A Marx non piace il fantasy
[Ottava puntata della Rubrica Nella pancia del drago]
Non c’è niente da fare, c’è sempre qualcuno che per sentirsi un individuo equilibrato deve costringere messaggi esistenziali eterni nella limitatezza di categorie politiche. Come, non avete visto la spilletta sul panciotto di Bilbo? (PEP: “Partito dell’Erba Pipa”)
Tanti tanti anni fa all’autore di questa rubrica venne, come credo a molti di voi, la cattiva idea di condividere con entusiasmo un segreto prezioso: la propria passione per la letteratura fantasy. Si era adolescenti, primi anni di scuola superiore, capelli lunghi, felpa degli Iron, dadi nel sacchetto in finta pelle pronti per giocare a D&D, un certo malcelato e precoce orgoglio intellettuale. Coloro ai quali fummo tentati di confidare, in un malaugurato e commosso slancio di condivisione, la nostra passione furono i nostri compagni di classe, o la combriccola multi-classe all’entrata della scuola.
Tutti di noi ricordano il momento esatto in cui porgemmo il libro che avevamo sotto braccio. Per me fu Michael Moorcock, il tomo della saga di Elric di Melniboné. Il nostro compagno di turno ci guarda e dice: «Ah, ma è tipo il Signore degli Agnelli? Ma non lo sai che è un libro di Destra?».
Se avessimo potuto, saremmo scomparsi. Si era ragazzi per bene, molti cresciuti con l’idea che “l’essere di destra” fosse una cosa cattiva, né più né meno che “essere di sinistra”, ovvero tutto ciò che unito al verbo essere implicasse dipingersi di un colore e uno soltanto e sull’altare di esso rinunciare alla propria libertà di analisi, pensiero critico e diritto di replica. Là di fronte però, all’accalcarsi tra i pensieri di un’epica arringa a difesa del valore filosofico cosmico-multiversale della letteratura fantastica, reagimmo con una bocca spalancata, incapaci di spiccicare parola. Sono passati tanti anni, ebbene, la stessa scena si ripete all’infinito.
Fantasy e politica, non un argomento di cui mi piaccia trattare. In questa rubrica, però, si è cercato di analizzare il fantasy a 360 gradi e non ho potuto esimermi da toccare anche questo quadrante, se non altro per correttezza di metodo e per un terapeutico “rigirare i miei dubbi al lettore”.
Nella rete sono molti i blog che sostengono il fantasy sia letteratura di mero intrattenimento e, come tale, debba essere analizzata più che altro per parametri stilistici e tecnici di scrittura, senza prestare attenzione al contenuto. Certo, se un libro è scritto male può pure parlare per allegorie della relazione tra la mistica di Meister Eckhart e l’esistenzialismo sartriano che a pochi importerà qualcosa. Nel corso della rubrica si è, però, suggerito più volte che le strutture e gli espedienti narrativi del fantasy siano un messaggio di per sé, e non soltanto un veicolo di messaggi.
Mark Bould e Sherryl Vint, nel loro “Political reading” del genere fantasy all’interno del Cambridge Companion to Fantasy Literature (CUP, 2012), affermano:
Tutto il fantasy è politico, anche e soprattutto quando si pensi non lo sia. A partire dalla più astrusa architettura letteraria sino alle serie commerciali più sdoganate, un testo fantasy in ultima analisi si comporta come ogni altro testo culturale, riproduce ideologie dominanti.
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Bould e Vint volevano iniziare il loro essay col botto. Proseguendo con la lettura della loro tesi, dopo questa affermazione tanto lapidaria quanto controversa ci si accorge che il loro scopo era meno provocatorio di quanto sembrasse e teso a rimarcare un fatto inequivocabile: ogni romanzo fantasy, calandosi completamente o entrando in contatto con un “Secondary World” ricreato con una sua coerenza interna da un punto di vista sociale, politico, fisico, religioso, ha l’effetto di mettere alla prova le convinzioni del lettore riguardo alla propria “realtà”. La morale del lettore giunge a un punto di rottura come conseguenza del confronto con le “realtà ideali”. Questa contrapposizione avviene de facto per reazione all’architettura narrativa di ogni “Secondary World”, a prescindere che la riflessione morale/politica/sociale fosse o meno lo scopo esplicito dell’autore.
Da questo punto di vista, ogni testo fantastico – anche non abbracciandole esplicitamente tanto da entrare nella “speculative fiction” – reca in sé istanze utopiche e distopiche. Sino a questo punto credo nessuno abbia di che controbattere, il fantasy si delinea genere “politico”, nel senso “aristotelico” del termine.
Ebbene, prendere atto delle istanze politiche archetipali del fantastico – il buon vecchio what if legato al come si potrebbe organizzare una società – è un conto. Ben altro è, partendo da strumentalizzazioni soggettive, annoverare a posteriori questa o quell’opera fantastica sotto fazioni politiche – pacchetti pre-pagati di idee atti a inculcare una o più convinzioni in una massa di persone – spesso appartenenti a contesti storico-culturali diametralmente opposti a quelli in cui l’opera letteraria in questione è stata scritta.
Tra i due approcci metodologici c’è un abisso, ce lo insegna la semiotica, e ignorare la lezione sarebbe pericoloso. Quando si crea un simbolo per significare un concetto, un “meta-tag” – per dirla in web 2.0, come potrebbe essere quello partitico/politico – quest’operazione apporta nuovo significato al messaggio che vuole rappresentare, si sovrappone a esso, sostituendolo con un messaggio di più veloce fruizione al costo di un’estrema semplificazione di quello originale.
La letteratura di finzione non è un messaggio che può subire questo trattamento. Il mito, la filosofia, le istanze simboliche di tutta la letteratura di finzione, e in primis di quella fantastica, nascono per trascendere i vincoli del sistema etico-politico del lettore, non per servirli. La letteratura narra dell’animale uomo, di ciò che è in potenza, ed è facendo ciò che lo salva da se stesso e travalica il tempo e le ere divenendo esempio e ispirazione per ogni dove, ogni quando. Politicizzare la letteratura è un crimine che la Storia ha perpetrato già troppe volte, e ne abbiamo pagato il prezzo.
Detto ciò, per favore, giù le mani dal fantasy. Che politicanti da strapazzo appicchino sul petto degli hobbit la spilletta che più li fa sentire individui equilibrati. Quando la limitatezza degli uomini diverrà polvere insieme ai loro corpi, gli hobbit saranno ancora lì, se la toglieranno e la getteranno nel Monte Fato, parola di redattore.
Ci ritroviamo on line il 03/10/2013 con la puntata n. 9 della Rubrica Nella pancia del drago: Fantasy postmoderno: un ossimoro?
Si sa, tutto può essere postmoderno: un’epoca, un racconto, un intero genere letterario; una lampada, una balaustra, una cassapanca, un elfo etc. etc.
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