Intervista a Francesca Barra
Autore: Morgan PalmasMar, 14/09/2010 - 11:04
Di Morgan Palmas
Un incontro con Francesca Barra
Buongiorno, vorrei iniziare chiedendole a quale età si è avvicinata alla scrittura e se è stato o meno un caso fortuito.
Scrivere non è mai un caso fortuito. È allenamento, è cura della parola. Scrivo da quando ho 5 anni racconti. Sognavo di diventare come Jo di piccole donne, la scrittrice. Avevo una macchina da scrivere lettera 22. Mi mettevo in un angolo della casa, nel “torrino” e il mio primo romanzo prodotto in quel modo fu: il desiderio di Lorin. Ricordo il pianto a dirotto per il finale tanto che tutti mi dicevano: allora cambialo. Ma io rispondevo: se ha fatto piangere me vuol dire che funziona.
Se consideriamo come estremi l’istinto creativo e la razionalità consapevole, lei collocherebbe il suo modo di produrre scrittura a quale distanza dai due?
Istinto creativo che si applica con cura per lo stile, i dettagli, la forma.
Moravia, cascasse il mondo, era solito scrivere tutte le mattine, come descriverebbe invece il suo stile? Ha un metodo rigido da rispettare o attende nel caos della vita un’ispirazione? Ce ne parli.
Scrivo ovunque e quando posso. Non ho orari o momenti particolari. Mi basta una carta e una matita, un registratore o una tastiera…
Di che cosa non può fare a meno mentre si accinge alla scrittura? Ha qualche curiosità o aneddoto da raccontarci a riguardo?
Non ho superstizioni, credo solo al potere degli oggetti come fossero talismani. Ma la scrittura non appartiene a nessun rituale particolare, se non ad una buona dose di concentrazione. La mia vita è frenetica, non potrei mai avere la libertà di sedermi ad un tavolo senza essere distratta. Per molti il lavoro “da casa” non è lavoro. Scrivere è un passatempo. È dura far comprendere di avere bisogno di spazi. Non scrivo con troppa luce. Preferisco le ore della notte, questo sì. E mi ispirano mansarde, soffitte o spazi aperti come loft. Non mi isolo per farlo.
Wilde si inchinò di fronte alla tomba di Keats a Roma, Marinetti desiderava “sputare” sull’altare dell’arte, qual è il suo rapporto con i grandi scrittori del passato? È cambiata nel tempo tale relazione?
Sono fonti di ispirazione. Leggere è il primo presupposto per scoprire di essere portato, di amare la scrittura. Non sono un intellettuale, odio questa definizione e non ho bisogno di sentirmi “contro” per appartenere ad una élite.
L’avvento delle nuove tecnologie ha mutato i vecchi schemi di confronto fra centro e periferia, nonostante ciò esistono ancora luoghi italiani dove la letteratura e gli scrittori si concentrano? Un tempo c’erano Firenze o Venezia, Roma o Torino, qual è la sua idea in merito?
Sempre più scrittori emigrano in luoghi isolati, tranquilli a scrivere, per poi ritornare nei grandi centri per partecipare a incontri, salotti… è inevitabile e discutibile e per fortuna non per tutti è così.
Scrivere le ha migliorato o peggiorato il percorso di vita? In altre parole, crede che la letteratura le abbia fornito strumenti migliori per portare in atto i suoi desideri?
Scrivere non può peggiorare la vita, sempre che il tuo strumento non abbia limitato la tua o la libertà di chi ti circonda. Scrivere è un atto onesto e come tale, se non tradisce la tua natura, non può non seguire il suo naturale sviluppo e corso.
Scrivere è un atto d’amore verso sé e verso il destinatario. A cui si pensa. Sempre. O meglio si dovrebbe, come se scegliessi di raccontare la tua storia ad un caro amico.
Scrivere è una ambizione. Far arrivare il tuo pensiero, magari cambiare qualche posizione, far viaggiare con la mente, sognare…
Scrivere è magia.
La ringrazio e buona scrittura.
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