Adulterio e omicidio. “Agamemnon” di Seneca
Come già visto nella Medea, nel Tieste e nella Fedra senecane, gli influssi della Medicina Pneumatica in Seneca sono evidenti; di conseguenza, si possono analizzare tali influssi anche in un’altra sua tragedia: l’Agamemnon, nella quale vengono descritte le passioni che travagliano Clitennestra, sovrana di Micene, che soffre ormai da dieci anni per la lontananza del marito Agamennone, per i continui tradimenti di lui e per il sacrificio da lui perpetrato con l’immolazione della figlia Ifigenia. Clitennestra entra in scena mostrandosi fortemente prostrata, afflitta dalle forze discordanti della gelosia e della vendetta, da un lato, e della pietà e del rispetto di sé dall’altro.
«Perché, animo pigro, ricerchi il partito più sicuro? Perché ondeggi? È ormai preclusa la via del bene. Un tempo ti era possibile custodire con casta fedeltà il letto pudico del tuo sposo e lo scettro vacante- ora sono andati perduti i buoni costumi, il diritto, l’onore […] e quel pudore che, una volta perduto, non sa più ritornare.»
Il suo abbattimento, nonostante ciò, conosce fasi di subitanea eccitazione al punto che il primo atto si conclude con la regina fermamente convinta a perpetrare il suo scelus nonostante l'ultimo appello a rinunciare lanciato dalla nutrice.
«Mi tormenta un pensiero troppo crudele perché io possa sopportare un rinvio; fiamme bruciano le mie midolla e il mio cuore.»
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Quando però Egisto entra in scena dopo il coro, la regina sembra avere un riflusso di pudor e, quindi, sembrerebbe essere pentita e piena di vergogna per i progetti covati con il compagno.
«L’amore coniugale prevale e mi fa tornare indietro: torno là da dove non avrei mai dovuto muovermi.»
Dopo un lungo duello dialettico, però, il ragazzo ha la meglio su di lei e convince Clitennestra a proseguire il folle piano. Gli ondeggiamenti della regina possono essere letti come un chiaro esempio di ciclotimia psicologica: ella si trova in una costante dilacerazione psicologica che non le permette di constatare con decisione quale sia il partito da lei scelto. È evidente, di conseguenza, come la fluctuatio animi di Clitennestra sia, per Seneca, un sintomo depressivo molto chiaro: l'ingresso in scena della donna è caratterizzato da uno stato depressivo melancolico che a mano a mano lievita in un desiderio di violenza che provoca una sovraeccitazione molto vicina alla mania, anche se la traduzione in atto del furor deve ancora attendere uno slancio totale, finale e vendicativo.
Lo stesso dialogo con la nutrice è un chiaro segno di ciclotomia psicologica in quanto, come avevamo già visto anche per Fedra, esso non ha alcuna influenza sulla donna che è ormai in balia della propria malattia psichica e, in conseguenza di ciò, continua insistentemente verso una degenerazione totale, verso un adsensus animi che le dia la forza per compiere il nefas da lei progettato. I riflussi biliari, che sembrerebbero un disperato ritorno al pudor, sono in realtà un chiaro segno dell'incostanza psicologica che non permette alla regina Danaum di risolversi nella sua azione; solo grazie alle parole di Egisto, che spingono la donna verso l'atto finale, ella riesce a scaricare il suo pectus che non riusciva più a sopportare un nefas così orrendo, con una scarica biliare che permette alle cavità ipocondrie di liberarsi, di ottenere maggiore bile e di assassinare Agamennone con una ferocia imprevedibile.
Il furor maniacale di Clitennestra non si limita all’omicidio del marito ma continua su una scia pazzoide che le muove l'animo e la porta a mettersi, come un leone affamato, alla ricerca del figlio, per estirpare la dinastia discendente da Agamennone; purtroppo per lei, però, il figlio, grazie all’aiuto della sorella maggiore, riesce a fuggire e, quindi, il suo desiderio di vendetta si spegne malamente dopo essere riuscita ad adempiere al suo scelus soltanto per metà.
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In conclusione, in questa tragedia, come nelle altre analizzate, il furor melancolico-maniacale diviene il protagonista di tutta la vicenda: i personaggi principali, infatti, compaiono in preda a passioni dilaceranti che non permettono alla ratio di vincere sulla parte irrazionale dei singoli; essi, come un mare in tempesta, si trovano in balia di una ciclotimia psicologica che non lascia scampo: o ritirarsi dalle nefandezze progettate, o continuare verso lo scelus totale e onnilaterale. Nella maggior parte dei casi, come si è visto, i protagonisti scelgono la seconda via, quella peggiore, in quanto, così facendo, il peso che avevano trovato nel loro pectus si affievolisce, vi è una scarica biliare che permette loro di sentirsi liberi, di respirare a pieni polmoni e di ritrovare il proprio ego che si era perso nelle sezioni recondite del loro animus. Questa interpretazione è ovviamente figlia della scuola pneumatica, ma può essere considerata prodromica dei futuri studi che verranno fatti riguardo all’inconscio umano: da Freud a Jung, con i corrispondenti risvolti letterari del modernismo inglese con Joyce e Woolf o, sulla sponda letteraria italiana, con Svevo; per questo motivo bisognerebbe leggere le tragedie senecane che permettono di comprendere, o meglio, di avere una nuova prospettiva riguardo alle passioni umane, riguardo a quelle realtà emozionali che struggono gli uomini ancora oggi e che, come si può notare, erano le stesse che dominavano gli uomini d’allora. Adulterio e omicidio, furor e melancolia sono, perciò, costanti letterarie universali e, purtroppo, anche umane.
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