9 cose che (forse) non sai sulla Gioconda di Leonardo da Vinci
È uno dei quadri più importanti di tutti i tempi, la Gioconda di Leonardo da Vinci. Dipinta tra il 1503 e il 1513, a distanza di cinque secoli continua ad appassionare studiosi, critici e semplici ammiratori del genio di Leonardo. Ma siamo davvero certi di conoscere tutto quello che c’è da sapere su questo quadro?
La domanda è più che legittima e anima anche Lauretta Colonnelli, giornalista nella sezione culturale del «Corriere della Sera», autrice di Cinquanta quadri. I dipinti che tutti conoscono. Davvero? (Edizioni Clichy), che si pone lo stesso interrogativo per alcune delle opere che hanno segnato la storia dell’arte, tra cui Doppio ritratto dei duchi di Urbino di Piero della Francesca, La primavera di Sandro Botticelli, La creazione di Adamo di Michelangelo Buonarroti e Canestra di frutta di Caravaggio.
Qui di seguito vi proponiamo un estratto delle pagine dedicate alla Gioconda di Leonardo da Vinci, con 9 punti essenziali per scoprire qualcosa in più su questo capolavoro.
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Gioconda o Monna Lisa sono i nomi che Giorgio Vasari attribuì nel 1550 al celebre quadro di Leonardo, identificando la donna in Lisa Gherardini, moglie del ricco setaiolo fiorentino Leonardo del Giocondo. In seguito sono state formulate varie ipotesi sull’identità della misteriosa signora, perfino che l’artista abbia creato un viso ideale di donna partendo da un autoritratto. Alcuni studiosi, sulla scorta di un piccolo saggio di Sigmund Freud sull’infanzia di Leonardo, non disdegnano l’idea che abbia dipinto a memoria i lineamenti e il sorriso della madre, intravisti da piccolo prima di essere separato da lei e affidato alla famiglia del padre. Altri hanno suggerito l’identificazione di Monna Lisa con l’amante di Giuliano de’ Medici, rifacendosi alla notizia che il cardinale Luigi d’Aragona, durante una visita allo studio dell’artista nel 1517 in Francia, vide il ritratto di «una certa donna Fiorentina facta di naturale ad instantia del quondam magnifico Juliano de Medici». Ma questa ipotesi sposterebbe l’esecuzione del quadro al periodo tra il 1513 e il 1516, quando Leonardo era ancora a Roma, ospite di Giuliano. È vero che il dipinto ebbe una lunga gestazione, dal 1503 al 1513 e oltre, come concordano i maggiori studiosi dell’artista. Ma è anche vero che in Francia La Gioconda arrivò con Leonardo e lì rimase, nel castello di Cloux, dove Francesco I aveva concesso al pittore di passare gli ultimi due anni della sua vita. Al contrario del Cenacolo, che cominciò ad essere riprodotto dal momento in cui fu completato, la Gioconda diventò un mito soltanto verso la metà dell’Ottocento. E questo perché fino ad allora in pochissimi avevano potuto vederla. Lo stesso Vasari ne parlava per sentito dire.
La tavola rimase per lungo tempo negli appartamenti reali a Fontainebleau, poi nella Petite Galerie du Roi, a Versailles. Nel 1797 fu esposta al museo del Louvre, sorto con la Rivoluzione, ma nel 1801 Napoleone la reclamò per la camera da letto di Giuseppina Beauharnais. Quando fu eletto imperatore, nel 1804, la restituì al Louvre. Fu Théophile Gautier il primo di una schiera di poeti a riconoscere la bellezza, la grazia e il mistero della Gioconda e a creare con queste suggestioni il mito della femme fatale: «Une femme mystérieuse / dont la beauté trouble mes sens…». Dall’esaltazione ottocentesca si passa agli insulti del secolo successivo. Nel 1911 sparì dal Louvre per due anni, rapita da un imbianchino italiano che se le tenne in casa, su una seggiola davanti al tavolo di cucina, come fosse una moglie. E poi la restituì. Ormai popolarissima, fu deturpata in mille modi, con i baffi di Duchamp, le fattezze di Dalì, il rossetto e un viso giallo limone riprodotto perfino sulle borse di plastica della spesa. Perfino cantata da Gigliola Cinquetti: «Se io fossi la Gioconda, allora sì che mi ameresti».
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- Il sorriso, lo stesso che aleggia anche sulle labbra della Dama con l’ermellino, di sant’Anna, del Battista, è il vero protagonista del dipinto. Grazie a questo sorriso ineffabile, l’umore di Monna Lisa sembra mutare continuamente: una volta appare beffarda, un’altra malinconica, un’altra ancora chiusa nel suo mistero. Non siamo mai sicuri dello stato d’animo con cui la signora ci guarda. Leonardo riuscì a ottenere questo effetto inventando la tecnica dello sfumato, che gli permetteva di lasciare alcune parti indefinite. Qui ha lasciato evanescenti gli angoli della bocca e gli angoli degli occhi, i punti dove si cela l’espressione di un volto.
- I contorni del viso non sono delineati in maniera rigida, ma lasciando un po’ vaga la forma, come se svanisse nell’ombra. Questo rende viva la figura: è immobile, ma pronta a muoversi e a respirare.
- La sensazione di movimento è data anche dall’asimmetria delle due metà del quadro. A destra l’orizzonte è più basso che a sinistra, perciò da questa parte la donna sembra più alta ed eretta. Anche nel volto i due lati non si accordano.
- La luminosità quasi iridescente della pelle è resa dagli strati di biacca sotto le velature sottilissime di colore.
- Non si sa quando Monna Lisa ha perso le sopracciglia: forse in qualche restauro antico, come sembra di capire da un resoconto di Cassiano dal Pozzo del 1625.
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- Il dipinto non è su tela, come molti credono, ma su tavola di pioppo tenero, nonostante Leonardo raccomandasse di usare legno di noce insieme con l’«arcipresso o pero o sorbo». Gli altri suoi quadri sono quasi tutti su noce.
- Il craquelé regolare della pittura deriva dalla crettatura del fine strato di gesso duro con cui Leonardo aveva preparato la tavola. Sopra il gesso aveva poi steso un colore di base: blu sotto la parte superiore del paesaggio, rosso sotto la parte inferiore.
- Inventore della prospettiva aerea, Leonardo dipinse paesaggi che danno l’impressione di essere visti o immaginati dal cielo. Nel 1500 si mise a studiare il volo degli uccelli per progettare un aliante che lo portasse sempre più in alto, al di sopra delle nuvole «acciò che l’alia non si bagni e per iscoprire più paesi».
- Il ponte romanico, ancora perfettamente funzionante, sarebbe quello di Buriano, nel Valdarno vicino ad Arezzo.
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