Accuse di plagio e diffamazioni
Vi chiedo da subito di portare pazienza per questo articolo, non è breve. Reputo opportuno spiegare nel dettaglio alcuni fatti.
Era il 12 ottobre 2010 quando pubblicai un mio articolo dal titolo “Esistono azioni fasciste online?”, nel quale raccontavo il caso di Maria Antonietta Pinna, a quel tempo collaboratrice di Sul Romanzo. Mi ero adirato, perché per accertamenti giudiziari, non per una condanna, ma per accertamenti era stato imposto l’oscuramento di un articolo del 26 febbraio 2010, che riguardava sempre Pinna. Dal canto mio, reputavo scorretta ‒ non ero l’unico a pensare in tale modo, furono molti a commentare il fatto dandomi ragione ‒ un’azione che non sembrava garantista per entrambe le parti, ma si schierava con una delle due parti, ancor prima di giungere a una sentenza. Alessandro Gilioli, nota firma de l’Espresso, titolò “Se sui blog arriva la censura di Polizia” e Guido Scorza, giurista esperto di diritti civili in rete, parlò dell’accaduto scrivendo un’altra storia di libertà violata. Si creava un avamposto giuridico pericoloso per la libertà di espressione, il celebre articolo 21 che i padri costituenti pensarono per tutelare i diritti di ogni cittadino italiano.
Sono trascorsi quattro anni nei quali sono accaduti eventi importanti.
In primo luogo, una sentenza a Ferrara il 3 maggio 2013. La causa per diffamazione mossa da Miriam Turrini contro Maria Antonietta Pinna, per la quale il P.M. chiedeva la condanna alla pena di mesi 8 di reclusione.
Sentenza che stabilì quanto segue:
“Deve dunque escludersi un plagio, ma rimane il fatto che Turrini ha ripreso l’argomento della tesi di laurea di Pinna, abbia rielaborato temi già presenti in essa […] e si sia servita in qualche modo della trascrizione del manoscritto di Gallarate, eseguita a suo tempo dall’imputata. Non a caso, il libro presenta una struttura analoga alla tesi di laurea e ‒ come si è detto ‒ alcuni paragrafi portano gli stessi titoli, sebbene il loro contenuto sia sicuramente rielaborato, ampliato e approfondito rispetto alla tesi.
La parte civile si è quindi giovata dell’opera intellettuale altrui, accennando appena all’origine della propria ricerca, ed omettendo nelle note (anche quelle relative all’Appendice) ogni riferimento alla tesi di laurea e all’originaria trascrizione.
Ciò premesso, è verosimile che Pinna Maria Antonietta, scoprendo casualmente la pubblicazione del libro e leggendo gli argomenti trattati, nonché esaminando la struttura del volume, abbia pensato che Turrini si fosse appropriata del suo lavoro. Il fatto di avere agito avanti al giudice civile fa pensare che ella fosse effettivamente convinta di avere subito un torto (diversamente si sarebbe astenuta dal promuovere il giudizio).
Come si è detto sopra, il libro di Turrini non viola il diritto di autore di Pinna, trattandosi di un’opera sostanzialmente nuova, e non di un plagio della tesi di laurea (rispetto alla tesi, e malgrado le somiglianze sopra rilevate, è un lavoro molto più ampio e articolato). Moralmente, esso non fa però piena giustizia del contributo dell’imputata alla ricerca scientifica: contributo che, per quanto iniziale, non era obbiettivamente trascurabile, e avrebbe dovuto trovare un riconoscimento da parte della ricercatrice, sia nelle note del saggio introduttivo […], sia nell’Appendice […], ove si riporta una trascrizione che […] è molto simile a quella eseguita da Pinna.
Può perciò giudicarsi che, reclamando insistentemente sul web la paternità dell’opera e accusando la parte civile di avere copiato la tesi, Pinna Maria Antonietta abbia inteso esercitare propri diritti (il diritto di critica del comportamento della docente universitaria e il diritto d’autore nella sua componente morale), piuttosto che ledere la reputazione di Turrini Miriam”.
Il tribunale connotò come colposo il comportamento dell’imputata, ma escluse il dolo.
“Deve allora concludersi che non vi è prova sufficiente della sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di diffamazione.
Ovviamente, diversa conclusione dovrebbe trarsi per gli scritti, pubblicati sul web dall’imputata, successivi alla data del 6 dicembre 2010 (data di deposito della sentenza civile), poiché da allora non è più ipotizzabile la sua buona fede. I fatti per cui si procede sono però tutti precedenti alla data suddetta.
Per le ragioni sopra esposte deve pronunciarsi sentenza di assoluzione con la formula indicata in dispositivo”.
Assoluzione per Pinna perché i suoi articoli erano anteriori al 6 dicembre 2010.
Data di un’altra sentenza, quella di Bologna, che assolveva Gian Paolo Brizzi, Miriam Turrini, Roberto Greci e la casa editrice Clueb, respingendo la richiesta di Pinna a condannare i sopraccitati per plagio. Inoltre, nella sentenza di Bologna si condannava Pinna a "rifondere a tutti i convenuti le spese di lite" (4.000 euro per onorari a Clueb; 1.898 euro per diritti, oltre spese generali, ex Art. 15 Tariffe professionali, imposta sul valore aggiunto e contributo Cassa nazionale previdenza avvocati come per legge; quanto a Gian Paolo Brizzi e Roberto Greci nella somma di 4.000 euro per onorari, 2.110 per diritti, oltre spese generali, ex Art. 15 Tariffe professionali, imposta sul valore aggiunto e contributo Cassa nazionale previdenza avvocati come per legge; quanto a Miriam Turrini, nella somma di 4.000 euro per onorari, 1.636 euro per diritti, 6,50 euro per spese vive, oltre spese generali, ex Art. 15 Tariffe professionali, imposta sul valore aggiunto e contributo Cassa nazionale previdenza avvocati come per legge).
Pinna sostiene di avere fatto ricorso in appello, che è fissato, sempre a suo dire, per il 2015.
Maria Antonietta Pinna non ha mai cambiato registro di comunicazione verso i docenti universitari, continuando ad accusarli pubblicamente di plagio (è sufficiente consultare il suo blog o il suo profilo Facebook, ma non solo, per trovare numerose testimonianze a riguardo), nonostante il tribunale di Ferrara avesse chiarito che “Deve allora concludersi che non vi è prova sufficiente della sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di diffamazione.
Ovviamente, diversa conclusione dovrebbe trarsi per gli scritti, pubblicati sul web dall’imputata, successivi alla data del 6 dicembre 2010 (data di deposito della sentenza civile), poiché da allora non è più ipotizzabile la sua buona fede”.
Pinna ha continuato dal 6 dicembre 2010 a sostenere PUBBLICAMENTE che non c’è stata diffamazione e che quindi poteva affermare in libertà che c’è stato plagio. Le sentenze sono due e hanno sancito cose ben diverse da quanto Pinna va dicendo da tempo.
Questi i fatti processuali.
Non è mia intenzione entrare nel merito del lavoro della magistratura, fin dall’inizio ho sostenuto che mio compito, come responsabile legale del blog di Sul Romanzo, fosse dare voce a ciò che all’epoca e sulla base dei fatti raccontatimi da Pinna ritenevo un’ingiustizia. Di una cosa ora sono certo e cercherò di seguito di esprimere la mia idea.
Tornando indietro nel tempo, il 26 febbraio 2010 Pinna rispondeva alle domande de l’Espresso e concludeva l’intervista affermando:
Il silenzio non cambia il mondo. Il rumore lo stordisce. Una protesta pacata è la cosa giusta.
Io non so che cosa intendesse Pinna per protesta pacata, perché per quanto mi riguarda abbiamo due diverse idee di pacatezza. Quando penso al lemma pacato, io mi riferisco a quanto Treccani dichiara: di persona che si mostra calma, tranquilla, serena, e anche degli atti, dei modi, dell’aspetto con cui si rivela tale stato d’animo, soprattutto nel parlare.
Ho sempre difeso la libertà di espressione di Pinna, ho impegnato tempo e denaro per difendere il suo diritto di protestare, perché mi sono recato presso la Polizia per collaborare alle indagini e ho pagato la consulenza di un avvocato per comprendere i confini legali della situazione e per difendere il nome di Sul Romanzo, e perché, oltre alla stessa Pinna, erano stati coinvolti il mio nome e Sul Romanzo appunto, di cui sono fondatore. Avrei potuto operare in molti altri modi, stando zitto o facendo finta di nulla, invece ho scelto di non rimanere indifferente verso il caso di Pinna.
Ma non c’è soltanto la giustizia, ci sono anche i modi e i toni. E i modi e i toni, nonostante una sentenza fosse stata chiara rispetto alla buona fede, sono rimasti uguali da parte di Pinna, diventando ingiustificatamente aggressivi anche verso Sul Romanzo, cioè verso chi le aveva messo a disposizione lo spazio per esprimere liberamente quello che lei definiva (e continua a definire nonostante ben due sentenze dicano il contrario) un plagio. Così io mi sono trovato, da un idealismo forse troppo generoso, a dover decidere di mantenere o meno pubblicati commenti a dir poco irrispettosi nei confronti delle persone coinvolte. Come è nata questa nuova visione?
Poco tempo fa Sul Romanzo ha avuto alcuni problemi al sito, con la conseguenza che non pochi articoli comparivano senza la firma dell’autore, ma con il tag “Anonimo”. Mi sono messo in moto per cercare di risolvere il problema. Nel frattempo Pinna, accortasi di questo problema (che coinvolgeva anche altri quattro collaboratori), mi ha contattato privatamente su Facebook, da subito non pacata, con i modi e i toni che oramai ho imparato a conoscere di lei. Ho spiegato il problema. È iniziato così uno scambio fra me e lei che si è spostato anche su altri argomenti, come il pagamento dei collaboratori di Sul Romanzo. Pinna citava un mio post nel quale parlavo di alcune novità per Sul Romanzo, che hanno iniziato a prendere forma nel 2013 e in modo graduale, sotto la stretta gestione comunicativa di Gerardo Perrotta (intendo il rapporto fra Perrotta e i collaboratori), mio più stretto collaboratore. Ho reputato opportuno iniziare per fasi, coinvolgendo i collaboratori più affidabili nelle scadenze e più predisposti alla produzione di notizie editoriali di qualità. Ho dato, in primo luogo, spazio di retribuzione alla scrittura di notizie editoriali e non di recensioni per ragioni di ordine economico (qui il discorso si dilungherebbe su link building, CMS, SEO, link baiting, ma temo di confondere i lettori con tecnicismi poco utili alla discussione). Fra iniziare il cambiamento e non iniziarlo, ho deciso di iniziarlo con un primo passo, pagare tutte le collaborazioni da subito era impossibile.
Pinna si è intestardita su questo e ha cercato di colpire con dichiarazioni pubbliche Sul Romanzo, Perrotta e il mio nome. Non solo. Ha bollato le notizie editoriali come gossip, includendo nella critica il lavoro di altri collaboratori, ai quali va il mio rispetto e la mia stima per essersi fatti coinvolgere in nuovi obiettivi per il progetto, consapevoli che un primo passo è stato fatto.
La quasi totalità dei blog letterari italiani non retribuisce le collaborazioni, Sul Romanzo ha iniziato nel 2013 a farlo con una parte dei collaboratori, alcuni per esempio, non concordando con le condizioni poste, hanno preferito continuare con la vecchia maniera. È chiaro che in questa fase ci siano situazioni ibride: la retribuzione si accompagna a una serie di condizioni appunto (che i collaboratori hanno condiviso e stanno condividendo). La cosa che più mi ha umanamente ferito è stata la violenza comunicativa di Pinna, mentre tutti gli altri collaboratori non hanno avuto reazioni simili rispetto al cambiamento, anzi è stato interessante ricevere da parte loro suggerimenti, critiche e riflessioni, perché su un tema così complesso come il pagamento di una “prestazione intellettuale”, essendo Sul Romanzo uno dei primissimi e rari esempi di blog letterario che comincia a retribuire le collaborazioni, sono costretto ad affrontare ogni passo con attenzione e responsabilità.
Pinna, in maniera faziosa, attraverso alcune dichiarazioni pubbliche su siti e social network, ha insinuato il dubbio che io possa essermi comportato furbescamente per quanto concerne il pagamento, quando lei ha abbandonato Sul Romanzo proprio nel momento in cui si iniziava la nuova fase. Non era stato promesso nulla a lei in quanto a pagamenti. Era stato detto invece dal sottoscritto che il 2013 avrebbe portato un cambiamento nelle collaborazioni. Lo stesso Perrotta le ha chiesto più volte di esibire una mail o un documento in cui venisse a lei promesso personalmente un pagamento per i suoi articoli; Pinna non ha potuto esibire alcunché, data l’infondatezza della sua affermazione, e ha preferito proseguire con un dibattito pubblico ingiurioso.
Se sbatti la porta e abbandoni Sul Romanzo bollando gli articoli degli altri collaboratori come gossip
e vai in giro dicendo che ti erano stati promessi soldi non arrivati poi nel tuo conto corrente,
chi sta mistificando la realtà?
Cosa curiosa, perché Sul Romanzo ha quasi cinquanta collaboratori attivi, e soltanto una persona ha fatto simili dichiarazioni. Delle due l’una, o tutti gli altri collaboratori sono idioti, intimoriti dalla mia persona, pecore ammorbate, oppure forse la deduzione che si può fare è un’altra.
Abbiamo commesso un errore noi di Sul Romanzo. Perrotta sosteneva in una discussione su Facebook che gli articoli di Pinna consegnati nel 2013 sono stati tre, no, erano di più. C’è stato un errore di conteggio dovuto a un problema di segnalazione in un nostro gestionale interno. Ma non ci fu malafede, potete immaginare quanto la gestione di quasi cinquanta collaboratori possa essere complicata, qualcosa può scappare. E comunque 3 o 10 o 15 non cambia la sostanza del discorso.
Pensiero a latere, ma importante. Mi chiedo. Ti difendo, impegno tempo e soldi per te, ogni volta che c’era un’occasione per darti spazio rispetto alla faccenda l’ho fatto e, a distanza di tempo, la riconoscenza che mi sembrerebbe il minimo viene annientata? Le sentenze hanno parlato e su questo la magistratura lavora, sui rapporti che tengo coi collaboratori non sei d’accordo e sbatti la porta, osservo la violenza comunicativa nei miei confronti, nei confronti di Perrotta, nei confronti degli altri collaboratori e che cosa dovrei fare, ringraziarti?
Patti chiari, amicizia lunga. Buono sì, ma stupido no.
Di recente ho visto anche che in un articolo pubblicato su Sul Romanzo in data 29 maggio 2013 continuavano i commenti infuocati contro i due docenti universitari. Ho cancellato i commenti più volte perché ci sono state sentenze che hanno stabilito cose profondamente diverse da quanto riportato nei commenti appunto; perché dovevo rischiare una denuncia per diffamazione? Cosa alquanto significativa: i commenti, sempre anonimi, provenivano tutti dallo stesso IP, cioè dal medesimo computer. Se voi foste stati al mio posto, che cosa avreste pensato? Non posso affermare che fossero di Pinna, ma qualche sospetto lo avevo. Ho così chiamato il mio avvocato il quale mi ha spiegato in modo preciso che mi muovevo in un territorio rischioso, perché la magistratura si è espressa a riguardo. Mi disse: “Vuoi continuare a essere la cassa di risonanza per un caso sul quale la magistratura si è già espressa con due sentenze? Vuoi impegnare soldi per una battaglia che oramai non è più nel campo della comunicazione online ma nelle aule giudiziarie?”
La mia risposta fu: “No, mi spiace per la situazione di Pinna, ma la sua battaglia deve continuare nel luogo idoneo, cioè in tribunale”.
E l’avvocato: “Esatto, allora cancella quel post, tienilo conservato se la magistratura dovesse chiederlo, ma tutela il tuo nome e quello di Sul Romanzo. Sei l’unico responsabile legale del blog, hai tutto il potere di difenderti cancellando uno o più post”.
Così ho fatto, ho cancellato quel post. Apriti cielo. Pinna ha iniziato a parlare di censura, censura?! Ricapitoliamo: sono stato io a darti voce nel blog per una tua vicenda delicata, sono stato io a impegnare soldi e tempo per te, sono stato io a rischiare difendendo il tuo nome presso la Polizia e non solo, vedevo che continuavano i commenti feroci quando ci sono state già due sentenze che sono giunte a conclusioni differenti rispetto a quanto affermato in quei commenti, ho deciso, su consiglio del mio avvocato, di cancellare un articolo a mio nome, RICORDIAMOLO PER CHI PENSASSE IL CONTRARIO, a mio nome, cioè firmato da me, e devo sentirmi dire che applico la censura?
Io mi sono stancato di difendere chi non ha la minima riconoscenza per il sottoscritto dopo tutti i rischi che mi sono preso, e, allo stesso tempo, pretende che Sul Romanzo affermi cose diverse da quelle stabilite in ben due sentenze, mettendo a repentaglio il nome non solo mio e di Sul Romanzo, ma di tutti i collaboratori che ogni giorno continuano a produrre cultura con i loro articoli. Se Sul Romanzo è diventato nel tempo uno dei blog letterari più apprezzati in Italia, come dimostra anche la classifica più importante del settore, forse, dico, forse è perché qui, a casa nostra, ci piace lavorare con serietà e nel rispetto di tutti, sia lettori sia collaboratori. E con pacatezza, ma quella vera.
A differenza di quanto scritto da Pinna nei confronti miei e dei collaboratori di Sul Romanzo, non si potrà trovare mai, ripeto, mai una nostra frase che sia stata offensiva nei confronti di Pinna. Cercatela. Non la troverete. Perché nei miei e nei nostri modi di fare è contemplata l’educazione prima di qualsiasi altra cosa, e non la violenza comunicativa.
La vicenda che vi ho raccontato mi ha talmente ferito che ho preso un’altra decisione, cancellerò nei prossimi giorni tutti gli articoli di Pinna presenti nel sito di Sul Romanzo, perché il tasso di NON rispetto che Pinna ha riservato a Sul Romanzo lo voglio convertire nel rispetto che devo a tutti i miei collaboratori, che meritano di affiancare le loro firme ad altre firme degne di tale nome.
E non aprirò i commenti a questo articolo perché non ho la minima intenzione di dare spazio a discussioni infuocate su quanto accaduto. Il mondo è grande, Pinna. Vada a infangare liberamente chi vuole in un altro luogo.
Questo è il punto finale del caso Pinna, Sul Romanzo vorrebbe non parlarne mai più. Vi ringrazio per l’attenzione, scusate la lunghezza dell’articolo e ora torniamo a lavorare per voi lettori.
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