30 artisti contemporanei visti da vicini. “Interviste sull’arte” di Robert Storr
Dentro un ingegnoso incastro di parole, immagini fuori testo, date, confronti, il critico americano Robert Storr pubblica, per la prima volta nel 2017, una coinvolgente sintesi di conversazioni sull’arte, con il titolo originale Interviews On Art. Nell’aprile del 2019 il Saggiatore lo diffonde in Italia tradotto in Interviste sull’arte da Francesca Pietropaolo e altre quattro voci femminili.
La particolarità di quest’edizione italiana risiede nell’attenta sintesi di trenta interviste, a partire dalle originali sessantuno, che includono, tra l’altro, un contributo inedito di quattro dialoghi tra autore e Alterazioni Video, Letizia Battaglia, Buvoli e Canevari.
Nell’arco di tempo che corre dal 1981 al 2018 Robert Storr registra impressioni, ricordi, esperienze di chi, artista come lui, ha inquadrato con la propria opera il panorama dell’arte contemporanea. La sensazione che ne deriva leggendo è quella di avvicinarsi non all’arte di questi decenni ma ai racconti dei suoi interpreti a partire dalle più diverse forme espressive: fotografia, video, pittura, scultura, disegno sono soltanto alcuni dei linguaggi estetici distillati in questi dialoghi.
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Con l’assistenza di Francesca Pietropaolo per la traduzione, il critico sviscera, in un confronto aperto con il suo interlocutore, le verità nascoste negli sguardi, nei gesti, nelle espressioni facciali di chi interroga.
Così avviene per Letizia Battaglia durante l’intervista condotta presso i Cantieri culturali della Zisa di Palermo, quasi un anno fa: «Avevo dieci anni quando tornai da Trieste, dove abitavo, a Palermo. A Trieste ero una bambina libera. A Palermo […] fui chiusa» fuori da quella vita che pulsava oltre le mura domestiche dove il padre l’aveva trattenuta per dar voce al proprio istinto di protezione dopo che, a soli dieci anni, un uomo l’aveva molestata per le strade di Palermo. Letizia inizia da questo punto il racconto della propria vita, si propone in un dialogo intimo con Storr e si lascia conoscere in tutti i momenti più significativi segnati da quella forma d’arte che l’ha premiata nel mondo nonostante fosse a lei stessa ancora sconosciuta, fino ai trentotto anni: la fotografia. I suoi scatti a Pasolini, alla sua Palermo degli anni Settanta, e quelli degli attacchi muti alla mafia, fin dentro l’esposizione di pannelli che ritraggono le sue vittime nella pubblica piazza di Corleone, e poi gli anni Ottanta con il riconoscimento internazionale ex aequo del Premio W. Eugene Smith, a New York, e la contemporanea ascesa in politica; tutti tasselli di una lunga vita quasi sempre in bianco e nero come le poesie del suo amato Ezra Pound.
Il bianco e il nero ruotano, a volte vorticosamente, intorno alle creazioni artistiche di un altro nome dell’arte contemporanea: il fumettista e musicista Rymond Pettibon.
Lontano dai versi di Pound, che egli ammette, durante l’intervista, di non aver incluso fra le sue letture preferite, il disegnatore racconta di non essersi formato ad alcuna scuola d’arte perché la sua provenienza è quella degli studi di economia, uniti alla passione per il punk rock e alla scrittura di sceneggiature cinematografiche. Negli anni Novanta Pettibon si afferma nell’arte contemporanea per la sua sprezzante ironia, l’inquietudine e la fredda lucidità dei fumetti sempre in dialogo con le parole:
«Scrivo alcune frasi al computer e trovo [John]Ruskin o [Oscar] Wilde o qualcun altro: spesso quella sarà la fonte ispiratrice di un disegno, poi la abbellisco completamente o la riscrivo.»
Pettibon, dunque, prima del disegno cerca la parola dentro cui esplorare l’idea di un’immagine; i suoi dialoghi privilegiati sono quelli che intrattiene con gli scrittori che legge.
Analogo processo creativo si riscontra nella conversazione per email con Luca Buvoli, un artista che, forse più di altri, parte dallo studio della letteratura del Novecento per dare vita a espressioni poliedriche in pittura, scultura, video e film di animazione:
«Ero curioso di analizzare come il linguaggio e lo spirito innovativo dei futuristi fossero stati assorbiti dal regime fascista. Cominciai quindi a cercare i testimoni, ancora in vita, del movimento.»
Tra questi rintraccia Vittoria e Luce Marinetti.
I suoi lavori, oggi molto apprezzati da pubblico e critica, sono stati presentati in undici mostre personali presso diversi musei statunitensi tra cui il Philadelphia Museum of Art; da Berlino a New York a Seul, il suo nome è noto da diversi anni.
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In un rigoroso ordine alfabetico che non lascia emergere nessuna di queste icone dell’arte contemporanea, Robert Storr sviluppa quattrocentosedici pagine di serrati confronti e lascia al lettore la scoperta di analogie e differenze tra tutti gli autoritratti.
Perché essere artista non è “una specie di attività metafisica”, come ci ricorda, tra gli altri, anche Francesco Clemente, piuttosto la fortunata capacità di rendere manifesta la propria anima in ogni tempo.
Per la prima foto, copyright: gustavo centurion su Unsplash.
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