20 regole per scrivere il romanzo poliziesco perfetto
Scrivere un romanzo poliziesco non è semplice come si potrebbe pensare. Ne abbiamo già avuto testimonianza grazie a Raymond Chandler e ai suoi dieci consigli per una perfetta storia poliziesca.
Questa volta a rendere ancora più evidente la difficoltà è S.S. Van Dine, autore di gialli come Signori, il gioco è fatto, Il mistero di casa Garden e Sequestro di persona.
Van Dine è sicuramente uno degli scrittori più apprezzati del genere, al punto che T.S. Eliot dichiarò più volte di considerarlo tra i suoi preferiti.
È stato proprio S.S. Van Dine ad aver elaborato le venti regole per scrivere il romanzo poliziesco perfetto (pubblicate nel settembre del 1928 sulla rivista «The American Magazine») che vi mostriamo qui di seguito:
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Il romanzo poliziesco è una sorta di gioco intellettuale. Anzi è qualcosa di più, è un evento sportivo. E per scrivere romanzi polizieschi ci sono leggi molto precise, non scritte forse, ma comunque non meno vincolanti; e ogni architetto di misteri letterari che sia degno di rispetto e che rispetti se stesso vive seguendole. Qui di seguito ecco una sorta di Credo, in parte basato sulla pratica dei grandi scrittori di storie poliziesche e in parte sui suggerimenti della coscienza interiore dell’autore onesto. Vale a dire:
1. Il lettore deve avere le stesse opportunità del detective di risolvere il mistero. Tutti gli indizi devono essere chiaramente elencati e descritti.
2. Non devono essere posti contro il lettore altri inganni o sotterfugi oltre a quelli che legittimamente il criminale mette in campo contro l’investigatore.
3. Non ci dev’essere nessuna storia d’amore. L’obiettivo è di condurre un criminale dinanzi alla giustizia, non di portare una coppia di innamorati sull’altare.
4. Il detective stesso, né qualcuno degli investigatori, deve mai risultare colpevole. Questo è un pessimo inganno, e fa il paio con l’offrire a qualcuno un centesimo luminoso al posto di un pezzo d’oro da cinque dollari. È una messinscena falsa.
5. Il colpevole dev’essere individuato attraverso deduzioni logiche, non per caso o coincidenza o grazie a una confessione immotivata. Risolvere un caso in quest’ultimo modo è come far seguire deliberatamente al lettore una falsa traccia e dirgli, dopo che ha fallito, che avevate tenuto nascosto in una manica l’oggetto della sua ricerca. Un tale autore non è migliore di un burlone.
6. Nel romanzo poliziesco dev’esserci un detective; e un detective non è tale se non indaga. La sua funzione è di raccogliere gli indizi che potrebbero condurlo alla persona che ha compiuto il lavoro sporco nel primo capitolo; e se il detective non raggiunge le sue conclusioni attraverso un’analisi di quegli indizi, non ha risolto il suo problema allo stesso modo dello studente che copia la risposta dal libro di matematica.
7. Dev’esserci semplicemente un cadavere in un romanzo poliziesco, e più il cadavere è morto meglio è. Nessun delitto inferiore all’omicidio è sufficiente. Trecento pagine fanno fin troppa confusione per un crimine diverso dall’omicidio. Dopo tutto, lo sforzo e il dispendio di energie del lettore va ricompensato.
8. Il problema del delitto dev’essere risolto con mezzi strettamente naturalistici. Metodi per apprendere la verità come scritture medianiche, tavole Ouija, lettura del pensiero, sedute spiritiche, predizione del futuro, e altre cose simili, sono tabù. Un lettore ha una possibilità quando sfida il suo ingegno con un investigatore razionale, ma se deve competere con il mondo degli spiriti e andare a caccia nella quarta dimensione della metafisica, è sconfitto ab initio.
9. Dev’esserci un solo investigatore, vale a dire un protagonista della deduzione, un solo deus ex machina. Mettere insieme le menti di tre o quattro, o a volte di un gruppo di investigatori per risolvere un problema significa non solo disperdere l’interesse e spezzare il filo della logica, ma anche prendersi un iniquo vantaggio sul lettore. Se c’è più di un investigatore il lettore non sa con chi deve vedersela: è come far correre al lettore una corsa contro una staffetta intera.
10. Il colpevole deve risultare essere una persona che ha avuto una parte più o meno prominente nella storia, cioè una persona con cui il lettore ha familiarità e verso la quale prova interesse.
11. Un servitore non dev’essere scelto dall’autore come il colpevole. È una soluzione troppo facile. Il colpevole dev’essere una persona di cui ci si fida, uno verso il quale normalmente non si nutrirebbero sospetti.
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12. Nel romanzo dev’esserci un solo colpevole, non importa quanti omicidi vengano commessi. Il colpevole potrà essere aiutato da complici, ma l’intero onere deve restare sulle sue spalle: tutta l’indignazione del lettore deve concentrarsi su una singola natura malvagia.
13. Società segrete, camorra, magia, e altri, non devono trovare spazio in una storia poliziesca. Un delitto interessante e davvero bello è irrimediabilmente sciupato da una tale colpa collettiva. Anche all’assassino in un romanzo poliziesco dev’essere data una possibilità, ma concedergli di dare la colpa a una società segreta è troppo. Nessun assassino di classe e che si rispetti accetterebbe tali vantaggi.
14. Il metodo dell’assassino, e i sistemi d’indagine, dev’essere razionale e scientifico. Cioè, in un poliziesco non sono tollerati la pseudo-scienza e i dispositivi puramente immaginativi e speculativi. Una volta che l’autore si libra nel regno della fantasia, alla maniera di Jules Verne, è fuori dai confini del poliziesco e saltella nei domini senza confini del romanzo d’avventura.
15. La verità del problema dev’essere sempre evidente, ammesso che il lettore sia abbastanza astuto da vederla. Con questo intendo che se il lettore, dopo aver appreso la spiegazione del crimine, dovesse leggere di nuovo il libro, vedrebbe che la soluzione, in un certo senso, stava davanti ai suoi occhi, che tutti gli indizi conducevano al colpevole e che, se fosse stato intelligente quanto l’investigatore, avrebbe potuto risolvere il mistero senza dover giungere al capitolo finale.
16. Un romanzo poliziesco non dovrebbe contenere passaggi descrittivi lunghi, né pezzi letterari, né analisi dei personaggi troppo sottilmente elaborate, né preoccupazioni “atmosferiche”. Queste cose non hanno importanza vitale nel resoconto di un crimine. Rallentano l’azione e introducono questioni irrilevanti rispetto al proposito principale, che è di porre un problema, analizzarlo e portalo a una conclusione positiva. Dev’esserci un livello sufficiente di descrizioni e di delineazione dei personaggi per dare al romanzo un buon grado di verosimiglianza.
17. Un criminale di professione non deve mai essere il colpevole in un romanzo poliziesco. I delitti degli scassinatori e dei banditi sono il regno dei dipartimenti di polizia, non degli autori o dei brillanti investigatori dilettanti. Un crimine veramente affascinante è quello commesso da un pilastro di una chiesa, o da una zitella nota per le sue opere di beneficenza.
18. Un delitto, in un romanzo poliziesco, non deve mai avvenire per incidente o suicidio. Concludere un’odissea del fiuto investigativo con un tale anti-climax è come truffare il fiducioso e gentile lettore.
LEGGI ANCHE – Come scrivere il perfetto romanzo poliziesco. I 10 consigli di Raymond Chandler
19. I moventi di tutti i crimini nei romanzi polizieschi dovrebbero essere personali. Le congiure internazionali appartengono a un altro genere narrativo. Ma la storia di un omicidio deve essere, come dire, accogliente. Deve riflettere le esperienze quotidiane del lettore e dargli una certa valvola di sfogo per i suoi desideri repressi e le sue emozioni.
20. E, per dare al mio “credo” anche una lista di cose, ecco una serie di espedienti che nessun autore di polizieschi che si rispetti impiegherà. Sono stati usati troppo spesso e ormai sono familiari a tutti gli amanti dei polizieschi. Usarli significa confessare l’inettitudine dell’autore e la sua mancanza di originalità:
a. Determinare l’identità del colpevole paragonando il mozzicone di una sigaretta lasciato sulla scena del crimine con la marca fumata da un sospettato.
b. Il trucco della seduta spiritica per indurre il colpevole a tradirsi.
c. Impronte digitali falsificate.
d. Alibi falso.
e. Cane che non abbaia e quindi rivela il fatto che il colpevole è uno della famiglia;
f. Il colpevole è un gemello, oppure un parente sosia di una persona sospetta, ma innocente;
g. Siringhe ipodermiche e bevande soporifere.
h. Delitto commesso in una stanza chiusa, dopo che la polizia vi ha già fatto il suo ingresso.
i. Associazioni di parole che rivelano il colpevole.
j. Codice alfanumerico che alla fine viene decifrato dall’investigatore.
E voi, amanti del romanzo poliziesco o autori intenzionati a scrivere un giallo, vi riconoscete in queste regole?
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