“A pietre rovesciate” di Mauro Tetti, sogni, miti e leggende di Nur
Ha appena due anni la collana di narrativa della casa editrice Tunué, eppure rappresenta già una delle realtà editoriali più vivaci del panorama attuale, al punto che grazie all’intuito di Vanni Santoni, direttore di collana, arriva al premio Strega per il secondo anno consecutivo (prima con Stalin + Bianca di Iacopo Barison e ora con Dalle rovine di Luciano Funetta). La scommessa sugli esordi di voci nuove, dedicate ai cosiddetti “lettori forti”, sembra essere vincente: il discorso vale anche per il sorprendente A pietre rovesciate di Mauro Tetti – classe 1986, diverse pubblicazioni su riviste letterarie online – vincitore del premio Gramsci per inediti.
Quasi un romanzo di racconti, A pietre rovesciate è ambientato nel villaggio di Nur, un microcosmo che rappresenta l’intera realtà isolana della Sardegna. Un luogo simbolico, intriso di leggende e miti. A partire da quello della fondazione: cosmogonia vicina al racconto biblico, dove la triade edenica è formata dall’uomo, dalla donna e dal Maureddino. Da qui nasce Nur, la dimora del primo uomo, che significa “pietra preziosa”.
Moltissime le vicende narrate, per lo più stagliate in un orizzonte leggendario e mai databile. «Il libro della memoria sono le labbra degli anziani, le pagine sono strade, canali, campi di erbe selvatiche, sbarramenti, cave, pietre. E gli spazi tra le parole sono infiniti vuoti che pesano come la fine di tutto». Le storie sono portate dalla voce di un dodicenne che trascorre intere giornate con la sua innamorata Giana e l’amico Mustafa; ma la vera cantrice è nonna Dora, una nonna «fatta per fantasticare», creatura ambigua, a volte crudele. Suggestivi titoli dei capitoli: “Delle ombre”, “Delle mosche”, “Degli orchi”, solo per citarne alcuni.
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A pietre rovesciate di Mauro Tetti è un laboratorio di storie che si rincorrono e che provengono da un passato in continua tensione col presente magmatico dei protagonisti. C’è la storia della Regina Nora e della principessa Bianca che non può vedere la luce del sole; c’è quella di Lucia Rabbiosa; c’è la presenza di un orco, dei lupi e di animali indifesi; c’è un precipizio battuto dal vento; c’è una regina che si fa di pietra e una brigantessa appena ventenne. Nur è borgo maledetto, culla mitopoietica: «Questo villaggio pullula di gente infuocata», che sogna sempre di trovare un tesoro. Terra in cui i confini tra sonno e veglia si possono confondere. «E questi sogni continuano a vivere nel presente, durante il sonno o la veglia. Contiamo i passi e danziamo. Nel mentre dormiamo. Nei lunghi sonni o allucinazioni cavalchiamo gatti, conigli o becchi con le corna, agitiamo rami di sorgo e piangiamo».
In questo romanzo sui generis, Mauro Tetti ci dice che ogni persona, figura, sfondo, nome, paesaggio, non esiste di per sé. C’è il cerchio della storia come orizzonte mitico da cui proveniamo, e poi c’è la danza degli elementi naturali. La natura è un personaggio non secondario. Per questo Giana può chiedere al suo amore di portarle un pugno d’ombra quando è troppo caldo, e poi di prenderle il sole, la luna o di fermare il vento. E alla fine chiede un dono dello spirito: «Ho un vuoto dentro! Ha detto quella notte. Prendimene un po’, di libertà!».
Il percorso narrativo di A pietre rovesciate parte da lontanissimo, ma arriva a coincidere con la formazione all’età adulta del narratore. Cominciando dalla fascinazione per la leggenda e per l’infanzia del mondo, il ragazzo arriverà a dover fare i conti con la realtà, con tutto un portato di suadente e maledetta carnalità.
Le conclusioni di A pietre rovesciate sono amare, poiché «sotto la luna tutto è caduco» e, purtroppo, «la notte non lava la mente». Con il favore delle tenebre può accadere il peggio, e la crudeltà dei miti, tradotta nella vita vera delle persone, lascia un dolore senza parole, una sovrabbondanza di corpo che fa vibrare forte la terra «come se volesse crepare». Ma proprio qui sta il senso del romanzo: in questa levità disperata c’è il destino di ogni vita e di ogni storia ben scritta.
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