Lo scrittore intrattenitore
Autore: Marcello MarinisiMer, 08/09/2010 - 09:57
Intrattenimento e/o letteratura?
La sospensione dell’incredulità è uno degli aspetti che maggiormente influenzano il nostro grado di coinvolgimento in una storia. Quanto più siamo capaci di estraniarci dalla realtà concreta, tanto più ci ritroviamo immersi nella narrazione, vediamo con gli occhi dei personaggi che si muovono nella scena e vivono le loro vicende proprio lì, davanti ai nostri occhi sognanti.
Ma siamo davvero in grado di creare questo effetto, di stimolare il sense of wonder del nostro lettore e generare una scena viva e pulsante?
Nella carrellata di riflessioni sulla scrittura e sull’essere scrittori, arriva inevitabilmente il momento in cui si comincia a pensare a quali siano le caratteristiche che rendono uno scrittore più piacevole di un altro. Non è una cosa da poco.
Fuori dal dibattito letterario sulle tecniche e sullo stile esiste il mondo dei lettori. Ci siamo mai chiesti che cosa vogliono coloro che leggono i nostri libri? Ci siamo mai domandati che cosa cerca il “pubblico” in una storia?
Molte volte mi viene da pensare che no, nessuno se lo chiede mai. Persi nel solipsismo che tanto narcisismo spesso genera, senza che neppure ce ne accorgiamo. Sicché ci si concentra sulla tecnica, sui punti di vista, sullo spessore dei personaggi (tutti aspetti necessari) e si perde di vista il nucleo generale della narrazione: il racconto.
Ma qual è lo scopo di uno scrittore, quale deve essere la sua missione?
La domanda si presta a molteplici risposte, ognuna perfettamente legittima. Tuttavia, vale la pena di andare oltre i luoghi comuni che non servono ad altro se non a coccolare il nostro ego con nobili intenti e restringere il campo a due aspetti: in primo luogo, uno scrittore deve essere in grado di indurre una riflessione sui propri tempi, dare un apporto incisivo alla crescita culturale dei suoi lettori, in poche parole deve sapere agire in favore della società e questo rientra nel valore socio-culturale del ruolo dello scrittore; in secondo luogo, cosa non meno importante, lo scrittore deve essere capace di intrattenere.
Sembra semplice, eppure non è così – perlomeno non in Italia. Nel nostro paese si fatica a trovare una giusta collocazione alla letteratura di intrattenimento pura. Anzi, diciamo che questo tipo di letteratura è marginale e spesso ghettizzata (a tale proposito vi consiglio di lettere un articolo di Nick Truth su http://arcadivina.blogspot.com/2008/11/letteratura-italiana-e-intrattenimento.html).
Sostiene Truth nel suo articolo: «in Italia si è fatto tanto per dare utilità e valore alla letteratura (deve essere morale, deve educare, deve trovare il senso della vita, deve essere filosofica, deve essere colta ecc.) che nessuno si è mai preoccupato di diffondere una cultura del libro come oggetto del divertimento».
Ma di chi è la “colpa” di questo stato di cose?
Perché il libro viene percepito come un oggetto pesante?
Nel suo articolo del 2008, Nick Truth ritiene che la colpa sia da imputare a una certa critica letteraria, la stessa che ha definito Poe o Stevenson paraletteratura. Roba da poco, insomma. Io non sono molto d’accordo, almeno non del tutto. Credo che gli autori abbiano uno strumento molto potente per difendersi dagli attacchi di critici poco lungimiranti: la propria penna. L’egemonia culturale (passatemi l’uso non proprio puro del termine gramsciano) che ha caratterizzato la letteratura di genere – e non solo – in Italia, ha imposto un certo tipo di lettura che ha allontanato molti potenziali lettori che, invece, hanno trovato il loro svago nella televisione o in altri mezzi di comunicazione di massa. Gli scrittori, dal canto loro, non hanno fatto nulla o hanno fatto poco per difendersi da questa tendenza. Allontanare i lettori dai libri ha contribuito anche ad allontanare gli scrittori dai lettori, facendo sì che i primi si barricassero sempre più in alto nella fantomatica Torre d’Avorio e che i secondi non se ne curassero quasi per nulla.
La stessa cosa non è avvenuta altrove.
Troppo spesso gli scrittori si ingarbugliano in discussioni di metaletteratura che non hanno alcun valore per i lettori e hanno come conseguenza immediata di rafforzare ancora di più i contrafforti della Torre sollevandoli ancora più in lontano.
Quando Manzoni scrive ai suoi cinque lettori, mette in scena un gioco di comunicazione molto arguto. Egli sa che i suoi lettori saranno ben più di cinque, ma è altrettanto consapevole del valore che il lettore ha per l’opera che ha scritto. Oggi, pare che gli scrittori italiani abbiano dimenticato l’insegnamento di Alessandro Manzoni e che essi scrivano più per loro stessi e per gli altri autori, piuttosto che per il proprio pubblico (potenziale o reale).
Si passa molto più tempo a cercare di capire a quale genere appartiene un’opera invece di soffermarsi sul suo valore in sé, come se fosse veramente necessario incasellare un autore all’interno di una categoria ben delineata.
Credo, e questo è soltanto il mio modesto parere, che sarebbe meglio allargare il dibattito, discutere di storie, invece che trascorrere il proprio prezioso tempo impantanati in tematiche vecchie di mezzo secolo e più.
La narrativa ha lo scopo di intrattenere il lettore. Se non ci riesce, lo scrittore ha fallito.
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