A lezione da Shakespeare. “La differenziazione dell’umido” di Giovanni Nucci
Non è facile definire La differenziazione dell’umido e altre storie politiche, ultimo lavoro di Giovanni Nucci. Né è semplice individuarne un percorso di lettura univoco.
Appena lo si apre, sembra di essere di fronte a un’invettiva politica, che però lentamente si trasforma (a volte stemperandosi, altre volte accalorandosi) in un’approfondita e colta chiosa al Giulio Cesare di Shakespeare. Proseguendo nella lettura, ci si rende conto che il testo è ancora qualcosa di diverso: una confessione ultima, un testamento spirituale, un pacato grido nel deserto morale che avanza.
D’altronde, le intenzioni del libro, o quantomeno del suo autore modello, vengono esplicitate nella stessa epigrafe, tratta dall’Anatomia del mondo di John Donne:
«La nuova filosofia ci mette nel dubbio, l’elemento del fuoco è spento, perduto il sole, e la terra, e non c’è ingegno umano che possa aiutarci a cercarli. Gli uomini sembrano confessare che questo mondo è ormai estinto, quando nei pianeti e nel firmamento ne cerchiamo di nuovi, lì dove tutto è sbriciolato in atomi. Tutto a pezzi, ogni coerenza scomparsa, così come ogni giusto sostegno, o relazione.»
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Da un punto di vista formale, La differenziazione dell’umido si compone di due parti: la prima è, senza preamboli, il discorso d’insediamento al Parlamento di Goffredo Mainardi, appena eletto senatore a vita dal Presidente della Repubblica, in modo da influenzare il più possibile l’orientamento politico dell’aula.
La seconda parte, poco meno di un terzo del libro, appare invece come nota del curatore al discorso di Mainardi, «conservato in una cartella di cartoncino azzurro insieme a degli appunti sparsi, copie di brutta di alcune missive, alcuni volumi su Shakespeare e le bozze della raccolta di versi a cui Mainardi stava lavorando per l’editore Schirmacher di Firenze.»
Apparso nella collana Piccola biblioteca di letteratura inutile, della casa editrice triestina Italo Svevo, il testo, un volumetto curatissimo di un’ottantina di pagine, è una riflessione sul mondo in cui viviamo, visto attraverso gli occhi di un anziano poeta prestato alla politica, che lo osserva attraverso la sua personale visione lirica delle cose, e lo confronta costantemente, smontandolo e ricostruendolo, col Giulio Cesare, una delle tragedie più note e complesse di Shakespeare. L’accostamento porta a dei risultati impietosi, perché il lettore si rende facilmente conto che le figure politiche che popolano l’Italia di oggi non somigliano nemmeno all’ombra dei personaggi evocati ed enunciati dal Bardo inglese.
«Perché Cesare, come tiranno, è il meglio che potremmo desiderare: non sarebbe soltanto rassicurante, ma anche molto efficace. Potrebbe davvero tirarci fuori dal pantano dove settant’anni di pace e di rivoluzioni culturali ci hanno fatto finire. Cesare è il prototipo dei dittatori: ma chi è che, in questo nostro declino dell’occidente, tra quelli che amano accentrare su di sé così tanto potere, ha la sua stessa forza e coraggio e coerenza, anche solo nell’indossare un pigiama scarlatto?»
Lontana è la visione delle cose che i politicanti di oggi hanno rispetto a quella che avevano gli uomini d’un tempo, dei quali Cesare e i suoi assassini ne rappresentano il prototipo. Nell’Italia dell’ultima ora esistono pochissime idee valide, e per questo sparuto numero di idee c’è un numero ancora più esiguo di programmi validi in grado di attuarle. Non esiste una voce in grado di dire al popolo qual è la strada giusta su cui incamminarsi, perché tutti quanti sembrano aver smarrito il senno (e qui vengono in mente anche altre opere shakespeariane, prima fra tutte, ancorché mai citata da Giovanni Nucci, il Re Lear). Nessuno è in grado di indicare una direzione da seguire: e non perché non esistano percorsi o livelli etici, ma perché coloro che sono stati incaricati di redigerli dal voto popolare hanno a loro volta smarrito qualsiasi discernimento.
A tal proposito, Mainardi precisa:
«Dov’è che dobbiamo volgere il nostro sguardo? Direi che qui, adesso, nessuno sta veramente pensando di venire in senato per accoltellare il primo ministro – e magari è proprio questo il problema. Che la distanza fra noi e Shakespeare è incolmabile. Ma la distanza con la grande letteratura è sempre incolmabile, e il suo scopo non è quello di farcela pesare.»
Lo scopo della letteratura è conferirci una visione più chiara del mondo che abitiamo. Una maggior consapevolezza. E qui si arriva alla soluzione pratica proposta dall’autore, che giustifica ampiamente il titolo dell’opera, che fino a questo punto della lettura sembra quasi uno scherzo, un tentativo colto di fuorviare l’attenzione di chi legge.
Perché per il senatore Mainardi, in questo vuoto di proposte, di etica e di volontà, Jl’unica forma possibile di consapevolezza politica è la differenziazione dell’umido. È una visione un po’ pessimista, addirittura scarna. E non è questione di essere o meno a un basso livello, è una constatazione: l’unica cosa che possiamo fare, intanto, è guardare alla nostra spazzatura. […] Questo discernimento dei rifiuti è come un primo, indispensabile passo per la ricostruzione della coerenza perduta del mondo.»
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Un universo, quello descritto da Giovanni Nucci in questa sua Differenziazione dell’umido, dove Shakespeare e i suoi personaggi (Cesare, Cicerone, Bruto, Cassio, Antonio, il popolo romano) sono stelle distanti, ma sono ancora in grado d’indicarci la via. Una costellazione in grado di dirci che oggi, nella vacuità che rischia di risucchiarci e nell’entropia del cosmo che cresce di ora in ora, la strada perduta va ricercata partendo dal basso, dalla palta, dagli scarti di noi stessi e della nostra società, perché – come recita uno dei versi più celebri e celebrati della tragedia: «La colpa non è nelle stelle, ma in noi stessi.»
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