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"Palace of the End" di Judith Thompson

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Di Morgan Palmas

"Palace of the End" di Judith Thompson (NEO. Edizioni)

Un libro di cui vi vorrei parlare in due occasioni, oggi ve lo presento direttamente con le parole dell’autrice, Judith Thompson, canadese e docente di Teatro e Arte Drammatica presso l’Università di Guelph, in Ontario. 

È poco conosciuta in Italia, mentre in altri lidi è considerata una delle più importanti drammaturghe contemporanee. 

NEO. Edizioni, piccola casa editrice abruzzese, sta cercando di portarla nel nostro mercato editoriale e ha pubblicato l’anno scorso “Palace of the End”, includendo anche il testo in lingua originale (traduzione di Raffaella Antonelli).

Dalla Prefazione a pagina 5:

“C’era una volta Alice che attraversava lo specchio affinché i piccoli sudditi della Regina Vittoria nell’Inghilterra del diciannovesimo secolo potessero seguirne i passi. Alice si trasformava in un gigantesco pedone nella immensa, mutevole scacchiera di un mondo in cui le si tendono tranelli, la si induce a cercare scampo dagli altri pedoni, che vorrebbero mangiarla, e la si spinge a cercare di dominare la partita, per dare lei stessa scacco matto al Re. Da Alice i bambini apprendevano sostanzialmente a difendersi: prima che da ogni altro elemento o individuo, dalla convenzionalità del linguaggio”.

Pagina 39:

“Non riesco a spiegarmelo e voi? Voglio dire, come scienziato so che è vero, so esattamente cosa sta per succedere all’interno del mio corpo, quanto ci metterà il mio fegato a smettere di funzionare, la mancanza di sangue ad avere il suo effetto. So che se non mi troveranno morirò di sicuro e lo accetto, pienamente, ma vedete… non riesco ad immaginarmelo… È il… per sempre che mi lascia perplesso”.

Pagina 65:

“Ah, mi è appena venuta in mente una storia divertente. Un mio amico, che adesso vive in America, era ad una festa o ad un evento a Washington D.C. e la moglie dell’Ambasciatore americano in Iraq, negli anni ’60 e ’70, parlò del colpo dei Baathisti: «Mio Dio, è stato un periodo terribile. Non c’era elettricità, dovevamo andare in giro con le candele e di notte si gelava». Il mio amico cominciò a ridere e poi disse: «Madame, per voi era l’elettricità, per noi la morte».

A domani.

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