Tutti i contenuti di Debora Vagnoni
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Tipo: BlogLun, 15/10/2012 - 11:04
A diciassette anni lessi uno dei libri più misteriosi di Dostoevskij, cioè L’adolescente, un romanzo del 1875. Avevo già letto I fratelli Karamazov e L’idiota, ero completamente affascinata da quella scrittura e soprattutto dall’universo di idee e di persone che ne scaturiva. In questo caso invece rimasi delusa nelle mie aspettative (anche se mi rendo conto che non ci può essere delusione con Dostoevskij, ma esprime bene il mio sentimento di allora). Il problema non era capire la trama, ovviamente, che pure è estremamente complessa, ma il fatto che ad essere disattesa era la necessità del rispecchiamento di quel periodo. Mi sembrò più facile rispecchiarmi allora nei monologhi di Tonio Kröeger, o nei vagabondaggi di Demian o Narciso e Boccadoro.
Il fatto è che l’adolescente vuole rispecchiarsi. Vuole trovare il suo simile, altrimenti il mondo non gli interessa. Penso all’esperienza che vivo tutti i giorni nella scuola. Non in prima media, ovviamente. Quando sono ancora bambini, e i loro occhi spalancati sul mondo includono anche te, ti vogliono conoscere, sapere tutto di te, vogliono la tua approvazione e sapere di far bene.
Poi in seconda media succede... -
Tipo: BlogMer, 12/09/2012 - 10:43
Difficile dimenticare la scena in cui il professor Keating fa salire in piedi sulla cattedra i suoi allievi. Sicuramente molti di coloro che hanno visto quel prezioso film che è L’attimo fuggente, avranno pensato: “Avessi avuto un professore così… certo la scuola sarebbe stata una cosa tutta diversa…” Che diceva dunque il professor Keating (impersonato da un grandissimo Robin Williams, attore che pure non amo, dai tempi di Mork e Mindy, in quella scena? Ricordiamola.
Il professore parla ad allievi di un prestigioso college americano. Entrato da poco in aula, si pone subito in un modo diverso rispetto alle consuetudini severe e paludate dell’istituto. I suoi modi sembrano ancora bizzarri, quanto meno eccentrici. Tra i banchi dell’aula si sentono risate più o meno trattenute. Lui ad un certo punto sale in piedi sulla cattedra. Perché?«…per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso. […] È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva. […] Quando leggete non considerate soltanto l’autore, considerate quello che voi... -
Tipo: BlogMer, 25/07/2012 - 12:37
Gli esami sono finiti. Tutti a fare le foto alle bacheche dei quadri, e in qualche caso a mandarle su Facebook. Tutti con la calcolatrice alla mano, a fare la media aritmetica dei voti. Perché l’ansia del voto è sempre presente, e sembra che sia l’unica cosa che conti. Gli insegnanti mi hanno valutato bene, male. Hanno dato tre decimi di voto in più a quello, a quell’altro. Quanti saranno stati i contenti, quanti i delusi.
Troppo presto per giudicare. E intanto a me viene in mente una cosa che non c’entra niente. Cioè un anno di scuola di tanti anni fa. Una ex-borgata romana. Senza fare nomi. Una lunga strada con niente ai lati, se non una fila di casette abusive. Qualche negozio, in cui a volte ci scappa pure la sparatoria. La parrocchia, con il campetto e il prete che parla romano, e non sembra un prete, ed è meglio così. Una scuola media che affaccia sul niente.Una prima media di quasi tutti maschi e due femmine. Una cattedra intera solo in quella classe. C’erano mattinate in cui avevo anche quattro ore di fila di lezione con loro. Ragazzini con problemi di tutti i tipi. Familiari sociali... -
Tipo: BlogVen, 04/05/2012 - 09:52
Ci sono spesso, a scuola, giornate no.
L’attenzione degli studenti è appesa a un filo sottile: una luce troppo forte dalle finestre aperte sulla strada; il caldo precoce di una primavera già estiva a Roma; l’ora legale che rende tutti più assonnati. Sono quelli i casi in cui all’insegnante (di Lettere) vengono a porsi certe questioni. Per esempio. Quale senso abbia leggere un cosiddetto “classico” ai ragazzini. Partiamo dal fatto che nella scuola media inferiore non esiste un vero e proprio programma di storia della letteratura. Anzi, secondo i programmi non dovresti spingerti al di là di pochi e semplici cenni di storia letteraria. Quello che è importante è avvicinare gli studenti a tipologie diverse di testo, letterario e non. Dare un’idea dei generi, spaziare tra di essi, facilitare l’approccio a vari tipi di linguaggio. Poi però i testi letterari ci sono: le antologie mettono spesso brani anche difficili, “culti”, che difficilmente possono arrivare ai ragazzi senza una mediazione.
Quella mediazione è l’insegnante. Hai voglia a dire: la Lim (Lavagna Interattiva Multimediale), lo stimolo motivante che deve dare il via alla lezione, l’insegnante che deve aggiornarsi e modernizzarsi. Nei giorni scorsi, ho...
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Tipo: BlogMer, 14/03/2012 - 12:53
Leggevo giorni fa che molto probabilmente non è stato Stendhal a dare il titolo Chroniques italiennes (Cronache italiane) alle storie scritte ispirandosi all’Italia, alle sue leggende come ai fatti realmente accaduti. Ma ormai la mia fantasia sul titolo di questa rubrica era partita.
Uno dei rischi del mestiere di insegnante è quello di avere una percezione del tempo eternamente circolare e insieme appiattita. L’anno non è quello solare ma quello scolastico. Scandito da tappe tradizionali che gli sembra di conoscere fin troppo bene. L’inizio d’anno con nuovi studenti o magari una nuova sede. Nuovi libri di testo. I quadrimestri, i consigli, i collegi.
Mentre per ogni studente ogni anno è diverso. Una prima media rimane la sua prima media per tutta la vita. Il suo primo giorno di scuola media sarà sempre e solo quello e non lo confonderà con altri. Ne ricorderà l’emozione e la sorpresa, forse anche l’odore dell’aula e la luce ancora troppo forte di settembre. L’impatto con un gruppo di coetanei sconosciuti, di cui forse solo alcuni diverranno suoi amici. Difficilmente mescolerà gli episodi e, anche se la scuola dovesse poi apparirgli come una spessa coltre di nebbia, si ricorderà forse per sempre le simpatie le paure gli aneddoti....
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Tipo: BlogVen, 24/02/2012 - 13:28
Da anni leggo e rileggo le Storie di fantasmi di Edith Wharton, come da anni rileggo James, e ogni rilettura è più bella perché per ogni particolare in più che ti sembra di capire, ce n’è un altro, imprevisto, che ti sfugge.
Due elementi importanti accomunavano Henry James e Edith Wharton: la componente americana (che per James si fondeva con la cultura anglosassone) e l’essersi cimentati entrambi nella scrittura di ghost-stories, le tradizionali storie di fantasmi. L’argomento è troppo vasto e affascinante per un breve articolo. Mi limiterò quindi a riflettere su qualche immagine, in particolare sull’uso che la Wharton fece della grande lezione dello scrittore, di cui era una grande amica ed estimatrice.
Una buona guida per mantenere il contatto con la realtà, in questo tipo di lettura, sembra essere quella di rimanere ancorati agli oggetti. Del resto, non è un caso che un critico raffinatissimo come Francesco Orlando, scaltrito nell’esplorazione degli elementi psicoanalitici della letteratura, si sia occupato di redigere un’analisi così completa e profonda degli oggetti usati dagli scrittori nelle loro storie (...
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