4 scrittori inglesi contro la Brexit. Nasce il “Friendship Tour”
È partito da Milano, in occasione di Bookcity 2019, il “Friendship Tour”, organizzato da Ken Follet, che insieme ai colleghi Lee Child, Jojo Moyes e Kate Mosse ha deciso di recarsi in quattro grandi città europee – Milano, Madrid, Berlino e Parigi – per diffondere un messaggio diretto soprattutto ai loro lettori, ma più in generale anche a tutti gli abitanti degli altri Paesi: al di là del risultato del referendum che ha sancito la volontà di dare avvio alla Brexit, i quattro scrittori vogliono prima di tutto continuare a considerarsi cittadini europei, perché ritengono estremamente negativa la prospettiva di una Gran Bretagna scollegata dal resto dell’Europa, sia sul piano politico ed economico, sia, e forse soprattutto trattandosi di scrittori, dal punto di vista culturale.
«Abbiamo un messaggio semplice. Non crediamo che la Gran Bretagna non abbia bisogno dei propri vicini. Vogliamo rimanere europei. E siamo in tour per dirvelo»: questo è ciò che i quattro autori hanno ribadito nel corso dell’incontro stampa che si è tenuto nel Teatro Carcano a Milano, prima dell’appuntamento con il grande pubblico.
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Follet: «Il tour è nato da una mia idea e l’ho voluto fortemente, perché ho milioni di lettori ovunque in Europa e sono felice e orgoglioso di cominciare oggi questo percorso da Milano. Moltissimi lettori mi leggono nelle varie lingue, oltre che in inglese, e m’imbarazza tantissimo il fatto che il mio Paese voglia rifiutare il suo posto in Europa e non voglia più farne parte, che gli inglesi oggi sostengano che stanno bene da soli. Io no, sappiatelo: voglio continuare a stare bene in Italia, in Spagna, in Germania, in Danimarca, continuare ad avere lì dei lettori, ma soprattutto che i miei lettori continuino a leggermi da scrittore europeo. Voglio fare questo tour soprattutto per dirvi che vi amo.»
Moyes: «Nel 2016, quando mi sono svegliata e ho appreso il risultato della Brexit, ho pianto per la sorpresa, ma anche perché mi sono resa conto che era accaduta una cosa che non mi apparteneva. Fin da bambina ho viaggiato tanto attraverso l’Europa, credo non ci sia stato un anno in cui non sono stata in un Paese diverso dal mio. Con questo tour voglio dire che i politici inglesi oggi non rappresentano tanti di noi: sicuramente non rappresentano noi quattro, oltre che tutti quegli inglesi che continuano a sentirsi europei e sono tristissimi per questa situazione. Probabilmente i politici finiranno per staccare il Regno Unito dal resto dell’Europa, ma questo non è quello che vogliamo noi, che desideriamo continuare a essere europei e ad affermarlo con forza.»
Child: «Sostengo con forza tutto quello che hanno detto i miei colleghi. Io appartengo alla generazione che ha visto il declino dell’Impero britannico e il declino dell’Inghilterra stessa come Paese, e devo dire che sono sempre stato un grande sostenitore del concetto di comunità, che l’Europa ha sempre rappresentato per me, come luogo di appartenenza. L’Europa è la mia casa e sono qui oggi per riaffermare che non ho votato per la Brexit, ed è importante dire che siamo stati in tanti, e che noi ci considereremo sempre parte della Comunità europea. Sono anche qui a dirvi che sono un po’ egoista, perché sono molto felice di essere tornato in Italia, di trovarmi qui a Milano che è una città che amo, soprattutto per il suo cibo meraviglioso, per il prosecco che bevo sempre quando ci vengo e per il caffè!»
Mosse: «Sono stata invitata da Ken a partecipare a questo Friendship Tour e mi sento come se fossimo gli Abba, quattro re e regine di Dancing Queen… Abbiamo sempre raccontato storie attraverso i nostri romanzi, e le storie si raccontano con il cuore: i libri, non importa in quale lingua siano scritti, ci collegano sempre. Io sono assolutamente inglese, ma sono anche assolutamente europea, perché mi ritengo parte di questa famiglia. Ho raccontato nei miei libri storie che riguardano sicuramente l’Europa e mi sono resa conto, attraverso le mie ricerche, che i confini dei Paesi cambiano continuamente, ma la gente invece non cambia. Con la mia presenza qui voglio dire che i politici e i media britannici non ci rappresentano e voglio ringraziarvi, come lettori, e come partecipanti a un avvenimento letterario importante come Bookcity. In un mio libro ho scritto che non c’è una verità assoluta riguardo all’Europa, ma è importante continuare a condividere il nostro DNA comune, e vi ringrazio a nome del popolo inglese e non dei suoi politici.»
Esiste secondo voi la possibilità di un nuovo referendum?
Follet: «C’è una possibilità, però seguendo la linea tracciata finora dal partito laburista, e riguardo a questo rimane il problema delle prossime elezioni, che è molto difficile che i laburisti riescano a vincere, e di conseguenza poter poi lanciare il referendum. La possibilità resta quindi limitata. Io di fatto vorrei un nuovo referendum, ma la politica spesso è un gioco non tanto chiaro. Noi non vogliamo queste nuove elezioni, perché la situazione ci sembra poco chiara al riguardo.»
Ognuno di noi, italiano, spagnolo, francese, è europeo perché sa di vivere in Europa. Cosa può cambiare il fatto di essere definiti europei solo sulla carta, visto che l’Inghilterra, in realtà, si è sempre mantenuta distante dal resto dell’Europa, per esempio mantenendo la sterlina?
Mosse: «Non è soltanto colpa della politica, ma spesso anche dei media. La gente a volte non si sente ascoltata, non si sente parte di una comunità. Tante persone in Europa si sentono parte di essa, altri meno, ed è questo che è successo nel Regno Unito: i cittadini sono stati spinti da una certa politica a chiudersi in se stessi.
Ken e io nei nostri romanzi parliamo spesso di storia, e la storia si muove in flussi. Quando ci sono delle difficoltà, chi è al potere nei vari Paesi spinge contro il diverso, l’altro, chi sta al di fuori, e credo sia quello che è successo in questo caso. Non è stato solo il referendum del 2016 a portare questa situazione, ma anni e anni in cui i politici e i media hanno insistito sul fatto che a noi inglesi l’altro non piace e che vogliamo stare per conto nostro. Noi quattro, invece, siamo qui per dire che vogliamo l’opposto, e lo raccontiamo nelle nostre storie.»
I politici secondo voi leggono libri?
Moyes: «Il mondo sarebbe senz’altro migliore se i politici leggessero più libri. I libri ti permettono di entrare nei panni degli altri, di avere una maggiore empatia, e mi sembra che i leader attuali, non solo quelli europei, siano molto poco empatici. Molti, tra l’altro, sembrano addirittura orgogliosi di non leggere: credo che Trump non abbia letto neppure i suoi, di libri…»
Child: «Secondo la mia esperienza, un bravo politico è un uomo che legge. Obama non solo è un grande lettore, molto attento, ma addirittura, da Presidente, ogni anno pubblicava un elenco di libri meritevoli di essere letti, e questo elenco era sempre fatto di testi molto interessanti. Bill Clinton è un lettore avido, tra l’altro è un estimatore del mio genere, perché gli piacciono molto i thriller e i polizieschi.
Negli Stati Uniti, oggi, quando un autore fa un tour promozionale di un suo libro non accade più che resti da solo sul palcoscenico, ma viene intervistato da qualcuno. L’ultima volta che ho presentato un libro a New York ho avuto l’onore di essere intervistato da Bill Clinton, che sedeva sul palcoscenico con me, e in quell’occasione mi sono reso conto di quanto amasse i libri, di come fosse un buon lettore e che questo potesse renderlo un politico migliore. Un libro è un mezzo molto empatico, ti fa capire mondi e situazioni diverse, punti di vista diversi. Credo non ci siano paragoni tra la coppia Clinton – Obama e quella Bush – Trump!»
Come pensate che finirà la Brexit?
Follet: «Sono grato che Lee cerchi di difendere i politici, perché io ho assai meno empatia nei loro confronti. Come finirà? Dal punto di vista inglese ci sarà la secessione della Scozia, e anche l’Irlanda del Nord se ne andrà per la sua strada. In campo europeo, vedremo cosa accadrà in Spagna riguardo al problema della Catalogna, ma anche qui in Italia oggi avete dei forti problemi per il divario tra Nord e Sud. Rischiamo di ritrovarci in Europa con un nucleo di Paesi ricchi e liberali, che diventeranno sempre più ricchi e liberali, e altri Paesi a livello periferico che saranno sempre più populisti e di destra.»
In che modo la letteratura e la cultura possono influenzare le masse di elettori?
Moyes: «Libri, teatro, cinema possono entrare in gioco quando ci sono momenti di difficoltà, e questo vale per tutti i Paesi europei, dove aumenta il divario tra destra e sinistra e dove non si vuole più comunicare. I romanzi possono fungere da ponte, avvicinandosi al cuore e alla mente delle persone, ed è questo che noi vogliamo fare. La gente tende a non voler più ascoltare, ma noi, attraverso i nostri romanzi, possiamo nuovamente raccontare la storia del mondo reale, e che oltre a una destra e a una sinistra estremiste esiste tutto ciò che sta in mezzo, che esiste la possibilità di comunicare. La gente tendenzialmente non vuole mai la guerra.»
Ci sarà un’influenza della Brexit sul vostro modo di scrivere?
Mosse: «Credo che questo avvenga già, magari in maniera inconsapevole. Io, per esempio, ho appena terminato un libro che forse è il più politico in assoluto che abbia mai scritto nella mia carriera. Se vi dico che si parla di un bibliotecario del Kentucky la cosa probabilmente vi farà ridere, ma in realtà è un libro che parla di conoscenza, di verità, della possibilità di accettare chi è diverso da noi. Non scrivo necessariamente della Brexit, ma tutti noi che scriviamo diventiamo più ricettivi in questo senso. Il fatto che sono preoccupata per quello che potrebbe accadere con la Brexit sicuramente si riflette nei miei libri.»
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Perché il vostro tour è intitolato all’amicizia?
Follet: «Abbiamo scelto l’amicizia perché abbiamo la sensazione che sia l’antidoto migliore rispetto alla Brexit, che vuole tenerci lontani gli uni dagli altri. Dal punto di vista politico è mancato il coraggio di ammettere che è stata fatta confusione e che sono stati commessi degli errori. È molto importante che la gente comune abbia la sensazione che si può essere ancora amici, e ancora europei, indipendentemente dai problemi che ci sono stati a livello normativo e commerciale.»
Cosa possono fare i giovani per alimentare il patriottismo nei confronti dell’Europa?
Moyes: «Visto che siamo tutti genitori di giovani, direi che dobbiamo ascoltarli, perché sono loro che rappresentano il mondo attuale. La Brexit è avvenuta perché tantissima gente ha visto cose che non esistono più, conserva un’immagine passata della Gran Bretagna, ma nel frattempo il mondo è cambiato parecchio. Se guardiamo alla storia recente vediamo che sono stati i giovani a cambiare le cose, a partire da quelli che hanno combattuto per la pace fin dalla Seconda guerra mondiale, perciò i giovani vanno soprattutto ascoltati.»
Per la prima foto, copyright: Jannes Van den wouwer su Unsplash.
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