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A 30 anni dalla scomparsa di Italo Calvino, c’è ancora una città sospesa sulle nostre teste

A 30 anni dalla scomparsa di Italo Calvino, c’è ancora una città sospesa sulle nostre testeA 30 anni dalla scomparsa di Italo Calvino c’è ancora una città fra quelle invisibili da lui create che staziona sopra le nostre teste, aspettando solo di essere visitata.

Non ci credete? Basta fermarsi e mettersi a fissare il cielo. La vedete? Forse avete bisogno di conoscerne il nome. Calvino non gliel’ha dato, allora la chiameremo Laputa. Come tutte le città di cui Marco Polo racconta a Kublai Khan nel romanzo Le città invisibili di Calvino del 1972, deve avere un nome femminile. E sebbene questo nome sia stato usato per la città del cielo de I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift (autore amato da Calvino) è soprattutto alla città sospesa del film di animazione Il castello del cielo di Hayao Miyazaki (1986) che abbiamo pensato per darle un nome.

Sono sicuro che i due si sarebbero piaciuti. Sia Calvino che Miyazaki sono dei perfezionisti alla ricerca dell’impossibile: trovare negli inferni delle nostre città spazi di inatteso, sottili e momentanei e cercare di espanderli, spazi dove sogno e realtà si sovrappongono stimolandosi a vicenda («Dietro la città che si vede, ce n’è una che non si vede ed è quella che conta», da un’intervista di Italo Calvino a «L’Espresso» del 5 novembre 1972).

A 30 anni dalla scomparsa di Italo Calvino, c’è ancora una città sospesa sulle nostre teste

Entrambi hanno costruito opere che offrono al lettore e allo spettatore la possibilità di esplorare ed esplorarsi a diversi livelli di profondità, alcuni percepibili solo a distanza di tempo, semi che iniziano a germogliare in noi prima di poterli strappare via insieme a una giornata pesante.

A 30 anni dalla scomparsa di Italo Calvino, c’è ancora una città sospesa sulle nostre teste

Entrambi amavano lavorare a più progetti in contemporanea (Calvino aveva più di una scrivania in casa e su ognuna l’aspettava un progetto in corso) ed entrambi hanno costruito le loro opere come se fossero Tetris a difficoltà crescente, consapevoli che solo con pazienza, tenacia e fantasia, si può creare una città volante.

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Ma torniamo a fissare il cielo. La vedete ora? La nostra Laputa sorge su un terreno da cui spuntano radici galleggianti che ogni tanto si allungano sulla Terra per salvare idee abbandonate. Le nostre idee, quelle che spesso buttiamo via perché difficili da realizzare, faticose, stupide, inutili. Idee che Calvino, che adesso abita a Laputa ne sono sicuro, raccoglie e lascia scorrere sul fiume di parole che taglia a metà l’isola.

A 30 anni dalla scomparsa di Italo Calvino, c’è ancora una città sospesa sulle nostre teste

Da buon artigiano, Calvino sa che passerà gran parte della giornata piegato su quel fiume di parole imperfette che filtrerà, limerà, eliminerà, pur di trovare quelle poche che passeranno oltre la maglia strettissima della ricerca dell’impossibile, dando una forma alle idee che ha salvato, una possibilità. Sarà a quel punto che Laputa si renderà visibile ai nostri occhi e se saremo con il naso all’insù e avremo creduto, pazientato e fantasticato, la vedremo. Solo per un attimo, ci diremo che era una strana nuvola che poi il sole ha fatto a pezzi, ma se l’avremo osservata con attenzione, in essa avremo trovato la nostra vecchia idea. Ripulita, ragionata, riformata. E sarà possibile e sarà tutta nostra.

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Calvino in una delle sue tante interviste (pur essendo un uomo schivo e fiero nemico del parlato, ne ha concesse centinaia) ha detto: «Io credo che il mondo esista indipendentemente dall’uomo […] l’uomo è solo un’occasione che ha il mondo per organizzare alcune informazioni su se stesso» («Gazette de Lausanne» del 1967). La realtà che vediamo non è altro che la decodifica di queste informazioni, ma per «vederla veramente bisogna che ci mettiamo dal punto di vista di chi contempla una prospettiva di secoli», bisogna ampliare la visuale, distanziarsi, cambiare percorso, cambiare occhi e questo costa molta fatica e non siamo sicuri di avere un premio alla fine della corsa. Eppure è proprio questo che Calvino chiede al suo lettore ed è questa sfida che il lettore accetta.

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Quando qualche tempo fa ho avuto la possibilità di conoscere Dacia Maraini, durante una chiacchierata mi ha detto che ci sono libri rinfrescanti come birre ghiacciate in un pomeriggio estivo, ne hai bisogno, ma il giorno dopo è come se non li avessi mai letti. E poi ci sono libri densi, come cioccolate calde, che puoi sorseggiare solo a piccole dosi, ma che non scorderai mai di aver provato. A 30 anni dalla scomparsa da questa terra di Italo Calvino siamo inondati di birre ghiacciate, eppure ciò che vorremmo, alzando gli occhi verso la nuvola che, noi lo sappiamo, è città sospesa di Laputa, è una riserva di cioccolata calda.

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