7 lezioni per il futuro direttamente dalla pandemia
Una pandemia a livello globale non può non lasciare segni indelebili, non può non costringere governi e cittadini a ripensare alcuni comportamenti. L'emergenza sanitaria in atto sarà fonte, per Ivan Krastev, di almeno sette grandi Lezioni per il futuro (Mondadori, traduzione di Nicoletta Poo).
Se da un lato, la prima lezione sarà una rinnovata fiducia nei governi, cui si chiederà sempre maggiore aiuto e sostegno, dall'altro, ovvero la seconda lezione, sarà un ritorno di interesse verso i confini, più marcati e bene definiti, tra i vari Stati con l'intento di tenere fuori e lontano da essi tutto quello che è indesiderato, i virus per primi. Ciò è emerso fin da subito, allorquando si è iniziato a chiudere prima i confini tra gli Stati, poi le regioni all'interno di ogni nazione con lo scopo precipuo di suddividere i territori in compartimenti a tenuta stagna che limitassero circolazione e diffusione del virus. Questo rafforzerà di sicuro il nazionalismo di ognuno ma, si interroga Krastev, cosa accadrà a livello etnico e sociale? Non basterà di certo erigere muri tra stati perché il pericolo viene dalle persone, e non da persone estranee, straniere. No, il “pericolo” è ovunque. Si dovranno erigere muri anche tra le persone? E quali saranno le conseguenze di queste scelte?
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Il tema sociale verrà ripreso da Krastev anche nella sesta lezione, centrata sul conflitto generazionale scaturito dalla Covid-19. Contrariamente ad altre problematiche quali clima, lavoro e futuro, questa volta sono gli anziani i più a rischio, vulnerabili e sensibili. Come sta reagendo la società giovane a questa loro difficoltà? L'essere tutti vulnerabili, anche se in maniera differente, contribuirà a ristabilire una sorta di equilibrio esistenziale e sociale?
La terza lezione descritta da Krastev sembra in realtà più una speranza. Ritiene infatti l'autore che la pandemia riuscirà a far ritrovare una più che rinnovata fiducia negli esperti, duramente scalfita negli ultimi tempi a causa della crisi finanziaria prima e di quella umanitaria dopo e su cui i politici populisti hanno calcato molto la mano allo scopo di rinsaldare il malcontento e la sfiducia verso gli esperti e la comunità scientifica in generale per vedere invece rafforzata la fiducia verso se stessi.
In stati dove si vedrà rinnovato l'interesse per i confini e dove ci si guarderà l'un l'altro con sospetto essendo tutti dei potenziali untori, Krastev teme possa germogliare la passione verso forme di governo autoritarie, capaci di mettere in atto misure più restrittive ma, proprio per questo, più efficaci per contrastare l'epidemia. Ed ecco allora che la quarta lezione invita il lettore a pensare al giorno successivo la crisi, allorquando con ogni probabilità la Cina apparirà come un vincitore e gli stati del blocco occidentale dei perdenti. Perché più impreparati ma anche perché i loro governi hanno dimostrato di avere molto meno polso. Il fascino dell'autoritarismo è un rischio concreto che di certo non va sottovalutato. L'autore infatti invita a una accurata riflessione in merito.
La quinta lezione è strettamente interconnessa alla quarta, solo che osserva il fenomeno con gli occhi di chi in questi lunghi mesi le decisioni le ha prese e non subite.
Nei periodi in cui gli attacchi terroristici sono stati più pressanti per l'Occidente, i governi hanno tentato in ogni modo di trasmettere un messaggio che infondesse nei cittadini tranquillità, per evitare panico, caos e, soprattutto, che a causa della paura cambiassero le proprie abitudini magari rinchiudendosi in casa, emarginandosi e auto-isolandosi. A causa della pandemia i governi hanno dovuto fare l'esatto contrario, ovvero infondere timore per scoraggiare i cittadini a uscire di casa, invogliandoli al contrario a rimanere dentro il più possibile. Il successo dei governi in questo caso, per Krastev, dipende molto dalla loro capacità di “spaventare” la gente e convincerla a rimanere a casa. Tanto più riusciranno a far entrare nel panico la gente tanto prima riusciranno a contenere la pandemia. Il tutto affiancato da cambiamenti radicali nel proprio modo di vivere che, presumibilmente, dovranno protrarsi anche dopo l'emergenza sanitaria.
L'ultima lezione è una finestra sul futuro appena socchiusa, dalla quale l'autore tenta di mostrare al lettore un qualcosa che però ancora non può essere in alcun modo identificabile. Quali saranno le ripercussioni concrete su politica, società ed economia infatti è davvero troppo presto per raccontarlo o scriverlo in un libro.
A conclusione del testo, Krastev rimanda alle parole di José Saramago nel romanzo Cecità: «secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono. Ciechi che, pur vedendo, non vedono.»
La “perdita della vista” è una costante in ogni epidemia, ci sentiamo ciechi perché non l'avevamo vista arrivare e non abbiamo capito quanto stava accadendo intorno a noi. Per assurdo, anche la seconda ondata sembra aver colto tutti di sorpresa.
Per Saramago, le epidemie non trasformano la società, al contrario ci aiutano a vederle per quello che sono veramente. È quindi doveroso e necessario riflettere accuratamente su ciò che abbiamo visto in tutti questi mesi.
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Le lezioni di Ivan Krastev sembrano non voler presuntuosamente insegnare nulla ad alcuno, piuttosto invogliare a una riflessione generalizzata e collettiva su società, governi ed economie, sul presente e, soprattutto, sul futuro. E farlo in maniera ponderata. E seria.
L'autore non punta il dito e non cerca facili bersagli da incolpare, sembra solo intenzionato a capire. A meglio comprendere e, ove possibile, migliorare.
In un vortice mediatico dove tutti sembrano avere, a parole, la soluzione per qualsiasi problema, il libro di Krastev si distingue proprio per l'umiltà narrativa dell'autore e la sua capacità di mantenere lucidità ed equilibrio nonostante discorra di argomenti che interessano tutti, compreso se stesso.
Per la prima foto, copyright: Elena Mozhvilo su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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