Tutti i contenuti di Federico Ottavis
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Tipo: BlogSab, 03/12/2016 - 12:30
Da diversi anni, ogni opera di Paolo Sorrentino è un grandissimo esercizio di narcisismo. Non quello tutto votato alla propria arte del regista, ma quello ancora più compiaciuto del pubblico, dello spettatore. Ci piacciamo se amiamo follemente il cinema di Sorrentino: è lo sguardo innamorato di Narciso: che tanto ama il proprio, bellissimo, aspetto e ignora la ninfa Eco, restando solo con sé stesso. Nella grande raccolta di caratteri che a ogni film Sorrentino si diverte a raccontare, c'è sempre qualcosa di noi, tanto o poco che sia; sempre eccessivo, esagerato, ma affascinante. La ricerca di effetto ci meraviglia.
Sorrentino possiede l'arte rara, perché difficilissima, di girare capolavori popolari: tutto nasce da forti contraddizioni (un Papa appena quarantenne, uno scrittore in crisi creativa), senza nascondere una certa ostentazione, anche stilistica. Il Vaticano è un osservatorio privilegiato e in cui nulla può mancare: le magagne del potente segretario di stato Voiello, le forze e le debolezze dei tanti cardinali...
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Tipo: BlogGio, 20/10/2016 - 11:32
L'Iguana che Anna Maria Ortese pubblicò nel 1965, e che oggi è ristampato da Adelphi, è la storia di una fuga. La fuga è quella di un giovane conte milanese, Aleandro, dalla realtà cittadina (ma lo è per caso, potendo essere campagnola, italiana, occidentale) e moderna, deturpata dai miracoli dell'industria. Aleandro si fa viaggiatore e giramondo una volta l'anno, per conto della madre, sempre alla ricerca di nuovi lidi che possano rinfrancare l'occhio dalla quotidianità cittadina. Gli intenti sono tutt'altro che nobili, perlopiù economici e individualistici, ma il viaggio di Aleandro si rivelerà presto tutt'altro che apatico e distaccato.
La cultura è un vento che soffia da tante parti e anche l'educazione è una forma di cultura, spinge persino ad essere intelligenti. Aleandro è un giovane dotato di grandissima educazione. È l'educazione di chi riconosce nella natura, non solo quella di animali e piante, ma in quella umana soprattutto, la genuinità di chi non ha peccato, la dolcezza di chi sa ricambiare:...
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Tipo: BlogSab, 01/10/2016 - 11:30
Nel mezzo della sua vita di scrittore, Joseph Conrad volse lo sguardo al Sud America e lì ambientò tre romanzi e novelle brevi: Nostromo, L'anarchico e Gaspar Ruiz (Edizioni Ripostes, traduzione di F. Di Mieri). Fino a quel momento gran parte delle sue storie avevano raccontato di paesaggi orientali, africani, inglesi o francesi. Nel dicembre 1902, o nel gennaio 1903, Conrad cominciò a scrivere un romanzo chiamato Nostromo, che lo impegnò per diciotto mesi: un romanzo enorme, poderoso, fatto di offese e incredibili gelosie. Conrad troverà “immaturo” quel romanzo, neanche lontanamente, compiuto fino alla perfezione. Per la prima volta dopo venticinque anni, Conrad tornava nell'emisfero occidentale, ma questo accadeva solo nella sua immaginazione.
Conrad viaggiò infinitamente, fin da bambino. Toccò sì le coste venezuelane, ma poco più che adolescente. C'è chi raccontava per la sua fantasia, tutta dedita a quei luoghi, le meraviglie che il giovane Conrad ancora non poteva...
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Tipo: BlogSab, 13/08/2016 - 11:30
Umberto Boccioni nacque a Reggio Calabria nel 1882, anche se in realtà di famiglia romagnola: il padre lavorava come prefetto e questo portava la famiglia a spostarsi molto. Da questi spostamenti Boccioni imparò tantissimo. Non solo di pittura. Quando nel 1907 si stabilisce a Milano, la città è in piena trasformazione. Qui conosce Filippo Tommaso Marinetti e i futuristi, che volevano rompere con tutto e far correre e velocizzare ogni cosa.
In Italia c'è voglia di ricominciare: nel 1908 un terremoto distrusse Messina, radendola al suolo. A Milano, Boccioni dipinge un quadro dalle origini angoscianti, La città che sale. Lì un cavallo è già simbolo che travolge gli uomini in una marea altissima tra case in costruzione. È un momento di gradissimo entusiasmo. Boccioni continuava a viaggiare. Chiamava Parigi “il cervello del mondo” e la amava come nessun'altra città, forse al pari di Milano, tumultuosa e scioperaiola. Pensava che chi non fosse diretto a Parigi non dovesse essere nemmeno preso in considerazione. A Roma arrivò a un passo dal...
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Tipo: BlogMer, 20/07/2016 - 11:30
Einaudi ha da poco ripubblicato un piccolo romanzo di Fëdor Dostoevskij, L'eterno marito (traduzione italiana di Clara Coïsson), al quale nulla si può imputare se non il fatto di essere troppo breve per quanto si propone di dirci, anche tra le righe, anche silenziosamente. L'eterno marito venne cinque anni dopo Delitto e castigo, nel 1871, quando Dostoevskij era però già un altro scrittore, slavofilo ed estremamente conservatore; aveva visitato l'Italia in autunno: Milano, Firenze.
Tutto all'inizio del romanzo, nelle prime bellissime pagine, è opaco e incerto. Il protagonista, Vel'čaninov, un trentottenne ipocondriaco con aspetti da opera buffa, è un melanconico da manuale, con tutto ciò che questo può comportare. Ogni suo passo incede con una pesantezza e uno sforzo terribile, e così anche il romanzo.
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Tipo: BlogMar, 14/06/2016 - 11:30
Dio ha toccato con Cristo il nostro mondo e lì lo ha lasciato ai suoi patimenti, alle sue paure abissali. Charles Péguy lo sapeva e ha scritto pagine intelligentissime e di grande naturalezza. Castelvecchi, a cui va fatto evidentemente un plauso, le ha riproposte in Getsemani (con la traduzione di Mario Bertin). Anche Péguy ha visto il vuoto profondo della morte: al fallimento, alla frustrazione, alla nevrastenia che lo consumava fino al meditato suicidio nel 1908 ha opposto la speranza della fede e del Vangelo. Ha ripreso in mano le pagine di Matteo, l'elaborazione di un lutto che si compie lentamente, ma che per la sua portata è già la nascita di una nuova vita. Un lutto pieno di sofferenze e timori.
Per poter morire, nel ...
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