A Bruxelles adesso vince la diffidenza
Quando arrivi a Bruxelles, adesso, a poche settimane dagli attentati e dagli arresti che hanno scosso tutta l’Ue, entri in un sistema di controllo militare che ricorda da vicino immagini e sequenze cinematografiche.
Non è soltanto la presenza dei blindati e dei soldati in mimetica e mitra, a segnalare uno stato di guerra, ma le transenne di filo spinato intorno ai palazzi del potere comunitario, i ceri per terra davanti al palazzo della Borsa, i pochi turisti e la timidezza – lo sguardo basso e diffidente – degli abitanti arabo-belgi di Molenbeek.
Il sentimento più diffuso tra tutti i belgi è proprio questa diffidenza che penetra nelle ossa, che scuote il sistema, che rastrella le paure e le concentra in un condensato di intolleranza e incomprensione. Girando per il quartiere di cui più si è parlato in questi mesi, ci si rende conto di essere dentro un’architettura europea abitata da una popolazione povera, culturalmente lontana dall’idea di Belgio e di Nord Europa che possediamo qui in Italia.
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Molenbeek non è altro che una propaggine ex operaia a ridosso del centro di Bruxelles: un vecchio quartiere fordista a cinque minuti a piedi dalla Place Centrale, oltre un canale di acqua dolce sul quale viaggiavano carbone, birra e altre merci. Quel quartiere, dove abitarono non pochi italiani, è adesso il cuore di un insediamento magrebino, arabo in genere, da cui sono nati i più noti combattenti europei del Daesh.
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Parlando, quando ci si riesce, con la gente del posto si appunta una sorda insofferenza, un desiderio di far gruppo a sé, di riproporre a Bruxelles quello che vivono, hanno vissuto, nel Maghreb, appunto. Non stupiscono le ragazze velate o le donne quasi totalmente coperte, ma lo spirito di comunità che aleggia nel quartiere, che tanto stona con l’idea che abbiamo più o meno tutti dell’Occidente soltanto bianco, magari cristiano e produttivo. Qui i disoccupati non mancano, le donne lavorano poco, le scuole hanno alti tassi di abbandono, l’arabo (un arabo scarno, mi dicono i più informati) primeggia perché grazie a esso la predicazione salafita può andare avanti, penetrare nelle coscienze e diffondersi come nuova ideologia di massa.
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Il pericolosegnalato dalle Istituzioni del quartiere è che tutto si trascini dalla diffidenza di strada alla chiusura dentro le mura di casa: un ripiegamento domestico, identitario, che favorirebbe l’allontanamento tra terza generazione e coetanei non musulmani. Già avviene, in realtà, e i risultati si son visti. Esclusione ed autoesclusione sono le tendenze sociali in atto in questo momento nelle cosiddette periferie nordeuropee, dove la miseria materiale e culturale è colmata da fondamentalismi e ideologismi che stanno distruggendo qualunque anelito di solidarietà e democrazia in Europa.
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