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“Ma quale amore” di Valeria Parrella

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Di Chiara Dell'Acqua

“Ma quale amore” di Valeria Parrella (Rizzoli)

«È stato un errore, una pazzia, scegliere di scrivere un libro per amore, e adesso mi tocca mettercelo tutto questo amore dentro. Così quello che state per leggere, miei veri compagni di avventura, è un libro di viaggio e di amore. E perdonatemi se sembrano la stessa cosa».
Inizia così il nuovo romanzo di Valeria Parrella, Ma quale amore (Rizzoli, pagg. 122), con un volo intercontinentale Napoli-Buenos Aires, perché la protagonista, una scrittrice, è riuscita a farsi finanziare dall’Editore il viaggio su cui scriverà un romanzo. La verità, però, è l’urgenza di partire accompagnata dall’uomo che ama, Michele, per provare a recuperare, al di là dell’Oceano, una storia ormai al capolinea, un amore iniziato esattamente a dieci anni dalla morte di Annamaria Ortese, che si trascina provocando una terribile solitudine, che in coppia fa ancora più male. Una sofferenza che il Lettore avverte subito, una sympatheia che lo rende partecipe: «Perché dall’esterno è facile, lo so, Lettore. Ma tu fammi compagnia ancora dentro il viaggio, non farti analista come Gatto, stai con me dentro questo dolore spacca-petto mentre lo chiamiamo».
Doppio è il filo temporaneo e spaziale di queste pagine: i giorni a Buenos Aires fanno da contraltare al ritorno a Napoli, alla consapevolezza che il viaggio non ha prodotto nulla di salvifico.

La scrittrice, sola in una stanza da letto bianca – unici compagni il Gatto e il pc – prova a scrivere in fretta, dietro le pressioni dell’Editore, il resoconto della trasferta argentina. Una scrittura che provoca dolore – maledette pagine – come le fotografie, «l’ossario di quei giorni», strappate come se si potesse cancellare il ricordo, ma che raccontano una città meravigliosa.

Buenos Aires è prima di ogni cosa Borges. Il viaggio parte proprio da Palermo vecchia – che ha il fascino di certi quartieri di Napoli – dove Borges è nato e ha vissuto fino a nove anni in via Serrano 2135, tra l’ombra dei patii, che lo scrittore tanto amava. E ancora l’elegante quartiere della Recoleta, L’Ateneo, una libreria unica al mondo perché ha la forma di un teatro ma, invece delle poltrone, contiene libri; Puerto Madero, con la pampa e l’estuario del Rio de la Plata; San Telmo, i bar del tango e ballerini che danzano «in uno spazio ridottissimo, scansando tavoli scrostati, camerieri e turisti, e sempre sulle stesse cinque o sei mattonelle, disegnano l’amore, la guerra, il sesso»; infine La Boca, il primo quartiere portuale, dove arrivarono i genovesi, con lo stadio della Bombonera e la statua di Maradona, moderno dio.
Senza dimenticare i sapori: «Questo posto è proprio il paradiso del palato». E così jamón crudo, carne tenera come burro, «un bifo alto come il Meridiano Mondadori di Borges», l’ebbrezza del mate, che «sa di liquirizia e fa l’effetto di un caffè».

Ma la scrittura è catarsi, e solo dopo aver strappato l’ultima fotografia e scritto delle ultime ore a Buenos Aires, – memorabile la scena della processione delle madres il giovedì alle tre a Plaza de Mayo – la nostra protagonista troverà la forza di affrontare l’uomo che tanto ha amato: «guardarlo non mi faceva niente, si erano alzate trecento notti come trecento pareti tra di noi, e adesso dal mare, con un’ennesima magia, doveva parlarmi». Sono i versi straordinari di Congedo di Borges che, come ali, vengono in aiuto.
Perché «il viaggio non ha nulla a che fare con la geografia» e il Lettore immagina che, probabilmente, con la stilografica color salvia, oggetto magico che compare nelle ultime pagine, nuovi mondi si scopriranno.
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