Jim Morrison, il Re Lucertola, poeta della psichedelia - seconda parte
Autore: Fabiana GiovanettiMer, 29/09/2010 - 10:41
Di Fabiana Giovanetti
Jim Morrison, dalla poesia alla musica alla poesia
“Ma poi ho sentito un intero concerto rock nella mia testa con un complesso che cantava e il pubblico – un grosso pubblico. Quando ho scritto quelle prime cinque o sei canzoni stavo solo prendendo appunti del fantastico concerto rock che si svolgeva nella mia testa. E una volta scritte le canzoni dovevo anche cantarle”
(Jim Morrison per Rolling Stones J. Hopkins, 1969)
Le canzoni dei Doors sono costellate di riferimenti letterari e filosofici.
Trasudano malinconia e vitalità, magnificenza e desolazione.
Jim Morrison è il moderno Rimbaud, il ribelle che in mancanza della figura paterna riversa la sua frustrazione nell’espressione massima di pathos e violenza.
Egli è lo sciamano che instaura un collegamento spirituale con il suo pubblico trasformando il concerto in una vera e propria liturgia, come descrive nel testo di “Shaman’s Blues”.
Jim Morrison è lo stregone, il vagabondo, il clown, il folle ed il poeta.
Rimbaud è il giovane poeta in fuga, Jim Morrison è il moderno cantastorie che necessita di esprimere se stesso e si rivolge ai giovani. Per entrambi l’arte è una condanna in cui il mito dell’artista perdura quando egli rimane vittima della sua stessa debolezza.
Egli è poeta, trascinatore naturale, sciamano con l’anima di pagliaccio che indossa simultaneamente i panni del guaritore e dell’intrattenitore.
Come lui anche Rimbaud elencherà alcune di queste figure nel suo “Infanzia IV”: “saint”, “savant”, “piéton de la grand’route”.
Jim era consapevole di questa scissione, di questo senso di destrutturazione, della angoscia che opprimeva con lui la società intera.
"Se la mia poesia si prefigge un qualche scopo, è quello di far muovere la gente dai modi limitati che ha di vedere e sentire". (Jim Morrison)
Il ruolo della metamorfosi, introdotta nel poema di Morrison “Celebration of the Lizard”, è l’espressione della ricerca di identità in grado di rendere l’uomo legato e al contempo distaccato dalla società in cui vive.
“I am the Lizard King / I can do anything”. (J. Morrison, Celebration of the Lizard)
In Jim Morrison è ravvisabile il tipico narcisismo maschile che contraddistingue l’artista che esalta il proprio ego; numerosi sono gli esempi di tratti autobiografici in canzoni quali “Crystal Ship” o “Break on Through”.
Egli è la figura minacciosa di figlio in “People are Strange, When the Music is Over, the End”. Sempre in “the End” si tramuta in Edipo ed Eros nel suo modo di fare eccessivo, lo stesso che lo porterà ad etichettare i Doors come “politicanti erotici”. Jim Morrison è il moderno Dioniso che in sé racchiude gaiezza e pienezza, sofferenza ed inquietudine.
Fowlie Wallace, nel suo “Rimbaud e Jim Morrison - il poeta come ribelle”, lo paragona al giovane Kauros a simboleggiare quella innocenza scevra di ipocrisie che lo caratterizza.
Nelle canzoni del primo album omonimo è possibile ravvisare analogie con poesie di Rimbaud raccolte nel “Povero Sogno” dove il poeta si accomiata accettando il proprio destino. La canzone “Soul Kitchen” ad esempio racconta di un uomo stanco di vagare che decide di dormire nella “cucina del cuore”.
Il vagabondo alla ricerca della pace è il protagonista anche della canzone “Riders on the Storm”, la quale presenta un ricco retroterra letterario: da Nietzsche ad Artaud fino ai vagabondaggi di Rimbaud.
Nei testi di “American Night”, secondo volume di poesie, è possibile ravvisare alcuni temi cari all’artista. “An American Prayer”, poesia che darà il nome all’album postumo dopo la morte del cantante, egli parla delle promesse non mantenute da bambino ricordando le domande di apertura di Rimbaud in “Una stagione d’inferno”.
Data la ricchezza di spunti ed influenze letterarie il viaggio nella discografia dei Doors continuerà nel prossimo post.
[La prima puntata, per chi l'avesse persa]
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