Intervista a Marco Monina - editor PeQuod
Autore: Morgan PalmasMer, 21/07/2010 - 10:23
Di Morgan Palmas
Marco Monina, editor di PeQuod
Buongiorno, vorrei anzitutto chiederle qual è stato il percorso professionale che l’ha portata a divenire editor in una casa editrice.
Il mio percorso professionale è stato standard e atipico al contempo.
Standard perché ho iniziato dalla “gavetta”. Correttore di bozze prima, segretario di redazione poi e, infine, capo redattore. Tutto questo, mi preme dirlo, in una casa editrice straordinaria: la Transeuropa di Massimo Canalini, all’inizio degli anni ’90 (la mia è stata una “vocazione tardiva”, avevo già una trentina d’anni), negli anni in cui quella sigla è stata al centro di una “rivoluzione editoriale” avvenuta in Italia che ha portato alla pubblicazione delle antologie under 25 curate da Tondelli, dei libri di Silvia Balestra e Enrico Brizzi, solo per citare i più conosciuti. Davvero anni irripetibili, quelli.
Atipico, perché quello che ho raccontato sopra è successo in seguito a una lettera che scrissi (a mano!) proprio a Massimo Canalini. Gli chiedevo, in pratica, usando grandi giri di parole, di mettermi alla prova, di darmi l’occasione per dimostrare quel che valevo. Quando ho preso convinzione anch’io del mio valore, mi ci è voluto un po’ di tempo, ho pensato bene di dimostrarlo a me stesso. Nasce così l’avventura di peQuod. Io e Antonio Rizzo, che lavorava con me a Transeuropa, ci siamo “messi in proprio” alla fine del 1997, anche perché lavorare con Canalini non era facile: una presenza ingombrante la sua. Ma noi, Antonio e io, ci sentivamo ormai sicuri, eravamo consapevoli dell’esperienza acquisita. Credo di poter dire adesso, a distanza di anni, che in qualche modo abbiamo “raccolto il testimone” di Transeuropa e proseguito noi la corsa.
Oggi, un percorso professionale di questo tipo non sarebbe neanche pensabile.
Esistono un percorso standard o canali privilegiati oppure ritiene che vi siano più possibilità per diventare un editor?
Percorsi standard non credo esistano. Esistono, ma non servono assolutamente a nulla, master post laurea, corsi organizzati da case editrici o da service editoriali per imparare a lavorare genericamente in una redazione. Mi spiace dirlo, perché in alcuni di questi master ho insegnato anch’io, ma il nostro è un lavoro dove la teoria in quanto tale, se non applicata alla pratica “sul campo”, rimane un esercizio assolutamente sterile. Se ripenso agli anni passati a lavorare in Transeuropa con Canalini, non posso che sorridere di fronte a un corso intensivo della durata di 15 ore (un fine settimana) che pretenderebbe di farti capire come funziona una casa editrice. Dirò di più, faccio questo lavoro da quasi vent’anni, mediamente 12 ore al giorno, e non sono sicuro di saperlo ancora neanche io… come funziona una casa editrice.
Come è in concreto la sua giornata lavorativa? Quali sono le sue specificità imprescindibili?
La mia giornata lavorativa quando sono in redazione, mi capita spesso di viaggiare, comincia la mattina presto, verso le 6 e 45, le 7. Questo perché ho bisogno di stare almeno un paio d’ore in pace, prima che comincino a suonare telefono fisso e telefono portatile: i nostri autentici nemici. Verso le 9, quando arrivano anche gli altri, ci si riunisce per stabilire le priorità e pianificare il lavoro quotidiano. Io, nello specifico, durante la giornata lavoro principalmente sui testi, curo i rapporti con gli autori. Poi ci sono sempre altre centinaia di cose da fare. Insomma, anche se nessuno mai se lo ricorda, una casa editrice è pur sempre un’azienda, ancorché piccola nel nostro caso.
Non prescindo mai, però, da una sorta di rituale di fine giornata, prima di tornarmene a casa, che consiste nel passare in libreria per vedere le novità che sono uscite (tutti i giorni, ormai, escono decine di novità), parlo con i librai, osservo quel che compra la gente. Aiuta moltissimo a capire e io lo considero un mio dovere.
Nel mondo editoriale vede più merito rispetto al “sistema” Italia o reputa invece che il pensiero comune dell’amata raccomandazione sia purtroppo la via più comune? Quali percentuali fra le due?
Il mondo editoriale rispecchia il “sistema Italia”, la raccomandazione, l’amicizia giusta, prevale quindi sul merito, senza ombra di dubbio. Non sono in grado, ovviamente, di stabilire percentuali, sarebbe anche sciocco. Dirò di più, molto spesso la raccomandazione vale anche per quello che riguarda la pubblicazione. Sommersi come siamo, quotidianamente, da dattiloscritti (noi ne riceviamo quasi duemila all’anno!), è quasi inevitabile che si finisca per dare la precedenza a quei testi che vengono segnalati da persone amiche o di fiducia, persone che comunque esercitino una sorta di “scrematura” in vece nostra. D’altronde è facilmente comprensibile a chiunque che duemila dattiloscritti all’anno è impossibile leggerli tutti. Io dico sempre che lo smacco più grande non è vedere un autore che, dopo aver pubblicato con me, se ne va con un altro editore, ma vedere pubblicato da un altro un libro che ho avuto in dattiloscritto e non sono riuscito a leggere. Capita spesso, ahimé.
Se crede nel merito, quali sono le sue azioni quotidiane per favorirlo?
Come vi direbbe chiunque, anch’io, a parole, credo nel merito. Le mie azioni quotidiane per favorirlo? Bella domanda. Mettiamola così, quando pubblichi un autore esordiente comunque, in una qualche maniera, favorisci il merito. Il tempo, poi, lo dimostrerà. Il mio catalogo è pieno di autori che meritavano di essere pubblicati. Ma, in tutta onestà, questo è sempre troppo poco. Mi piacerebbe, anzi dovrei, fare molto di più per favorire il merito. Annoso problema, questo.
Che cosa stima in uno scrittore esordiente e che cosa invece detesta?
Il lavoro dell’editor, tanto più in una casa editrice piccola come la mia, si basa soprattutto sui rapporti umani. Si lavora fianco a fianco con gli autori, a volte per mesi (se non per anni). Ci si conosce bene, alla fine. Con gli esordienti questo succede ancor di più. Inevitabilmente con alcuni di loro nasce empatia oltreché simpatia. Ma, ovvio, è vero anche il contrario, non lo nascondo, con molti si crea un rapporto di antipatia al limite della reciproca sopportazione. Io con autori che ho fatto esordire ma che non fanno più parte del mio catalogo da anni, cito per tutti Mario Desiati e Martino Gozzi, ho tuttora un bellissimo rapporto che continuiamo a coltivare quotidianamente. Con altri neanche mi saluto quando capita di incontrarsi in posti tipo il Salone del libro di Torino. Credo che tutto questo sia normale.
Stimo, in un autore esordiente la sua capacità d’ascolto e, ancor più, la capacità di far tesoro di ciò che ha ascoltato. Detesto quell’autore che, per l’appunto ancora da esordiente, pensa di essere il tuo unico interlocutore, che tu non abbia altro da fare se non lavorare al libro che lui sta scrivendo.
Discorso a parte, invece, meriterebbe l’ingratitudine. Ci vorrebbe un’intervista solo per quella. Meglio che non ne parli…
Quali sono le qualità della sua casa editrice e le prospettive?
Sarebbe di cattivo gusto se fossi io a parlare delle qualità della mia casa editrice, non crede? Io posso solo dire, lo ripeto in continuazione, che una casa editrice pubblica i libri che si merita. Insomma, per una casa editrice parla il suo catalogo che è poi quello che ne determina le prospettive.
Che cosa pensa delle case editrici a pagamento?
Contrariamente a quel che si potrebbe credere, non penso affatto male delle case editrici che pubblicano libri a pagamento. Penso che valga quel luogo comune che si tira sempre in ballo quando si parla della prostituzione: “…continuerà a esistere finché ci saranno uomini disposti a pagare per andare con una donna…”. Ecco credo che è giusto che ci sia e continuerà a esistere finché ci sarà chi è disposto a pagare pur di vedere pubblicato il proprio libro. Tutto qui.
Un consiglio a chi vorrebbe intraprendere l’attività di editor.
Un consiglio a chi vorrebbe intraprendere l’attività di editor. Di leggersi questa intervista, se ha avuto la curiosità di arrivare fin qui… si sarà accorto che è piena di consigli. L’editor, in definitiva, è solo colui che sa vedere il talento prima che si dimostri, prima che lo vedano tutti.
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