Agatha Christie, la regina del giallo… e del sospetto
Considerata dai più come la regina del giallo, Agatha Christie non è solo questo, o meglio la riflessione critica su una scrittrice così prolifica non può ridursi a una catalogazione semplicistica. Agatha Mary Clarissa Miller è, prima di tutto, la regina del sospetto, che ha scelto il genere “giallo” come modalità di espressione narrativa.
L’occasione giusta per scoprire le ragioni di questa mia affermazione potrebbe essere la lettura, o rilettura, dei classici di Agatha Christie pubblicati, a partire da oggi e ogni venerdì, in abbinamento al «Corriere della Sera», all’interno di una collana intitolata, appunto, Agatha Christie – La regina del giallo non risparmia nessuno. Venti volumi attraverso i quali si può senz’altro arrivare alla conclusione che quel “non risparmia nessuno” non si riferisce al delitto (subìto o messo in atto), ma a qualcosa d’altro, che risulta più profondo e pericoloso. Nessuno esce indenne dalla lettura di Agatha Christie, perché la sua penna scandaglia l’animo umano facendo leva sul sospetto, come categoria filosofica applicata in ambito letterario.
A mio avviso, infatti, la classificazione di Paul Ricoeur della scuola del sospetto e la sua conseguente indicazione di tre soli maestri nelle figure di Karl Marx, Friedrich Nietzsche e Sigmund Freud risulta manchevole per due motivi: l’esclusione di una figura femminile, da un lato, e il mancato riferimento ad Agatha Christie, dall’altro.
Se è vero, infatti, come sostiene Charles Maurice Donnay, che «ci sono due tipi di donna: quelle che ingannano il marito e quelle che dicono che non è vero», è altrettanto vero che l’inganno è padre del sospetto: chi inganna non può che vivere nel sospetto o di essere stato scoperto o di essere, a sua volta, ingannato. In entrambi i casi, dunque, l’esclusione di una donna tra i maestri del sospetto ricoeuriani rende la classificazione ambigua, o, per meglio dire, la rende simile alle novelle del Boccaccio, dove il marito cornuto non vede, non sa, ma si vendica a prescindere. Dunque, nessuna spinta alle pari opportunità alla base della mia affermazione, ma soltanto una mera constatazione, condita, lo confesso, da una lieve forma di ironia.
Dicevamo, però, della mancata considerazione di Agatha Christie, e questo risulta molto più grave da un punto di vista concettuale e di merito.
Dando per certo quanto sostiene Ricoeur a proposito dei tre moschettieri del sospetto, e cioè: «Se risaliamo alla loro intenzione comune, troviamo in essa la decisione di considerare innanzitutto la coscienza nel suo insieme come coscienza “falsa”. Dopo il dubbio sulla cosa, è la volta per noi del dubbio sulla coscienza. […] Tutti e tre iniziano col sospetto sulle illusioni della coscienza e continuano con l’astuzia della decifrazione, e, infine, anziché essere dei detrattori della “coscienza”, mirano a una sua estensione» (Paul Ricoeur, Dell'interpretazione. Saggio su Freud, Il Saggiatore, Milano, 2002, pp. 46-49), allora non possiamo non domandare con ancora più forza le ragioni dell’esclusione di Agatha Christie, il cui metodo è sostanzialmente lo stesso.
Pensiamo, ad esempio, a Dieci piccoli indiani: l’iniziale atto di accusa con cui si apre il romanzo farebbe pensare a dieci colpevoli, che diventano vittime designate da un giustiziere coscienzioso in vena di un bilanciamento di torti e ragioni con la legge del taglione e, infine, ridiventano colpevoli. Un meccanismo che, al di là della perfetta tenuta narrativa, spinge la coscienza del lettore a dubitare della sua capacità di giudizio e a sospettare di se stessa, fino alla fatidica domanda: l’omicidio è sempre sbagliato, anche quando l’attuale vittima è un colpevole scampato alla giustizia? Certo, qualcuno potrà obiettare che questa è vendetta e non giustizia. Ma per fortuna tra i maestri del sospetto c’è anche Nietzsche il quale aveva già stabilito che la giustizia non è altro che una forma civilizzata di vendetta.
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Possiamo, però, spingerci ancora oltre, e pensare ad Assassinio sull'Orient-Express, anch’esso basato su un meccanismo simile a quello di Dieci piccoli indiani, ma a finale invertito, come scoprirete leggendo il libro. Questa volta, la vittima è un uomo dalla duplice identità, essendo, allo stesso tempo, il signor Ratchett e Cassetti, condannato per il rapimento e l’omicidio della piccola Daisy Armstrong. Ancora una volta la coscienza viene lasciata in balia di se stessa, fino a poter sospettare della sua capacità di giudizio. Perché è evidente che non solo la coscienza non può stabilire se si tratta di giustizia o vendetta (al di là di facili moralismi), ma non può nemmeno essere certa che l’attuale vittima sia ancora il carnefice di un tempo.
Ben oltre si spinge la Christie con Assassinio allo specchio, come a sostenere, senza voler entrare troppo nella trama per non rovinare la lettura, che l’omicida è solo l’altro volto della vittima, o, meglio ancora, che la vittima è solo l’omicida che si vede allo specchio. Una lettura troppo freudiana mi si potrebbe obiettare. Potrebbe senz’altro darsi, ma va detto che tra Agatha Christie e Sigmund Freud esiste un legame molto più profondo di quello che si voglia ammettere, come ben argomenta Paul Roazen nel suo Freud and His Followers(1974), riconoscendo il debito della Christie alla teoria degli atti mancati, teorizzata da Freud ne La psicopatologia della vita quotidiana(1901) e nelle Cinque lezioni sulla psicoanalisi (1910).
Del resto, è forse solo un caso che la vera vittima di Assassinio allo specchio scampa alla morte solo perché ha porto il suo bicchiere di cocktail a qualcuno che ha fatto cadere per sbaglio il suo bicchiere?
Ma, volendo andare a un livello più profondo, si può sostenere con Roazen che «l'omicidio, nei racconti di Christie, ha il suo equivalente nell’atto mancato freudiano. La rivelazione di Freud di un sé cosciente le cui azioni sono spesso in balia degli impulsi apparentemente repressi ha, nella trama dell’omicidio, il suo equivalente sociale». E l’assassino di Dieci piccoli indiani, pur credendosi un giudice che punisce i colpevoli, non finisce con il dare sfogo sociale ai suoi impulsi omicidi?
Il sospetto che resta, leggendo Agatha Christie, è che tutti potremmo essere dei potenziali omicidi, anche quando siamo solo delle vittime, e viceversa.
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