13 Reasons Why, parlare di bullismo si deve
Il 31 marzo il servizio di video on demand Netflix ha trasmesso la prima stagione di Tredici, 13 Reasons Why, serie televisiva statunitense creata da Brian Yorkey e basata sul romanzo Tredici di Jay Asher, edito in Italia da Mondadori.
Lo scrittore statunitense ha esordito nel 2007 pubblicando questo thriller psicologico per adolescenti, per il quale ha ricevuto una valutazione cinque stelle dalla «Ten Book Review». A dieci anni di distanza, l’omonima serie ha generato numerose controversie a causa del delicato tema trattato, il suicidio.
Hannah Baker è una liceale come tante, unica figlia di una coppia di commercianti. In seguito al trasloco in un quartiere diverso, si è ritrovata in una nuova scuola. È una bella ragazza, desiderosa di socializzare con i suoi coetanei, curiosa di vivere le prime emozioni d’amore. Ma un episodio, all’apparenza banale e sciocco, accaduto a pochi giorni dal suo arrivo nel nuovo liceo, scatenerà una serie di situazioni che la vedranno vittima di bullismo. La giovane parla di effetto farfalla, secondo il quale anche una minima azione come il battito d’ali di una farfalla può provocare conseguenze enormi. Una foto scattata con l’inganno e false voci messe in giro da adolescenti sbruffoni le avevano conferito la fama di “ragazza facile”. Da quel momento umiliazione, sofferenza, solitudine hanno preso il sopravvento, distruggendole sogni e speranze fino al punto di decidere di porre fine alla sua vita.
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Il racconto ha inizio quindici giorni dopo la sua morte. Clay Jensen, compagno di scuola, da sempre innamorato di lei, trova davanti alla porta di casa un pacchetto, indirizzato a suo nome, senza mittente. Al suo interno ci sono sette audiocassette numerate con dello smalto blu e una piantina della città. Il ragazzo inizia l’ascolto: a parlare è Hannah, la quale spiega i tredici motivi per cui si è suicidata. Ogni lato è dedicato a una singola persona che la ragazza ritiene responsabile della sua decisione. Clay è uno di questi e numerosi sono i segreti, riguardanti i compagni di liceo, contenuti nelle registrazioni.
Ciascuno con il proprio comportamento, con fatti o parole, o con la semplice indifferenza di fronte alle numerose richieste di aiuto della ragazza, ha spento in lei ogni luce di speranza e di riscatto.
La serie ha fatto molto discutere negli Stati Uniti: l’accusa è quella di glorificare il suicidio. Il timore è quello dell’emulazione da parte di adolescenti.
Hannah Baker potrebbe diventare un’eroina: prima di tagliarsi le vene con una lametta, ha deciso di raccontare nel dettaglio gli avvenimenti che le hanno fatto capire che il solo modo per non permettere più a nessuno di farle del male era togliersi di mezzo. Nelle cassette urla ad alta voce crimini più o meno gravi commessi dai suoi coetanei quotidianamente. Denuncia episodi di sessismo, violenze verbali e fisiche. Punta il dito contro un corpo docenti disattento e superficiale, cieco di fronte agli insulti scritti a caratteri cubitali dagli studenti nei bagni. Gli unici a non essere condannati sono i suoi genitori, troppo presi dai problemi economici per accorgersi della lenta agonia della figlia, pur amandola.
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Quello che sconvolge guardando i tredici episodi sono le reazioni di coloro chiamati in giudizio, uniti e complici con il solo scopo di occultare la cruda realtà che si cela dietro le loro vite apparentemente perfette.
Hannah era diventata il loro capro espiatorio e quella sottile vendetta contenuta nelle sette cassette spiazza l’intera comunità scolastica. La loro priorità adesso è trovare una nuova vittima per continuare a fuggire dalle proprie responsabilità.
Il tema centrale è il suicidio ma la serie denuncia numerosi aspetti della natura umana e della società. Ognuno di noi guardando gli episodi avrà rivisto qualcosa che ha vissuto direttamente o indirettamente. Chi non ha mai subito piccole umiliazioni a scuola, o sul lavoro?! Chi non è stato preso in giro perché troppo grasso, o troppo magro o per il semplice fatto di portare gli occhiali? A volte siamo stati proprio noi a deridere un compagno ignorando il male che gli stavamo procurando. Quello che è successo ad Hannah accade ogni giorno sotto i nostri occhi e facciamo finta di nulla. Da adulti il bullismo di trasforma in mobbing sul lavoro ed è altrettanto logorante. Entrambe sono forme di violenza che possono indurre una persona estremamente sensibile a decidere di porre fine a quella sofferenza lacerante.
Anche l’indifferenza uccide. Hannah si sentiva sola, incompresa e aveva chiesto aiuto più volte ma nessuno l’aveva ascoltata. Dobbiamo imparare a essere più attenti, a pensare prima di dare un giudizio e far circolare voci sul conto di qualcuno. Ai nostri figli dobbiamo insegnare il rispetto per gli altri e per se stessi. Questo è il messaggio che la serie vuole lanciare al pubblico.
Il suicidio della protagonista costituisce il pretesto per una profonda analisi psicologica della natura umana e della società. Alcuni nostri comportamenti apparentemente innocenti possono diventare pericolosi e nuocere a qualcuno. Hannah racconta la sua storia dal suo punto di vista ed è proprio perché non conosciamo l’intimo del nostro vicino che dobbiamo essere più attenti nelle relazioni quotidiane.
Tredici nasce come serie televisiva per adolescenti, anche se alcune scene sono forti e violente. In Canada hanno addirittura vietato di parlarne nelle scuole. Tuttavia, ritengo che la visione insieme a un adulto possa essere un ottimo strumento di discussione genitori-figli su questioni delicate quali l’abuso di alcol, droga e la violenza sessuale.
Netflix ha annunciato le riprese della seconda stagione. Nel frattempo, le prime tredici puntate di 13 Reasons Why continueranno a far discutere la critica e soprattutto inviteranno a riflettere i telespettatori.
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