Grandi fotografi grandi narratori: Roman Vishniac - 1
Autore: Annamaria TrevaleVen, 22/10/2010 - 10:24
Di Annamaria Trevale
Nuova rubrica fra fotografia e letteratura
Esiste una categoria di narratori che non si trova sugli scaffali delle biblioteche, o almeno non in volumi destinati alla lettura, vale a dire romanzi o raccolte di racconti: sono coloro che hanno cercato di raccontarci delle storie attraverso gli obiettivi delle loro macchine fotografiche, raggiungendo spesso i vertici della celebrità anche al di fuori del loro settore specifico.
Chi non conosce l’immagine del “bacio” nelle strade parigine di Robert Doisneau, o quella del miliziano ferito a morte durante la guerra civile spagnola immortalato da Robert Capa? E questo anche se spesso chi ricorda una fotografia, che è stata in grado di catturare la sua attenzione, non memorizza il nome dell’autore, oppure lo ignora completamente: quasi nessuno sa che Jeff Widener, fotografo americano, è autore dell’immagine dello studente cinese in piedi davanti ai carri armati in piazza Tien’anmen durante la rivolta del 1989, eppure quel suo scatto è stato riprodotto nel mondo all’infinito.
Esaminare le opere di questi fotografi è il modo più semplice per rileggere gran parte della storia del ventesimo secolo, scritta in un linguaggio più accessibile di quello spesso usato dagli autori di ponderosi volumi storici.
Si può cominciare, ad esempio, da Roman Vishniac, nato nella Russia zarista nel 1897 e morto negli Stati Uniti nel 1990, artista eclettico le cui opere sono importanti sia dal punto di vista storico che da quello scientifico, perché ha dato contributi notevoli allo sviluppo della fotografia al microscopio.
Il percorso di Vishniac nasce infatti in ambito scientifico, tra biologia e medicina, quando fin da ragazzino impara ad applicare una macchina fotografica al microscopio con cui compie le sue prime osservazioni di microrganismi.
Nel 1918, a causa dell’antisemitismo crescente, la sua famiglia lascia la Russia per trasferirsi a Berlino, scelta che in seguito si rivela ovviamente poco felice, finché, dopo varie avventure, nel 1940 Vishniac riesce a trasferirsi con moglie e figli da Lisbona agli Stati Uniti, dove inizia faticosamente a ricostruirsi un’esistenza.
Non potendo lavorare come scienziato per la scarsa conoscenza della lingua inglese, si arrangia a fare il fotografo ritrattista, ed è di questo periodo un celebre ritratto “rubato” ad Albert Einstein, destinato a diventare il più amato dal grande scienziato.
Col tempo la carriera scientifica riesce a ripartire, così che alla sua morte, nel 1990, Vishniac sarà ricordato come autore di meravigliose foto naturalistiche e documentari, nati da anni di studi e osservazioni.
Ciò che rende Vishniac un grande narratore del ventesimo secolo è però soprattutto la sua attività di fotografo “storico”, culminata nel 1983 con la pubblicazione del libro “Un mondo scomparso” (in Italia edizioni e/o, 1984), diventato presto famosissimo.
Al principio degli anni ’30 un comitato statunitense di solidarietà agli ebrei aveva chiesto a Vishniac di documentare le condizioni di vita nelle zone dell’Europa Centrale e Orientale, caratterizzate dagli insediamenti yiddish.
I numerosi viaggi effettuati in modo rocambolesco, fingendosi un rappresentante di commercio, sono per Vishniac un’occasione per andare alla ricerca delle proprie origini, scattando circa 16.000 immagini, di cui però solo 2.000 riusciranno ad arrivare alla fine della guerra negli Stati Uniti, sotto forma di negativi spesso sviluppati in modo primitivo.
Quando Vishniac ne torna in possesso e riesce a stamparli, tutto quanto ha immortalato un decennio prima non esiste già più, cancellato dalla follia nazista.
È per questo che sfogliare le pagine di “Un mondo scomparso” rimane oggi l’unico modo per cercare di capire chi fossero e come vivessero i membri delle comunità ebraiche sparse fra Polonia, Lituania, Russia, Romania e Cecoslovacchia: persone spesso costrette a vivere miseramente fra mille difficoltà, ma ancora ignare che il peggio, per loro, sarebbe giunto di lì a poco, quando sarebbero state cancellate dalla faccia della Terra assieme alle loro povere case e alle loro tradizioni.
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