverso. Ha suscitato polemiche in patria per un racconto in cui immagina l’assassinio di Margaret Thatcher a opera di un terrorista dell’IRA. La scrittrice, in ogni caso, esercita liberamente l’immaginazione anche sulla propria vita: nell’autobiografia Giving Up the Ghost (I fantasmi di una vita, Einaudi, 2006) si confronta per esempio con le possibilità mancate del proprio passato.
Di fantasmi racconta anche Al di là del nero, una lettura bizzarra e spassosa, nella bella traduzione di Giuseppina Oneto.
Protagonista è Alison Hart, una medium sulla quarantina che si guadagna da vivere ricevendo in casa clienti desiderosi di parlare con i parenti morti, nonché esibendo i propri poteri medianici in squallidi teatrini della provincia londinese. I primi capitoli ce la presentano durante uno di questi spettacoli, gremiti soprattutto di donne. Sola sul palco, Alison si mette in ascolto degli ectoplasmi della zona e porta alle presenti i loro messaggi: il ricordo di un marito, di una nonna morta da tempo, di un figlio mai nato.
Alison non è una ciarlatana, è una vera medium. Con i morti convive fin da piccola, per lei sono reali quanto i membri della sua sgangherata famiglia. Da anni la segue uno strano «spirito guida», un clown sporcaccione che le fa continui dispetti. Capita di tanto in tanto che le tengano compagnia altri spettri più o meno spaventosi, ex teppisti di ogni risma o nonnine smemorate. Non certo una compagnia di elezione per la nostra medium, che prima dello spettacolo riflette: «Ci sono delle sere in cui non ne hai voglia ma devi farlo lo stesso. Sere in cui, guardando giù dal palco, vedi stupide facce ottuse. I messaggi dei defunti arrivano a casaccio. Non li puoi rispedire indietro neanche volendo: i defunti non si lasciano né blandire né costringere. Il pubblico però ha pagato il biglietto e intende vedere dei risultati».
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Una vita come quella di Alison è quanto di più stressante si possa immaginare: i fantasmi le affollano la mente senza tregua, e lei distingue a fatica i loro racconti dai ricordi sconnessi di un’infanzia terribile, in balìa di una madre balorda e di una manciata di presunti padri, tutti piuttosto sadici. Sono ricordi di torture fisiche e psicologiche, addirittura di morti e mutilazioni. A poco a poco, nel corso del romanzo, Alison riesce a distinguere, a ricordare, liberarsi dei vecchi fantasmi e scegliersene di nuovi come compagni.
Alison ha anche una socia in affari in carne e ossa, la coetanea Colette, una donna che è proprio il suo opposto. Se Alison è in sovrappeso, empatica, generosa con i vivi e con i morti, Colette è segaligna, fredda, astuta e concreta. Con queste doti aiuta Alison a far rendere al massimo l’attività; le due pian piano si arricchiscono e acquistano casa insieme in un sobborgo chic di Londra. La convivenza però diventa negli anni sempre più difficile e porta le socie a ripensare il loro accordo. Colette torna dal suo triste ex marito, Alison invece continua a viaggiare di teatro in teatro in compagnia di un nuovo spirito guida e di una combriccola di simpatiche vecchiette passate a miglior vita.
Questa grosso modo la trama. Nel romanzo, il racconto di fatti improbabili o raccapriccianti – un occhio cavato con una matita, carne umana data in pasto ai cani, fantasmi sempre in agguato – è davvero divertente. Durante uno spettacolo, gli ectoplasmi più scafati si mascherano per imbruttirsi ulteriormente e spaventare a morte una medium; buffe sono anche certe vecchiette defunte, che vagano alla ricerca di un bottone smarrito. Molti non hanno ancora capito di essere morti, e Alison sa che bisogna trattarli con delicatezza.
Il personaggio di Colette è poi tanto brutale e tirannico con il prossimo da risultare comico. Nella sua magrezza adolescenziale, è come se dentro di sé Colette avesse spazio solo per sé stessa, mentre l’obesa Alison sa accogliere innumerevoli fantasmi, vivi o morti che siano. Mentre le due attraversano le autostrade inglesi da un teatro all’altro, il paesaggio osservato da Alison riflette un pasaggio interiore: «L’automobile fugge attraverso gli svincoli e lo spazio delimitato dall’autostrada è lo spazio che lei ha dentro: l’arena di combattimento, la terra desolata, la sede della guerra civile chiusa tra le costole». Tutt’intorno a lei, tramonti avvelenati, distese popolate di immondizia, carcasse, scarti umani: «Un cielo verdemare: i lampioni, una fioritura bianca. Questa è una terra a margine: campi di fili tesi, di pneumatici lisci abbandonati nei fossati, di frigoriferi stesi esanimi sulla schiena, di pony affamati che brucano nel fango. È un paesaggio che brulica di emarginati e fuggiaschi, di afghani, turchi e curdi: di capri espiatori sfregiati dalle bottiglie e dalle bruciature, che scappano dalle città con le costole rotte, zoppicanti. Le forme di vita presenti sono scarti o anomalie: i gatti travolti dalle macchine in corsa e le pecore di Heathrow col vello intriso del tanfo di carburante».
Oltre a Colette, ci sono altri vivi tra i personaggi: i vicini di casa, un barbone, un poliziotto, le amiche medium, le clienti: tutti descritti nelle loro manie e ridicolaggini. Alison sceglie di tenersi accanto gente bisognosa di aiuto: gli spiriti erranti, una Colette smarrita dopo la separazione dal marito, un barbone idiota. Mentre la prosa della Mantel è fortemente evocativa, i dialoghi sono sempre spassosi: Colette che smaschera le panzane degli agenti immobiliari o prende in giro i vicini bacchettoni, i battibecchi tra spiriti o tra medium, le telefonate ostili tra Gavin e Colette, due ex coniugi che non riescono a rompere una volta per tutte perché temono di restare da soli.
In Al di là del nero Hilary Mantel affolla una schiera di personaggi vivi e morti, egoisti o empatici, isolati o bene inseriti nei loro contesti, tutti gli uni accanto agli altri. Mette in scena forse «i fantasmi di una vita», interessando e divertendo.
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