A lezione da un grande scrittore. Torna Chuck Palahniuk con “Tieni presente che”
Tieni presente che, l’ultimo lavoro di Chuck Palahniuk (Mondadori, traduzione di Silvia Albesano), è un vero e proprio regalo. Per chi ama leggere e, ancora di più, per chi ama scrivere. E anche per chi ama capire come funzionano le macchine narrative. Leggere questo libro significa entrare nell’officina dello scrittore e vederlo mentre smonta il motore, lo pulisce, te ne mostra un pezzo e te ne spiega il funzionamento, e poi lo ricostruisce davanti a te.
Scritto nello stile caustico e ironico che ha reso l’autore di Fight club una voce inconfondibile della notte americana, il testo potrebbe essere letto (e banalizzato) come un manuale di scrittura creativa: su questa semplificazione, però, sin dall’introduzione il lettore viene avvisato.
«Se scriverò questo libro, peccherò di pessimismo.
Se sei fermamente intenzionato a diventare uno scrittore, niente di ciò che dirò qui potrà fermarti. Ma se lo non sei, niente di ciò che dirò potrà renderti tale.
Detto questo, se venissi da me e mi chiedessi di insegnarti tutto ciò che so, ammetterei che l’industria editoriale è tenuta in vita artificialmente.»
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Molti scrittori famosi si sono cimentati nella stesura di testi simili, a metà strada fra l’autobiografia letteraria e la cassetta che contiene i ferri del mestiere(titolo, peraltro, del primo capitolo del libro). Lo hanno fatto, in occasione delle Norton lectures, Calvino con le sue celebrate Lezioni americane, Eco con le Sei passeggiate nei boschi narrativi, e anche Borges e Pamuk. Hanno parlato di scrittura Stephen King, Flannery O’Connor e Raymond Carver. Lo ha fatto prima di loro anche Manzoni, e probabilmente quasi tutti i grandi autori hanno scritto a proposito del loro mestiere e dei trucchi che hanno imparato tenendo la penna in mano.
Ognuno ha voluto raccontarci la sua esperienza, il suo amore per la costruzione delle storie: e lo ha fatto col suo stile. Chuck Palahniuk, in Tieni presente che, si nutre del suo modo di raccontare le cose col gusto di scombinare le aspettative dei lettori (è uno dei consigli suggeriti dallo stesso Palahniuk a circa un terzo del libro).
«Se fossi mio allievo, ti direi di scordarti gli apprezzamenti. I gusti cambiano nel tempo, quelli del pubblico e anche i tuoi. Il tuo lavoro non sarà magari subito osannato, ma se si fissa nella memoria di qualcuno, hai ottime possibilità di trovare una buona accoglienza col passare del tempo. (…) Pensa a film che in prima visione sono stati stroncati: La notte dei morti viventi, Harold e Maude, Blade runner. In seguito si sono assicurati un posto nella memoria collettiva, e il tempo li ha resi dei classici. Quindi non scrivere per essere apprezzato. Scrivi per essere ricordato.»
E i consigli proseguono, come quello che raccontare in prima persona è il modo più autorevole per presentare una storia, ma bisogna fare molta attenzione a quante volte si pronuncia il pronome io, perché Conan Doyle consegna le sue storie alla voce di Watson, ma Watson non ci parla di se stesso: usa la penna per farci rivivere le avventure di Sherlock Holmes, un personaggio molto più interessante di lui. E la stessa cosa fa Nick, il narratore del Grande Gasby.
Tieni presente che non è però un libro scritto con compasso e righello: è un libro di chi ama la letteratura e la scrittura visceralmente, e che quindi scrive usando il raziocinio ma non dimenticando mai il cuore.
Ne è un esempio questo passo:
«Oltre all’autorevolezza di testa, c’è l’autorevolezza di cuore, che si verifica quando un personaggio dice una verità o compie un’azione che dimostra una grande vulnerabilità. Il personaggio mostra in questi casi di possedere una saggezza emotiva e molto coraggio, nonostante l’enorme sofferenza. […] L’errore o i misfatti di un personaggio consentono al lettore di sentirsi più intelligente di lui. Il lettore diventa il badante o il genitore del personaggio e desidera che questi sopravviva e prosperi.»
Funziona così, con Palahniuk: si passa da un estremo all’altro, dalla razionalità all’emotività, dalla poesia all’orrore: spesso senza soluzione di continuità. E questo libro ne è una luminosa conferma.
Scritto dopo anni di scrittura, Palahniuk è arrivato finalmente in Tieni presente che, libro dove mette a nudo, più che in qualsiasi lavoro precedente, il suo essere scrittore e il suo essere uomo. Perché amare scrivere significa come prima cosa essere un uomo vile, a cui piace osservare le cose da una certa distanza (ce lo ha insegnato magistralmente anche il nostro Alessandro Baricco, in Novecento).
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Perché la scrittura è in fondo soltanto questo: un campo di battaglia in cui lo scrittore ama mettersi alla prova. E la prova più grande è tollerare l’incompiutezza. Che è in fondo l’essenza stessa dell’essere uomo.
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