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“Fiume Pagano” di Laura Costantini e Loredana Falcone

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Di Alberto Carollo

“Fiume Pagano” di Laura Costantini e Loredana Falcone
(Edizioni Historica, 2010, pp. 239, € 15,00, ISBN 978-88-96656-09-9)

Ogni capitolo un ponte di Roma (Sublicio, Nenni, Sant'Angelo, Sisto e così via) e per incipit un brumoso febbraio, nell'ora peggiore di una gelida notte che cela misteri e puzza di neopaganesimo. Dal Tevere affiorano alcuni cadaveri, accomunati dal fatto di avere indosso una tunica bianca e alcune lettere sul petto, marchiate a fuoco. Suicidi? Forse no: sono stati drogati di assenzio. Unico testimone della loro morte è Venanzio, un solitario clochard che tenta di mettere in guardia il popolo dei diseredati dalle trame oscure di una donna velata che li accompagna al sacrificio, fino al tuffo nel fiume sacro.

L'ormai collaudato sodalizio artistico delle due infaticabili scrittrici romane (al settimo romanzo, il secondo edito da Historica) trova in Fiume pagano una felice convergenza di svariati elementi. In primis la scelta congeniale, libro dopo libro, di costruire personaggi femminili a tutto tondo come perni della narrazione. Poi l'attenzione al dettaglio ambientale, la cura nella documentazione storica (forti del lavoro svolto su precedenti progetti come Le colpe dei padri; Roma 1944. Lo sposo di guerra) e una prosa lineare, senza sbavature, al servizio impeccabile della trama. Per Fiume pagano Costantini e Falcone giocano in casa, accompagnando per mano il lettore sul Lungotevere, nel cuore della singolare umanità che popola una Roma dai colori noti, senza però scadere nella macchietta o nel folclore più vieto. Gli attori con ruoli di comprimari, in questa vicenda, fanno anzi la parte del leone contribuendo a rendere più sfumato e godibile l'affresco della Capitale dalle tante bellezze, qui percorsa obliquamente, lungo rotte lontane da quelle del turismo di massa.

L'arruffato giornalista d'assalto Nemo Rossini, vero e proprio segugio della notizia nonché maestro di sarcasmo, e il più riflessivo luogotenente dell'arma Quirino Vergassola si insinuano nelle pieghe sotterranee dei movimenti neo-pagani, nostalgici della grandezza di Roma e del libero pensiero offuscato dal Cristianesimo. Le loro indagini si sostanziano di un gourmet degno di un Pepe Carvalho (nel menu: bucatini cacio e pepe; mezzemaniche alla gricia eccetera), nelle osterie della Suburra, con sapori odori atmosfere che non sfigurerebbero accanto a un Simenon.

Ma a mio avviso la “prima sorgente” di Fiume pagano è la sua “quasi protagonista” (le varie storie e figure ruotano attorno a lei), Monica Frabollini, agiata e inquieta, ossessionata dalla figura di un padre perduto in tenera età e cercato con disperazione nell'ambiente dei senzatetto e delle associazioni di volontariato. La caparbietà, la sua determinazione e forza di volontà la indurranno a ricombinare i pezzi sparsi del puzzle della sua esistenza, a scegliere “col cuore” tra due uomini: il portiere del suo stabile, Claudio, e Attilio, pontefice massimo della Brigata Coclite, associazione culturale che propugna un ritorno agli ideali storici della Roma Imperiale. Monica si concederà a colui che saprà comprendere le sue motivazioni più profonde, per quanto incerte e destabilizzanti, e assecondarne l'espressione. Ma forse sarà troppo tardi: il sacro fuoco di Vesta, la Dea primigenia, divamperà e gli eventi precipiteranno. La commistione tra i generi giova a Fiume pagano: sentimentale, giallo, qualche venatura horror, stralci di romanzo storico. Il ritmo cresce col numero delle pagine; la narrazione diviene serrata (Viole(n)t red, noir delle stesse autrici edito lo scorso anno da Bietti Media, docet!) ma è bene non anticipare nulla per non togliere il piacere della lettura. Bella e gradita la citazione di Animula vagula blandula, poesia vergata in punto di morte dall'imperatore Adriano.
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