Scuola di paura - Lezione 2
Autore: Michele RueleMer, 09/06/2010 - 10:31
Di Michele Ruele
La scuola di paura oggi aggiunge altri passi
HAI PAURA? BENE, COSÌ TI SALVERAI
(Leonardo, Gozzano, Bertolucci e, per finire, Gadda)
Hanno detto che gli uomini si distinguono dalle altre creature per l’intelligenza, per la consapevolezza, perché ridono, perché comunicano.
O perché hanno paura?
O, mentre sanno anche altre molte cose, sanno anche di avere paura?
Ciò che stabilisce in maniera fondamentale la differenza fra me, te e uno scoiattolo, un dugongo è che noi sappiamo che c’è da aver paura, insomma.
Per la paura, dicono, potremmo aver sviluppato la tecnologia, inventato sistemi sociali, immaginato dèi. Addirittura il pensiero in sé sarebbe frutto della paura (questo disse Max Horkheimer, volendo dargli retta).
D’altra parte la paura e la relativa conseguenza dell’angoscia sono la parte più antica e naturale della nostra mente.
«La prima cosa che la natura esige è imparare a spaventarsi… La fuga rapida e mirata dell’individuo è il primo dovere della conservazione della specie» e il corpo dell’animale sarebbe anch’esso strutturato in funzione di questo scopo base: «Non solo gli organi sensoriali e quelli di movimento, ma quasi tutti gli organi sono focalizzati su questa funzione centrale, tanto l’occhio quanto lo stomaco che le estremità» (Heini Hediger, uno zoologo svizzero).
Nell’uomo, paura e angoscia sono ancora a livelli primordiali. Anche perché, pare, l’emotività resta stabile nella storia, mentre a cambiare sarebbe il pensiero.
Però ciò che accade nella cultura è diverso da ciò che accade a livello bio- e fisiologico e a livello psichico.
Paura e angoscia possono diventare sfruttabili a livello sociale e culturale.
Sia per affrontarla sia per farne uno strumento in vista di un obiettivo. Per la seconda questione, si pensi all’angoscia psicologica di massa inscenata dal fascismo, per esempio. Per renderla affrontabile, invece, si usano la paura e l’angoscia stesse, proprio in nome della loro plasticità: «Il significato dell’angoscia per la cultura è dato dalla sua straordinaria capacità di poter essere spostata… Poiché è facile trasformare l’angoscia reale in angoscia fantasmatica…» (Mario Erdheim, etnopsicoanalista).
Insomma, impiego calcolato della paura e della susseguente angoscia.
Oggi ci interessa di più capire come paura e angoscia possono servire a vincere la paura e l’angoscia.
Cioè: se so di aver paura, e anzi coltivo la mia paura, avrò meno paura e meno angoscia?
Non mi è venuto in mente così, questo problema. E non è nemmeno che siano necessariamente da condividere atteggiamenti diciamo così esistenzialistici cupi e pessimistico-apocalittici.
E ci sono tre scrittori italiani che mi hanno fatto venire in mente questo atteggiamento che potremmo definire così: so di aver paura, ho molta paura e così combatto la mia paura.
Ecco, per iniziare, alcune massime di Leonardo da Vinci.
«Chi teme i pericoli, non perisce per quelli».
«Paura ovver timore è prolungamento di vita».
«Siccome l’animosità è pericolo di vita, così la paura è sicurtà di quella».
La paura per Leonardo è come un diluvio, una tempesta, una caverna. Dentro la caverna ci puoi guardare, non fosse altro perché può svelare qualche «miracolosa cosa»:
«..E tirato dalla mia bramosa voglia, vago di veder la gran commistione delle varie e strane forme fatte dalla artifiziosa natura, raggiratomi alquanto in fra gli ombrosi scogli, pervenni all'entrata di una gran caverna, dinanzi alla quale restando alquanto stupefatto e ignorante di tal cosa, piegato le mie rene in arco, e ferma la stanca mano sopra il ginocchio, con la destra mi feci tenebra alle abbassate e chiuse ciglia.
E spesso piegandomi in qua e là per vedere dentro vi discernessi alcuna cosa, questo vietatomi per la gran oscurità che là entro era e stato alquanto, subito si destarono in me due cose: paura e desiderio, paura per la minacciosa oscura spelonca, desiderio per vedere se li entro fussi alcuna miracolosa cosa.»
L’altro scrittore è Guido Gozzano.
Nei Colloqui c’è una poesia che si intitola Invernale.
«...cri...i...i...i...icch...»
l'incrinatura
il ghiaccio rabescò, stridula e viva.
«A riva!» Ognuno guadagnò la riva
disertando la crosta malsicura.
«A riva! A riva!...» Un soffio di paura
disperse la brigata fuggitiva.
«Resta!» Ella chiuse il mio braccio conserto,
le sue dita intrecciò, vivi legami,
alle mie dita. «Resta, se tu m'ami!»
E sullo specchio subdolo e deserto
soli restammo, in largo volo aperto,
ebbri d'immensità, sordi ai richiami.
Fatto lieve così come uno spetro,
senza passato più, senza ricordo,
m'abbandonai con lei, nel folle accordo,
di larghe rote disegnando il vetro.
Dall'orlo il ghiaccio fece cricch, più tetro...
dall'orlo il ghiaccio fece cricch, più sordo...
Rabbrividii così, come chi ascolti
lo stridulo sogghigno della Morte,
e mi chinai, con le pupille assorte,
e trasparire vidi i nostri volti
già risupini lividi sepolti...
Dall'orlo il ghiaccio fece cricch, più forte...
Oh! Come, come, a quelle dita avvinto,
rimpiansi il mondo e la mia dolce vita!
O voce imperiosa dell'istinto!
O voluttà di vivere infinita!
Le dita liberai da quelle dita,
e guadagnai la ripa, ansante, vinto...
Ella solo restò, sorda al suo nome,
rotando a lungo, nel suo regno solo.
Le piacque, alfine, ritoccare il suolo;
e ridendo approdò, sfatta le chiome,
e bella ardita palpitante come
la procellaria che raccoglie il volo.
Non curante l'affanno e le riprese
dello stuolo gaietto femminile,
mi cercò, mi raggiunse tra le file
degli amici con ridere cortese:
«Signor mio caro grazie!» E mi protese
la mano breve, sibilando: «Vile!».
Allora, ti chiede Gozzano: aderire a qualche falsa passione o avere una sana e vile paura, per demitizzare gli irresponsabili e, per parte propria, salvarsi?
L’altro poeta, l’ultimo, è Attilio Bertolucci.
Nella Lucertola di Casarola troviamo uno dei versi più belli della letteratura italiana. È tra quelli finali: «dei cunicoli cui torna, non fugge». E sta accanto ai suoi fratelli in inarcatura: «Ricordo che bambino m’incitavano / a mozzar loro la coda – non temere / rinasce, non temere – e io a rifiutare caparbio, silenzioso».
Si tratta di una poesia-apologo nelle stesse intenzioni di Bertolucci, quindi è chiaro che contiene una morale, sia dal valore universale sia dal valore storico, che lascio cercare a voi.
Casaròla è un paese dell’Appennino parmense dove Bertolucci aveva le sue origini e dove fa risalire molti ricordi. Fra le pietre, l’umile lucertola, insidiata da bambini e gatte.
Dovrei chiedere aiuto a Marianne Moore
o all'Abate Zanella o a Jules Renard
per scrivere, non di dinosauri di Crichton
e di Spielberg, ma di quelle lucertole
che a quei sauri s'apparentano con grazia
naturale soggiornando sulle pietre
assolate del portale
di Casarola, facendosi emblema
e stemma vivo
non so se della famiglia o dell'estate.
Ricordo che bambino m'incitavano
a mozzar loro la coda - non temere,
rinasce, non temere - e io a rifiutare caparbio, silenzioso.
'Possibile che non soffrano"'.
Stavo a guardarle
incantato apparire e scomparire e riapparire,
ansioso se una gatta di casa
puntava ad esse in mancanza di topini.
Sciocca felina, ignara
dei cunicoli cui torna, non fugge,
l'abitatrice avanti te e me
di questa verde plaga occidentale.
CONTROTESI
Per concludere questa lezioncina, e prima dei compiti, siccome non è bello guardare le cose da un solo punto di vista, mettiamoci anche la controtesi.
Quanto detto finora ha la sua smentita in uno dei diecimila bei passi di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda.
Ti aspetti, con paura e voluttà insieme, che un avvenimento accada? Ebbene, è il modo giusto per attirarlo e dargli più possibilità.
Nel palazzone color pidocchio in cui si consuma il delitto di Liliana Balducci, abita la timorosa signorina Menegazzi, ecco una parte del formidabile ritratto, compresa qualche considerazione sul destino che fa al caso nostro:
[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=L3IGFpdo0t4]
«La Menegazzi, come tutte le donne sole in casa, trascorreva le ore in uno stato di angustia o per lo meno di dubitosa e tormentata aspettativa. Da un po’ di tempo quel suo perenne pavore nei confronti del trillo del campanello s’era intellettualizzato in un complesso di immagini e di figurazioni ossedenti: uomini mascherati, in primo piano, e con le suole di feltro ai piedi; repentine per quanto tacite irruzioni in anticamera; martellate in capo o strangolamento a mano, o mediante appropriata cordicella, eventualmente preceduto da «servizzie»: idea o parola, questa, che la riempiva di un orgasmo indicibile. Angosce e fantasie miste: con il commento, magari, d’un batticuore improvviso, per un improvviso crac, nel buio, di un qualche armadio più stagionato degli altri: comunque, anticipate cupidamente all’evento. Il quale, dài e dài, non poté a meno, alfine, di arrivare davvero anche lui. La lunga attesa dell’aggressione a domicilio, pensò Ingravallo, era divenuta coazione: non tanto a lei e a’ suoi atti e pensieri, di vittima già ipotecata, quanto coazione al destino, al «campo di forze» del destino. La prefigurazione d’ ’o fattacce s’era dovuta evolvere a predisposizione storica: aveva agito: non pure sulla psiche della derubanda-iugulanda-sevizianda, quando anche sul «campo» ambiente, sul campo delle tensioni psichiche esterne. Perché Ingravallo, similmente a certi nostri filosofi, attribuiva un’anima, anzi un’animaccia porca, a quel sistema di forze e di probabilità che circonda ogni creatura umana, e che si suol chiamare destino. In parole povere, la gran paura le aveva portato scarogna, alla Menegazzi.»
COMPITI
1) La lucertola della poesia di Bertolucci “torna, non fugge” nei suoi cunicoli; Leonardo guarda con voluttà dentro l’oscurità della “caverna”; il protagonista della poesia di Gozzano sceglie di essere “vile”. Per chi la sa guardare la paura è meno paurosa?
2) Davvero come dice Leonardo, temere i pericoli significa non perire a causa loro? Oppure, come dice Gadda, porta scarogna?
3) Senza tante storie, non sarebbe meglio non pensarci proprio, alla paura, e darsi a pensieri più allegri?
4) Leggere: I colloqui di Gozzano, La lucertola di Casarola di Bertolucci, il Pasticciaccio di Gadda, gli Scritti letterari di Leonardo.
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