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A quale costo l’energia fossile e nucleare?

Energia nucleareLe politiche europee e italiane sembrano essere indirizzate verso la riduzione degli agenti inquinanti che contribuiscono negativamente ai cambiamenti di clima, in particolare le immissioni in atmosfera di anidride carbonica. Ragion per cui si vede necessaria la capillare diffusione delle energie rinnovabili a discapito dei vecchi colossi costituiti da fossile e nucleare. Ma è veramente questa la direzione in cui stiamo andando?

Il neo-ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti ha dichiarato in questi giorni: «L’Italia è tra i Paesi più virtuosi. Abbiamo sottoscritto un accordo con altri 18 Paesi “sensibili”, tra cui Francia e Germania, per raggiungere la riduzione di un ulteriore 40% di riduzione di CO2 entro il 2030. Questo presuppone l’incremento delle rinnovabili che dovrebbero arrivare a livello europeo, sempre per quella scadenza, al 27% rispetto alla produzione totale di energia. […]  Il futuro energetico del nostro Paese è nelle rinnovabili. […] Il nostro Paese, attraverso la politica del Conto Energia, ha e sta investendo molto nelle rinnovabili. Stiamo parlando di circa 13.5 miliardi  e credo che dobbiamo continuare in questa direzione in quanto i risultati sono stati molto importanti. Sappiamo tutti che il costo dell’energia risente di questa scelta, credo però che sarebbe oggi un terribile errore strategico tornare indietro».

L’accordo di cui parla il neo-ministro dell’Ambiente sono le direttive dell’Unione Europea contenute in quello che viene chiamato Pacchetto Clima-Energia. Nel testo di presentazione del sito del MATTM si legge: «Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare opera da sempre per la promozione e l’incentivazione delle energie rinnovabili. In particolare, negli ultimi due anni numerosi sono stati i bandi di finanziamento erogati a favore delle energie rinnovabili e della ricerca nel settore, insieme a programmi di educazione e informazione sulle tematiche ad esse collegate. Nell’ottica di favorire lo sviluppo e il progresso delle rinnovabili in Italia, si è anche pensato ad una raccolta di studi che è utile a fornire un quadro sullo sviluppo di questo complesso argomento». Galletti sottolinea inoltre il cospicuo investimento a favore delle energie rinnovabili che ammonta a circa 13.5 miliardi. In effetti anche sul sito di Enel Energia viene dato notevole risalto all’impegno dell’azienda in favore dell’energia rinnovabile con riferimenti diretti a progetti e impianti realizzati di recente in Italia. Seguendo il link che conduce alla pagina di Enel Green Power si possono leggere le informazioni relative all’impianto di Adrano.

Uno studio di Legambiente rivela che, tra diretti e indiretti, i sussidi alle fonti fossili del governo italiano sono stati, tra il 2000 e il 2012, oltre 135 miliardi, mentre nel solo nel 2013 ammontano a oltre 12 miliardi di euro. Nel dossier si pone l’accento sul fatto che «nel documento di Strategia Energetica Nazionale il tema dei sussidi alle fonti fossili semplicemente non compare quando in realtà esistono 4.4 miliardi di sussidi diretti distribuiti ad autotrasportatori, centrali da fonti fossili e imprese energivore, e 7.7 miliardi di sussidi indiretti tra finanziamenti per nuove strade e autostrade, sconti e regali per le trivellazioni, per un totale di 12.1 miliardi di euro a petrolio, carbone e altre fonti che inquinano l’aria, danneggiano la salute e che sono la principale causa dei cambiamenti climatici».

Le imprese energivore sono quelle caratterizzate da un consumo di energia elettrica (o diversa da questa) pari almeno a 2.4 GWh. A queste, grazie al Decreto emanato il 05 Aprile 2013, spetta uno sconto pari a 600 milioni di euro all’anno sugli oneri generali di sistema, che verranno pagati dagli utenti che non beneficiano di tale opportunità (aziende meno energivore e che per non esserlo magari hanno investito in nuove tecnologie e cittadini). Altro sussidio diretto alle imprese energivoreè la riduzione dell’accisa sul gas naturale impiegato per usi industriali che registrano consumi superiori a 1.2 milioni di metri cubi annui, che nel 2010 è stato pari a 60 milioni di euro. Ma i consumatori virtuosi da premiare non dovrebbero essere quelli che l’energia la risparmiano?

Le percentuali delle royalty per trivellazioni petrolifere in Italia sono state portate con il Decreto Sviluppo al 10% relativamente alla terraferma e al 7% in mare. Giusto per avere un termine di paragone ricordiamo che nel resto del mondo le royalty per trivellazioni petrolifere oscillano da un minimo del 20% a un massimo dell’80%. Inoltre in base alle leggi dello Stato italiano, sono esenti dal pagamento di aliquote le prime 20 000 tonnellate di petrolio prodotto in terraferma e le prime 50 000 tonnellate di petrolio prodotte in mare, i primi 25 milioni di metri cubi di gas estratti in terra e i primi 80 milioni di metri cubi di gas estratto in mare. Completamente gratuite sono ancora le produzioni in regime di “permesso di ricerca”. E sempre per seguire quella che sembrerebbe a tutti gli effetti una linea di incentivazione alla ricerca e all’estrazione petrolifera in Italia, il Governo Monti ha riaperto, con il già citato Decreto Sviluppo, tutti i procedimenti di autorizzazione per la prospezione, la ricerca e l’estrazione di petrolio lungo le coste italiane che erano stati bloccati dal Dlgs 128/2010, approvato dopo l’incidente alla piattaforma Deepwater Horizon nel golfo del Messico.

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Estrazione petrolioUn ulteriore aiuto alle aziende che operano nel settore del gas e del petrolio, ovvero nel settore dei combustibili e quindi dell’energia fossile, è il mancato adeguamento dei canoni annui per i permessi di prospezione e di ricerca. Attualmente le compagnie petrolifere in Italia pagano per la prospezione, la ricerca, la coltivazione e lo stoccaggio canoni che vanno dai 3.40 euro a Kmq per le attività di prospezione, ai 6.82 euro per Kmq per i permessi di ricerca, fino ai 55 euro per Kmq per le attività di coltivazione. Se si adeguassero i canoni con cifre più congrue e meno favorevoli rispetto alla media internazionale (ad esempio 1.000 euro per Kmq per la prospezione, 2.000 euro per Kmq per la ricerca e fino a 16.000 euro per Kmq per la coltivazione) non solo lo Stato italiano e forse anche i cittadini ci guadagnerebbero un importo più adeguato al costo e al pegno pagati in termini di ambiente e consumo di risorse, ma si eviterebbe pure l’assalto alla diligenza con le portiere spalancate che attualmente sembrano essere il suolo e il mare italiani.Tanto per essere certi che gli sforzi fatti vadano a buon fine, è prevista anche una riduzione dell’accisa sul gas naturale impiegato negli usi di cantiere, nei motori fissi e nelle operazioni di campo per la coltivazione di idrocarburi che nel 2010 è stata pari a 220 mila euro.

Va ricordato inoltre il CIP 6, sussidio che dal 1992 avrebbe dovuto sostenere, tramite prelievo diretto in bolletta (componente A3), la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e che ha regalato invece miliardi di euro a impianti a carbone, raffinerie e centrali che utilizzano fossili, grazie alla dicitura “fonti assimilate” che ha aperto e spianato la strada anche alle non-rinnovabili. Questi impianti hanno la garanzia di avere l’energia elettrica acquistata a un prezzo più alto di quello del mercato da parte del GSE e garantita dal prelievo in bolletta dei cittadini e dalla vendita dell’energia prodotta. La stessa energia, rivenduta dal GSE, genera un’entrata economica minore e la differenza viene garantita dal prelievo in bolletta dei cittadini. Nonostante sia oggi vietato per i nuovi impianti l’accesso a tale incentivo, secondo i dati GSE, nel 2012 il sussidio alle centrali è stato pari 2166 milioni di euro, di cui 724 milioni direttamente a carico dei cittadini, e continuerà, sebbene riducendosi nel tempo, fino al 2021.

Il nucleare non può essere considerato una fonte di energia rinnovabile in quanto si basa sull’utilizzo di un metallo, l’uranio, che esiste in natura in quantità finite. E non può neanche essere considerata una fonte di energia pulita, perché se da un lato è vero che rispetto all’impiego di combustibili fossili il suo utilizzo immette nell’atmosfera quantità minime di CO2, dall’altro rimane il problema delle scorie avanzate dal ciclo di lavorazione dell’uranio e i danni all’ambiente causati dagli incidenti e dalle fuoriuscite di liquido radioattivo che, seppur minime, permangono durevolmente nel tempo, come i relativi oneri e costi.

Quando si valutano i costi dell’energia nucleare è necessario prendere in considerazione l’intero processo che va dai fondi destinati alla ricerca e allo sviluppo delle tecnologie, fino ai finanziamenti necessari alla chiusura delle centrali e quelli destinati all’individuazione e creazione dei siti di stoccaggio delle scorie. La parentesi mai definitivamente chiusa del nucleare in Italia ha avuto inizio nel 1963 e, a seguito della chiusura delle centrali nel 1987, è stata istituita una società, la Sogin, con lo scopo precipuo di occuparsi della dismissione delle stesse. Per finanziarla i cittadini pagano in media 150 milioni di euro l’anno, prelevati direttamente dalla bolletta elettrica sotto la voce A2. Secondo l’IEA (International Energy Agency) ancora nel 2006, in Italia, il nucleare ha beneficiato del 24,8% delle risorse destinate alla ricerca in campo energetico contro il 13% andato alle rinnovabili.

Quando il neo-ministro Galletti ha affermato «Il futuro energetico del nostro Paese è nelle rinnovabili» e «che il costo dell’energia risente di questa scelta» forse ha dimenticato di precisare che l’elevato costo in bolletta che i cittadini italiani continueranno a pagare deriva anche dal fatto che gli oneri per la ricerca e la produzione di energia da fonti rinnovabili si andranno non a sostituire bensì ad aggiungere a quelli per la ricerca e la produzione di energia da fonti non rinnovabili, come l’energia fossile e nucleare.

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