Accettare lo scorrere del tempo. Intervista a Paul Cézanne
Di origini italiane, il suo cognome è una francesizzazione di Cesana: Paul Cézanne è considerato fra i maggiori esponenti del post impressionismo e anticipatore della corrente cubista. Pittore tanto detestato dai colleghi quanto amato dagli amici pittori più stretti, sebbene non abbia frequentato la scuola di belle arti, è un pittore molto quotato: nel 2013 Sotheby’s ha battuto all’asta una sua tela con undici meleper 41.605.000 dollari.Siamo stati invitati dal pittore presso la sua casa ad Aix-en-Provence, luogo in cui visse in solitaria nell’ultimo periodo della sua vita. Lo abbiamo incontrato in un bar, mentre sorseggiava un caffè, fumando la sua solita sigaretta orientale. Spalle coperte da un ampio mantello, teneva a tracolla una specie di carniere. Stava per andarsene, quando...
Buongiorno, signor Cézanne.
Desiderate?
Siamo qui per l’intervista, si ricorda? Avevamo un appuntamento…
Andavo a lavorare, ma giacché ci siete… Seguitemi.
È un vero piacere poter esser nella sua città natale. Le piace Aix?
Ci sono nato e morirò qui. L’ho lasciata per Parigi al termine del collegio e, ventuno anni dopo, non la riconoscevo più. Io vivo nella città della mia infanzia ed è nello sguardo della gente della mia età che rivedo il passato. Più di tutto amo l’aspetto delle persone che invecchiano senza far violenza alle proprie abitudini, abbandonandosi alle leggi del tempo; odio lo sforzo di opporsi a queste leggi. Guardi quel vecchio caffettiere seduto davanti alla sua porta, sotto quella fusaggine! Che stile! Guardi, invece, là in piazza, quella giovane commessa; certo è graziosa e non si dovrebbe parlarne male. Ma quanta banalità menzognera nella sua pettinatura e nei suoi abiti!
[L’intervista proseguì all’interno del suo atelier.]
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Ecco il mio atelier. Qui non entra nessuno al di fuori di me, ma dato che lei è un’amica, ci entreremo insieme.
Mi piace molto questo posto immerso nel verde… e la vetrata...
Ho fatto fare tutto a mie spese, ma l’architetto se n’è infischiato allegramente di ciò che desideravo. Sono un timido, un disordinato. La gente mi prende in giro e io non riesco a sopportare più niente e nessuno. Quel che ci vuole per me è l’isolamento, così nessuno mi pianta gli artigli addosso.
So che non apprezzava la compagnia. Molti suoi colleghi si prendevano gioco di lei, si diceva che lei non avesse un buon carattere... Ma è vero che alcuni suoi calunniatori venivano anche a trovarla a casa?
Erano convinti che avessi non so che trucco segreto e me lo volevano fottere, ma io li mandai al diavolo tutti quanti e nessuno, nemmeno uno, è mai riuscito a impadronirsi della mia mente.
Aveva però degli amici fidati. A tal proposito, che cosa ci racconta di Émile Zola?
Era una mediocre intelligenza e un amico semplicemente detestabile, infatuato di se stesso fino al parossismo. L’Opera, per esempio, è il romanzo in cui ha preteso di rappresentarmi! Null’altro che una spaventosa deformazione, una menzogna tutta a suo vantaggio, naturalmente. Era stato mio compagno di collegio, un tempo andavamo a giocare insieme sulle rive dell’Arc, e ricordo che lui componeva dei versi. Ne facevo anche io, in latino e in francese. In latino ero più forte di lui. Certo, quelli erano tempi in cui si studiava ancora sul serio. Come arrivai a Parigi, Zola mi presentò a Manet che mi fece subito una bella impressione. La mia naturale timidezza m’impedì tuttavia di frequentare spesso la sua casa. Zola poi più cresceva il suo nome, più diventava intrattabile. Un bel giorno ricevettiL’Opera: fu un colpo vedere ciò che pensava di noi. È un pessimo libro e completamente falso.
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Non dica così. Ho letto un bel po’ di lettere che gli ha indirizzato e devo dire che questo astio nei suoi confronti non l’ho percepito. Anzi, ho appreso che, quando lei venne a sapere dal suo giardiniere che lui era morto asfissiato dal fumo di un camino, si chiuse nello studio e si abbandonò a un pianto disperato per tutto il giorno...
Basta non parliamone più!
Scusi non volevo irritarla. A proposito del suo giardiniere, in quest’opera è quello a sinistra, vero? Lo sa che una sua versione dei Giocatori di carteè stata acquistata da una famiglia del Qatar per 250 milioni di dollari?
Che cosa spaventosa la vita! Lavorare senza preoccuparsi di nessuno e raggiungere una forza effettiva; il resto non vale la parola di Cambronne[1].
Lei lavorava ogni giorno dalle sei alle dieci e mezzo. Sia d'estate sia d'inverno si alzava presto per chiudersi nello studio per quasi cinque ore, si fermava per mangiare e poi andava in campagna a dipingere. Se potesse ripercorrere la sua vita, crede di aver lasciato in sospeso qualche aspetto?
Quello che mi è mancato è stata una compiuta realizzazione, forse un giorno ci arriverò. [sorride] Avrei voluto essere ammesso nel Salon di Bouguereau, ma so benissimo che ciò che mi tarpava le ali è che non riuscivo a realizzare ciò che desideravo, e l’ottica mi mancava in modo assoluto. Ma facevo ogni giorno dei progressi e questo era l’essenziale.
A differenza di molti suoi colleghi, lei non chiamò mai nel suo studio delle modelle per i suoi nudi. Ci vuole spiegare il motivo di questa sua scelta?
Alla mia età ho il dovere di astenermi dal denudare una donna per dipingerla. Mi sono accontentato di alcuni disegni che avevo fatto da giovane.
Lei era molto legato ad alcuni pittori suoi contemporanei. Che cosa si ricorda di loro, della loro arte?
Pissarro è arrivato molto vicino alla natura, Renoirci ha restituito in pieno la donna di Parigi e Monetun modo di vedere, il resto non conta.
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E Gauguin, le piaceva?
Non riuscirò mai a digerire quella sua mancanza di plasticità! Gauguin non è mai stato un pittore, non ha fatto altro che delle cineserie.
Addirittura? E dire che lui fu un suo assiduo sostenitore e collezionista… Anche se lei apprezzava la solitudine, aveva una schiera di sostenitori!
Sa cosa mi diceva mio padre? «Mio figlio è un artista. Molto probabilmente morirà nella più assoluta miseria, per fortuna lavorerò io per lui». E così mi ha lasciato i mezzi per potermi occupare della mia pittura fino alla morte. Era un piccolo negoziante di cappelli e alla sua morte le mie due sorelle e io ci siamo trovati con una rendita rispettabile.
Forse ho capito da cosa derivava la sua insicurezza: suo padre, troppo autoritario, non la supportava in modo adeguato. So che gli ha nascosto la nascita di suo figlio Paul e aveva tenuto segreta la relazione con sua moglie Hortense Fiquet…
[sorride] Mia moglie amava solo la Svizzera e la limonata. Nel mio testamento scrissi che lei non avrebbe dovuto avere alcun diritto di usufrutto sui miei beni.
Non andava molto bene il rapporto con Hortense, abbiamo capito… Per quanto riguarda la religione, so che lei era molto credente: ogni sera frequentava i vespri e ogni volta, durante la celebrazione liturgica, si recava presso la fonte dell’acqua santa per la benedizione…
Mi prendevo la mia porzione di Medioevo.
Ehm, noto del sarcasmo nelle sue parole… Mi tolga una curiosità: che rapporto aveva con le donne? Si ricorda un fatto della sua giovinezza? Avrà avuto incontri fugaci...
Avevo un giardiniere al quale avevo dato un po’ di lavoro. Era padre di due ragazze, e quando veniva a mettere ordine nel mio giardino, non faceva altro che parlarmi di loro. Era una buona persona e fingevo un certo interesse. Un giorno portò a casa mia due magnifiche creature fra i diciotto e vent’anni e me le presentò. Non seppi come interpretare quella presentazione, ma sapendomi debole, diffidavo moltissimo della gente. Mi frugai immediatamente in tasca per aprire la porta e barricarmi dentro, ma per un caso inspiegabile avevo dimenticato la chiave ad Aix. Per salvarmi allora dal pericolo di recitare una parte ridicola, dissi al giardiniere di andare a cercare un’accetta, e quando me la portò gli diedi ordine di sfondare la porta. Cosa che lui fece con pochi colpi. Entrai finalmente in casa mia e corsi a chiudermi nello studio. Che cosa spaventosa, la vita!
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Ma signor Cézanne! Non ci posso credere. Temo d’aver capito il motivo per cui aveva alcune difficoltà nel relazionarsi con gli altri.
Ho lavorato tutta la vita per poter guadagnarmi il pane, ma credevo che si potesse fare della buona pittura senza attirare l’attenzione sulla propria vita privata. Certo, un artista desidera elevarsi intellettualmente il più possibile, ma l’uomo deve rimanere nell’ombra. Il piacere deve risiedere nello studio.
Se non fosse stato per i sostenitori della sua arte, però, non avremmo avuto la possibilità di studiare la sua vita nei libri di scuola…
Sarò sempre riconoscente al pubblico di amatori intelligenti che hanno avuto l’intuizione di ciò che ho voluto tentare per rinnovare la mia arte. Secondo me non ci si sostituisce al passato, si aggiunge soltanto un nuovo anello alla catena.
Certo, è vero. Ogni artista ha un proprio merito…
Il pittore deve racchiudersi all'interno del suo lavoro. Deve rispondere non con parole, ma con dipinti. La tesi da sviluppare è: qualsiasi sia il nostro temperamento o capacità di fronte alla natura, riprodurre ciò che vediamo, dimenticando tutto quello che c'è stato prima di noi. Il che, penso, permette all'artista di esprimere tutta la sua personalità, grande o piccola.
Un’ultima curiosità: perché quel fatidico giorno, nonostante le cattive condizioni metereologiche, uscì a dipingere?
Ho giurato a me stesso di morire dipingendo, anziché sprofondare nell’avvilente rimbambimento che minaccia i vecchi che si lasciano dominare da passioni abbruttenti.
[Il 15 ottobre 1906, mentre dipingeva en plein air, Cézanne fu sorpreso da un violento temporale. Colpito da una sincope, perse i sensi. Fu riportato a casa sul carro di un lavandaio, ma la mattina seguente si alzò per lavorare a un ritratto seppur in gravi condizioni di salute. Morì pochi giorni dopo, il 22 ottobre 1906 a causa di una violenta polmonite].
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Se qualcuno fosse stato lì con lei non le avrebbe permesso di uscire…
L'approvazione degli altri è uno stimolante del quale talvolta è bene diffidare.
Chapeau.
Ah, chissà se Cézanne avrebbe apprezzato il gesto di quest'uomo che, il 26 giugno scorso, ha provato a rubare Tète de jeune fille?
Per approfondire consigliamo la lettura dei seguenti testi:
- Paul Cézanne, Lettere, Abscondita, 1985.
- Émile Bernard, Mi ricordo Cézanne, Skira, 2011.
- Rainer Maria Rilke, Lettere su Cézanne, Passigli Editori, 2001.
- Michael Doran, Cézanne. Documenti e interpretazioni, Universale Donzelli, 1998.
[1] L'espressione “parola di Cambronne” si riferisce a un insulto pronunciato dal generale francese Pierre Cambronne al comandante delle truppe inglesi, durante la battaglia di Waterloo del 1815. Quando il generale inglese, alla fine dello scontro, volle imporre la resa, sembra che Cambronne pronunciò, in risposta, l'insulto “Merde!”, termine reso successivamente più “elegante” con “parola di Cambronne”.
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